Enrique Alvarez è direttore di Incidencia Democratica
Introduzione
La costruzione della sinistra guatemalteca, a partire dal colpo di Stato della CIA che mette fine alla Rivoluzione del ’44, è indissolubilmente legata allo sviluppo della lotta armata. La lotta armata è stata il fattore fondamentale di costruzione, a volte anche di separazione, dello sviluppo del movimento della sinistra rivoluzionaria che, bisogna dirlo, è stata la unica sinistra, articolata e strutturata, esistente in Guatemala.
Una sinistra meno radicale, più vincolata ad espressioni socialdemocratiche, è esistita legalmente tra le decadi degli anni ’70 ed ’80, riuscendo anche ad ottenere risultati elettorali di un certo rilievo –la conquista di sindaco di Città del Guatemala, la capitale del paese- ma il suo possibile eventuale consolidamento fu violentemente impedito mediante l’assassinio dei suoi principali dirigenti. Fu precisamente questo il momento nel quale si mostrò in maniera totalmente evidente la chiusura definitiva dei limitati spazi che il potere diceva esistere per attuare politicamente nella legalità. La unica alternativa possibile si trovava nella lotta armata. Per i rivoluzionari la guerra non è mai stata un fine; il suo inizio ed il suo sviluppo sono stati il risultato dell’impossibilità di trasformare le strutture di sfruttamento, disuguaglianza ed oppressione che sono state le caratteristiche storiche del nostro paese. Per questo, terminare la guerra -se si fossero avute le capacità di creare le condizioni per farlo, sulla base della soluzione e del superamento della problematica strutturale che l’aveva generata- costituiva una specie di imperativo morale e politico.
Bisogna dire che il conflitto armato interno, come finalmente fu correttamente chiamato, si sviluppò per circa 35 anni in condizioni di evidente disuguaglianza. Ad un esercito armato, istruito ed appoggiato esternamente dai governi nordamericani ed internamente dall’ultra conservatrice oligarchia guatemalteca, si opponevano forze guerrigliere con alto morale e molta determinazione ma con limitate capacità in termini di logistica, armamento e risorse finanziarie. Nonostante ciò, l’esercito borghese non riuscì mai a distruggere le forze rivoluzionarie; così come esse non ebbero la capacità di accumulare forza sufficiente per conquistare militarmente il potere.
É pure necessario prendere in considerazione che l’importante vittoria della Rivoluzione Sandinista in Nicaragua –la quale in Guatemala e nel Salvador riuscì ad aumentare forza e speranza rivoluzionarie- fu nello stesso tempo un fattore che contribuì ad accrescere le difficoltà per il trionfo della lotta armata rivoluzionaria nei due paesi, dato che gli Stati Uniti erano decisi a non permetterlo dichiarando in gioco la loro sicurezza nazionale e mettendo conseguentemente in campo tutto ciò che fu loro possibile (guerra di bassa intensità). Né si può dimenticare che dal 1994 Guatemala diviene la frontiera sud del Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord, il mercato più grande del mondo, e per tanto in una posizione geostrategica di fondamentale importanza per gli interessi degli Stati Uniti. Nonostante questi problemi il movimento rivoluzionario guatemalteco ebbe la capacità di resistere sia alle offensive militari che alle pressioni delle istituzioni internazionali le quali, inizialmente, volevano convertire il negoziato di pace in una resa senza condizioni, come avrebbe voluto l’esercito guatemalteco che pretendeva iniziare il dialogo solo dopo che la guerriglia avesse consegnato le armi. Il rifiuto deciso a questa richiesta, basato sul prosieguo delle offensive militari praticate dalle forze rivoluzionarie e sull’appoggio da loro ricevuto attraverso una vasta rete di solidarietà internazionale, contribuì a creare una correlazione di forze, interne ed esterne, che resero possibili conversazioni -i cui risultati sono conosciuti sotto il nome dei distinti e specifici Accordi di Pace- le quali definirono i meccanismi di soluzione per la grave problematica politica, sociale, econo-mica e culturale del Guatemala. Solamente dopo vennero negoziati la fine del conflitto e la smobilitazione della guerriglia.
Detto così può sembrare poco, però il processo di pace guatemalteco è unico al mondo. In tutte le altre situazioni, i negoziati iniziano con un armistizio e solo dopo si discutono le condizioni nelle quali si realizzeranno disarmo e smobilitazione. Per tutto questo, la fine del conflitto la percepiamo come un trionfo delle forze rivoluzionarie; anche perché essa ha dimostrato concretamente la sconfitta e la cancellazione del progetto militare controinsurrezionale e del sub-mondo di terrore e sofferenza che congiuntamente aggredirono la popolazione guatemalteca, e specialmente i popoli indigeni che rappresentano la maggioranza del paese, che hanno sofferto genocidio ed etnocidio secondo quanto dimostrato dalla Relazione della Commissione di Chiarimento Storico (CEH), fatta propria dall’ONU. La Firma della Pace Stabile e Permanente, conseguenza della fine del conflitto armato, significava per i rivoluzionari guatemaltechi un cambio radicale della loro strategia, la quale, necessariamente, doveva continuare ad essere rivoluzionaria. Si passava dalla lotta politico-militare alla lotta esclusivamente politica che si sarebbe sviluppata in un quadro istituzionale, legale, politico, sociale ed economico determinato da una incipiente democrazia, di origini liberali, fortemente influenzata dal recente passato dominato dai militari e dal potere economico oligarchico. Sembrava che questo contesto fosse chiaro per i rivoluzionari guatemaltechi, incluso i pericoli che racchiudeva il punto culminante del processo del negoziato di pace, specialmente per quanto riguardava tutti gli sforzi che sarebbero stati implementati dai gruppi dominanti, nazionali ed internazionali, per minare l’unità interna delle forze rivoluzionarie.
Una delle principali debolezze da superare, e di questo si aveva piena convinzione, radicava nella struttura stessa del sistema politico guatemalteco nato con il cosiddetto Stato moderno che si costruisce in Guatemala a partire dalla "rivolu-zione liberale" del 1871. L’aggettivo moderno non significa nient’altro che la necessità obbligata dell’oligarchia di tentare il superamento di uno Stato semicoloniale -che si trova in una crisi economica senza uscita a partire dall’apparizione di nuovi coloranti tessili sintetici che liquidano irreversibilmente gli equivalenti naturali ottenuti dalla monocultura di due tipi di cocciniglia- attraverso l’instaurazione della produzione e dell’esportazione del caffè come nuova base dello sviluppo economico.
Su queste necessità, ipoteticamente nazionali, dove al posto di una monocultura se ne vuol porre un’altra, la popolazione indigena è cacciata verso le terre meno fertili dell’altipiano e derubata di quelle migliori e più produttive che sono aggiudicate a coloni tedeschi ed alla aristocrazia criolla. Queste azioni sono realizzate, naturalmente, con l’esclusivo uso della forza che risulta dunque la base della cosiddetta "rivoluzione liberale", mentre l’autoritarismo ne diviene il metodo; per questo si fonda un nuovo esercito destinato, da ora in avanti, a convertirsi nel braccio armato della nuova oligarchia proprietaria delle piantagioni di caffè ed agroesportatrice.
In questo tipo di Stato la struttura del sistema politico è solamente un semplice meccanismo di legittimazione dello sfruttamento e dell’oppressione, categorie che si aggraveranno con la presenza di imprese bananiere nordamericane. La mano d’opera che si richiede per la coltivazione del caffè e del banano non deve essere qualificata, ragione per la quale si mantiene intenzionalmente la maggioranza della popolazione senza educazione ed in condizione subumane.
In questo modello, i partiti sono strutture che devono risolvere gli interessi dei loro dirigenti (che in pratica ne sono i proprietari) e secondariamente "ossigenare" il sistema mediante farse elettorali; sono macchine di voti, privi di vita politica interna e dipendenti dal finanziamento privato il che li rende totalmente vulnerabili in quanto "obbligati"a ricambiare i finanziatori attraverso favori politici. La legge elettorale è disegnata non solo in funzione di questi rapporti "privati" ma anche per rendere praticamente impossibile la partecipazione popolare alle urne. In Guatemala era, ed è tuttora, complicato e caro possedere il certificato elettorale e le elezioni si realizzano sempre nella stagione nella quale centinaia di migliaia di contadini poveri si spostano dall’altipiano verso le terre fertili per le distinte raccolte dei prodotti agricoli.
Per tutto quanto detto, uno dei principali obiettivi del processo di pace nell’area politica diveniva quello di realizzare una profonda riforma del processo elettorale, della legge elettorale ed a partire da essa sviluppare gli spazi della limitata partecipazione democratica. Creare e rafforzare regole istituzionali per i partiti, affinché potessero intermediare gli interessi dei gruppi popolari e della società in generale, era così assunto come obiettivo strategico.
Le organizzazioni sociali e la loro relazione con la guerriglia
Le relazioni delle organizzazioni di massa con le organizzazioni rivoluzionarie non furono prive di problemi. Alcuni di essi derivavano da errori di concezione, ma altri erano dovuti alle condizioni, specifiche della clandestinità, nelle quali si dovevano sviluppare contemporaneamente sia la lotta militare che la lotta politica di massa che imponeva ai suoi quadri di vivere una doppia vita politica: quella pubblica al fronte delle organizzazioni sociali e l’altra, invisibile, con la loro organizzazione politico-militare.
Nel movimento rivoluzionario esistevano differenti concezioni sulla lotta politica di massa e specialmente sulle relazione che l’organizzazione rivoluzionaria doveva avere con essa. Si andava dalla visione utilitarista delle organizzazioni ampie, ovvero come semplice fonte di reclutamento per la guerriglia; passando per quella della loro utilizzazione in azioni paramilitari senza l’adeguata separazione e compartimentazione delle strutture, cosa che causò gravi danni ponendole in pericolo mortale; sino ad arrivare alla visione di sviluppare la lotta politica e sociale con la unica funzione di elevare la capacità del popolo nella lotta per la democrazia. L’elevamento di questa capacità avrebbe indirettamente appoggiato la lotta politico-militare e si doveva solo cogliere il momento propizio per articolare i due tipi di lotta creando sequenze di momenti prerivoluzionari; le sequenze, sempre più forti, avrebbero portato all’insurrezione generale per la vittoria della rivoluzione.
Sempre si cercò di mettere gli elementi più avanzati (sia per il loro sviluppo politico che per la loro attitudine alla lotta) delle organizzazioni di massa nelle organizzazioni rivoluzionarie e così, attraverso di essi, esercitare nelle prime un’influenza politica.
Una limitazione funesta, certo imposta dalla clandestinità e dalla compartimentazione, era che le relazioni politiche ed il passaggio di informazioni ed orientazioni doveva avvenire in forma chiusa (generalmente tra due persone) e fu frequente il caso che la persona primo anello della catena che riceveva l’orientamento complessivo, lo utilizzasse come capitale politico personale: ciò che avveniva con l’informazione o trasmessa a metà e nel momento ritenuto il migliore per i propri interessi personali, o non trasmessa semplicemente.
Ma la limitazione più importante è stata il limitato sviluppo unitario raggiunto dall’Unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca (URNG), costituita nel febbraio del 1982 da quattro organizzazioni rivoluzionarie. La mancanza di unità organica ha impedito lo sviluppo di un movimento di massa forte e belligerante, e quella formale ha solo permesso discontinue forme di coordinazione per affrontare militarmente l’esercito.
Altro fattore negativo, che si sommò alla politica controinsurrezionale di Stato, fu l’implementazione delle politiche neoliberali che decapitarono –negli anni Ottanta- il movimento sindacale e popolare producendone un arretramento. Per molti anni vennero proibite e perseguite tutte le organizzazioni di tipo rivendicativo ma, come sempre, questa stessa repressione sistematica generò nuovi movimenti sociali –i "Movimenti di organizzazioni sorte dalla repressione", come si autodenominarono- sia nelle aree urbane che rurali. Le loro coraggiose manifestazioni pubbliche per il rispetto dei diritti umani e per la conoscenza della sorte delle decine di migliaia di detenuti-sequestrati, furono i momenti principali di lotta di massa di quel periodo.
La partecipazione nel processo di pace
La firma della pace sottoscritta il 26 dicembre del 1996, provocò molte aspettative, in parte anche sproporzionate, di cambio. Venne comunque rotto l’isolamento dell’URNG –imposto dalla strategia controinsurrezionale- rispetto a differenti espressioni sociali e politiche del paese. L’URNG fu percepita dalle masse popolari, che inizialmente le dettero un ampio e pubblico appoggio, come una forza politica che poteva rendere possibile la trasformazione strutturale del paese permettendo la costruzione di un nuovo modello non escludente di società basato sul rispetto degli Accordi. I negoziati si erano comunque sviluppati senza neppure la partecipazione, diretta o indiretta, dei quadri di direzione della maggioranza delle organizzazioni. Solamente nell’ultimo anno venne formato un Consiglio Politico di Direzioni Nazionali con il quale si cercò di costruire una collegialità decisionale, anche se l’opinione del Comando Generale della URNG quasi sempre ebbe un peso determinante e definitivo.
L’uso generalizzato, durante vari anni, del concetto tattico del negoziato, fu -oltre un elemento che cercava dare sicurezza interna rispetto all’incertezza che provocava l’inserzione nella legalità- un forte ostacolo per comprendere la trascendente importanza del passaggio guerra-pace e la conseguente necessità di creare le condizioni per una pratica politica molto differente da quella antecedentemente utilizzata. Accettare la fine del conflitto e la preminenza della lotta politica fu qualcosa che solo si accettò realmente solo negli ultimi mesi del negoziato.
Si impose il criterio dell’unità formale come interesse strategico fondamentale, al quale tutto doveva subordinarsi. Ciò limitò gravemente la possibilità di sviluppare una lotta politica ed ideologica interna; di fatto non si crearono gli spazi per discutere le naturali differenze che venivano stratificandosi nel percorso dei negoziati. Se a questo si aggiunge la debolezza dovuta alla mancanza di una strategia per inserirsi nella vita politica legale, appare chiaro che la firma della pace incontrò l’URNG senza reali possibilità di dedicarsi completamente alla lotta politica per l’applicazione degli Accordi.
Infine, la creazione della prima Direzione Nazionale dell’URNG, nominata nel marzo del 1997, nonostante fosse in quel momento necessaria, venne a costituirsi in un altro grave ostacolo. La sua composizione rispose infatti alla decisione di riconoscere il merito storico di una maggioranza di quadri militari più che alle necessità politiche reali sussunte dalla transizione alla legalità.
Il peso dell’URNG sul compimento degli Accordi, si limitò basicamente all’istituzionalizzazione della pace ma questo, pur avendo importanti livelli d’incidenza, non dette i risultati che potevano potenzialmente svilupparsi sia per le dispute interne che per la mancanza di visione strategica di una parte importante della sua Direzione.
Il movimento popolare ed il processo di pace
L’area dove più si mostrò evidente l’incapacità politica della Direzione dell’URNG, fu quella del lavoro di massa, eufemisticamente e senza un’adeguata valutazione concettuale convertita in "movimento sociale". É stato qui dove si è continuato e implementato la pratica di snaturalizzazione delle relazioni tra organizzazioni di massa e il partito, promovendo la sostituzione della direzione sociale riconosciuta orizzontalmente con quella di quadri dell’URNG senza esperienza politica e calati dall’alto. Quando si forzano le organizzazioni ponendole in funzioni di interessi di partito (in quel momento per la sua costruzione e legalizzazione), arrivando all’estremo di sostituire i suoi meccanismi naturali di direzione il risultato è la subordinazione e l’abbandono della lotta di classe con conseguente atomizzazione e smobilitazione delle organizza-zioni. L’URNG riuscì a costituirsi come partito ma il prezzo che pagò il movimento sindacale e popolare è stato molto alto. Con differenze del caso, lo stesso accadde con i contadini e con gli indigeni; per quest’ultima realtà l’URNG giocò un ruolo importante e negativo nella divisione e posteriore distruzione del Coordinamento delle Organizzazioni del Popolo Maya (COPMAGUA).
Il risultato più immediato, rispetto alla dinamica della politica nazionale, è stata l’assenza di un movimento popolare impegnato e con capacità d’incidenza reale nello sviluppo del Processo di Pace. Si può affermare, che appena entrata nella cosiddetta legalità, la URNG, caratterizzandosi per una politica conservatrice, cercò sia di consolidarsi come forza politica che di creare uno spazio di governabilità politica per permettere al governo di Alvaro Arzú (1996-2000) ed al PAN, partito di destra neoliberale non interessato ad identificarsi negli Accordi, di realizzare gli impegni assunti con la firma della pace. In realtà non si produsse né l’uno né l’altro: l’URNG non si consolidò, anzi si indebolì e si isolò, ed il PAN non rispettò nessun impegno.
Nonostante l’evidente necessità di trasformare il sistema politico, ad iniziare dalla smobilitazione e dall’integrazione alla vita politica legale, le forze rivoluzionarie terminano assumendo le regole del sistema che volevano trasformare.
La partecipazione politica nel quadro legale
Già si è detto sulle limitazioni che il sistema politico guatemalteco, così come si è storicamente determinato, impone a qualunque partito. A queste, l’URNG aggiungeva la mancanza di risorse economiche e di quadri con esperienza nella lotta politica legale. Tuttavia le più gravi carenze politiche si manifestavano nella maggioranza dei quadri della massima istanza di direzione del partito. Per questo motivo, le iniziali aspettative e simpatia di cui godette l’URNG vennero rapidamente a diminuire a fronte dell’incapacità o indifferenza della sua direzione politica per costruire una chiara proposta di sinistra come alternativa alla destra neoliberale che governava.
L’ URNG non crebbe e questo, presa la decisione di partecipare alle elezioni del 1999, spinse alla costruzione della coalizione politica conosciuta come Alleanza Nuova Nazione (ANN), dove l’URNG rappresentava la forza maggiore.
Sulla mancanza dello sviluppo della sinistra
Durante il conflitto armato, la necessità di mantenere l’unità interna e la coerenza nella prassi politico-militare delle organizzazioni rivoluzionarie –che arrivò ad essere valutata in termini quasi assoluti- unitamente alla necessaria adozione della compartimentazione fece sì che il "centralismo democratico" funzionasse debolmente ed in alcuni casi fosse inesistente. Anche nelle organizzazioni dove più forte era la richiesta di discussione politica ed ideologica la loro stessa natura di strutture marcatamente militari impose una pratica verticalistica. In distinte occasioni la mancanza di spazi reali per dar vita al dibattito ideologico ed alla lotta politica interna, aggravata dai diseguali livelli di sviluppo politico personale e dall’assenza di una cultura di discussione, non permisero discutere apertamente le differenze dando luogo alla pratica del frazionismo che, con frequenza, divenne cospirazione. In generale davanti al dissenso, alla mancanza di convinzione o all’aperta differenza politica, la risposta fu l’emarginazione e l’isolamento. La pratica delle rivoluzionarie e dei rivoluzionari si caratterizzò per la mancanza di tolleranza e la nostra storia risulta segnata dalle rotture e dalle divisioni. L’esistenza di quattro organizzazioni rivoluzionarie e che una di esse fosse divisa in quattro è una dimostrazione di quanto affermato.
La pratica politica interna si caratterizzò, a sua volta, per la subordinazione all’autorità massima, al Comandante in Capo, concepita come forma naturale e necessaria per priorizzare lo scontro con il nemico. Anche se gli stili interni di lavoro e di vita politica delle quattro organizzazioni furono tra loro notevolmente differenti, con frequenza furono comunemente sofferte pratiche di culto della personalità e mancanza di vigilanza rivoluzionaria per la carenza dell’uso della critica e dell’autocritica.
Il cosiddetto "comandantismo" non solo fu una pratica usuale, ma addirittura promossa dallo stesso Comando Generale della URNG il quale sviluppò una eccessiva e non necessaria centralizzazione dell’informazione e delle decisioni specialmente durante la fase dei negoziati di pace che poi si ripercosse nell’insufficiente spessore politico dei quadri di direzione relativamente alla comprensione del significato strategico del processo stesso.
I vizi della sinistra continuarono a prevalere nella costruzione elettorale dell’ANN: le lunghe discussioni e la "riunionite cronica", la discussione apparente e quella reale, i discorsi a favore dell’unità e le cospirazioni occulte di alcuni dirigenti, il "comandantismo", le risse per le candidature nel parlamento e nei Comuni sulla base di esclusivi interessi personali, limitarono anche in questo caso le possibilità di uno sviluppo per un vero movimento della sinistra.
Nelle elezioni del 1999, sulla base di un’analisi che correttamente indicava le limitazioni elettorali di una formula presidenziale di taglio radicale, venne scelto Álvaro Colom, un ex funzionario pubblico passato ad essere imprenditore. Nonostante l’indefinizione del suo discorso politico, dove l’opzione di sinistra era difficile da identificare, il risultato fu che ANN raccolse il 12% dei voti. L’opportunismo dell’ ex candidato presidenziale dell’ANN risultò confermato poco dopo le elezioni quando implementò la costruzione di un suo proprio partito, la UNE, chiaramente di destra. Nel confronto elettorale si misurò pure la distanza che la stessa URNG aveva costruito con la sua base sociale e politica e che permise al populista e demagogo Alfonso Portillo di presentarsi e vincere con un discorso di "sinistra" appoggiandosi ad un partito di estrema destra, il Fronte Repubblicano Guatemalteco (FRG) dell’ex generale golpista e genocida, Efraín Ríos Montt. Il discorso di "sinistra" indirizzato contro la vecchia oligarchia e il fatto che la URNG aveva governato, subordinatamente, a fianco di essa generarono un grande livello di confusione che favorì Portillo: è la misura della distanza di cui si è detto.
La preminenza delle strutture formali e legali del sistema
Dopo le elezioni del 1999, un sentito appello per il rinnovo delle strutture di direzione del partito venne lanciato da parte di quadri dirigenti, intermedi e da membri di base che nella loro maggioranza compongono la Corrente Rivoluzionaria. L’appello fu congelato mediante il "comandantismo", senza discuterlo né analizzarlo adeguatamente e questo fu opera dei quadri militari che controllavano tutto il Comitato Esecutivo. Fu questa un’occasione disgraziatamente persa, e probabilmente la fine del progetto politico rivoluzionario che dette origine all’URNG. Vennero così al pettine le debolezze strutturali del suo processo di unità organica e le differenze politiche ed ideologiche mai discusse; la continuità dei progetti politici organizzativi o personali, apparentemente subordinati all’unità ma che invece prevalsero sempre rispetto all’interesse generale –ma anche l’incapacità dell’URNG di articolare un chiaro movimento di opposizione al populismo demagogico di destra dell’FRG- stabilirono le basi della divisione interna. Divisione interna che fu infine consumata dalla decisione della direzione politica di non aprire spazi al confronto. Paradossalmente, un partito proveniente da un’organizzazione rivoluzionaria, il cui obiettivo fondamentale era trasformare un sistema dominato da fattori di potere, termina il suo cammino assumendo una logica che durante anni cercò di rompere per mezzo del processo rivoluzionario. I meccanismi legali che vennero utilizzati furono quelli che le direzioni dei partiti tradizionali "maneggiano" per controllare la loro situazione interna; la Direzione dell’URNG decise di sradicare dal suo interno un’importante corrente del suo partito, praticamente maggioritaria, il cui pensiero proponeva l’introduzione di cambi. In questa situazione la Corrente Rivoluzio-naria esce dall’URNG ed inizia uno sforzo per costruire un nuovo partito.
La base del nuovo partito -che si propone di prendere la personalità giuridica con il nome della forma elettorale apparsa nel 1999, cioè Alleanza Nuova Nazione, ANN- realizza un enorme sforzo che permette il suo riconoscimento in tempi brevi e praticamente senza contare con risorse; ma, in conclusione, non si affaccia nulla di nuovo rispetto all’esperienza della URNG. Con lo svantaggio di aver perso peso politico e militanti rivoluzionari, la costruzione del partito si converte quasi in un fine in sé e nell’attività praticamente unica e totalizzante del gruppo della Corrente Rivoluzionaria.
Di nuovo si commette l’errore di priorizzare l’attivismo politico-organizzativo e si lascia da un lato la costruzione del progetto politico. Si dimentica che la direzione da mantenersi, indipendentemente dal generale e dall’indefinito di questi tempi, è quella del Progetto Rivoluzionario.
Il maggior errore, però, che si commette è utilizzare, di nuovo e come sempre, le organizzazioni rivendicative del movimento sindacale e popolare come strumento parlante al servizio degli interessi del partito e, in alcuni casi, delle ambizioni politiche dei dirigenti di quelle organizzazioni. Si getta così fuori dal finestrino, con queste concezioni, un validissimo sforzo che la Corrente Rivoluzionaria aveva realizzato per costruire il Coordinamento Nazionale Sindacale e Popolare (CNSP) il cui obiettivo fondamentale radicava nel riscattare gli Accordi di Pace come strumento di lotta e fonte di diritti politici ed economici delle masse popolari. Benché movimento nuovo e con poche risorse, il livello di mobilitazione e di pressione sociale che la CNSP si conquista sul terreno diviene molto importante; specialmente rispetto alla sua efficace opposizione contro la firma e l’implementazione del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, del Piano Puebla Panama e dell’ALCA.
I danni che derivano alla CNSP dall’essere stata utilizzata come piattaforma per la costruzione del partito sono grandi. Alcuni dei suoi principali dirigenti abbandonano il loro lavoro organizzativo per occuparsi totalmente della campagna del partito e delle loro proprie candidature. La lotta di classe passa in seconda linea e l’incapacità di mobilitazione si presenta puntuale; il riflusso continua. Nonostante gli sforzi di ANN per creare spazi di libera discussione essi risultano insufficienti e ritornano i già denunciati vizi tradizionali. Inoltre, in questo specifico contesto, l’adesione al partito si realizza prioriz-zando la necessità di raggiungere il numero minimo di iscritti che la legge esige, cosa che nel migliore dei casi si risolve o decide sulla base di relazioni personali. Con frequenza sono presentati dirigenti di organizzazioni rivendicative con notevole capacità organizzativa ma con poca attitudine alla dinamica parlamentare; ci sono molti casi in cui si sono persi ottimi dirigenti per pessimi deputati. In generale i membri delle organizzazioni sociali si sentono utilizzati come trampolino politico senza che vi siano concrete ricadute né politiche né sociali.
I risultati ottenuti dai due partirti della sinistra, anche se i nove deputati ottenuti da ANN possono inclinare all’ottimismo, evidenziano invece la grandezza della sua crisi. Nonostante l’enorme logoramento che la destra ha patito nell’esercizio del potere politico, prodotto della sua incapacità di gestione e della generalizzata corruzione realizzata dai suoi amministratori, non c’è stata da parte della sinistra la capacità di capitalizzare i disastri sociali provocati dall’avversario; e di nuovo la destra, anche se distinta nell’origine e nella composizione dalla precedente che governava, è quella che ottiene il trionfo elettorale. Il fatto che URNG abbia ottenuto due deputati, appena sufficienti per non sparire legalmente come partito, e una strepitosa sconfitta nell’elezione presidenziale dove non arriva al tre per cento dei voti; e che ANN abbia ottenuto nove deputati con il voto della piccola borghesia urbana; e che entrambi i partiti siano inesistenti nell’area rurale dove si suppone dovevano avere il maggiore appoggio, dovrebbe fare seriamente riflettere. É evidente che la sinistra ha perduto la sua capacità di convocazione e di mobilitazione. Certamente, la mancanza di lavoro politico, la manipolazione delle organizzazioni rivendicative e la logica elettoralistica hanno tenuto un altissimo costo per la sua immagine.
In questo momento sembra non esservi spazio per una partecipazione reale delle organizzazioni popolari; uno spazio dove si comprenda la necessità strategica del loro rafforzamento attraverso espressioni proprie del popolo, con una dinamica organizzativa e di direzione che deve rispondere ai suoi propri interessi e che permetta un coinvolgimento di massa. La sintesi politica, senza subordinazioni e manipolazioni, può avvenire solo dopo.
L’altro risultato che deve analizzarsi adeguatamente è la mappa politica che esce dal secondo turno delle elezioni del 28 dicembre del 2003, in particolare il risultato ottenuto dalla UNE e da Álvaro Colom; più di un milione di voti per una op-zione di destra con tratti populisti, che la gente ha continuato ad interpretare come oppositrice al grande potere economico.
Dov’è oggi la sinistra?
Oggi la sinistra guatemalteca è dispersa, senza progetto politico e senza articolazione. Una parte importante dei suoi componenti è piegata nella lotta quotidiana per la sopravvivenza personale e, nel peggiore dei casi, cooptata politicamente ed economicamente dal Governo. Una parte dei quadri della sinistra si è rifugiata negli Organismi Non Governativi (ONGs) di distinto tipo, specialmente quelli sui diritti umani, da dove ha anche dato importanti appoggi al processo di democratizzazione; però, in generale, queste ONGs rispondono ad interessi personali. Chi vi lavora tende a sviluppare azioni politiche senza "bruciarsi" in nessuna organizzazione, in modo da non avere problemi per la continuità dei finanziamenti.
É evidente che i due partiti di sinistra, che come tali esistono, non incidono più in là dei propri membri e, in alcuni casi, neppure in quelli. Ma la sinistra guatemalteca non è solamente URNG e ANN. C’è un’importantissima parte di essa che s’incontra disseminata nel paese e che non ha incontrato né spazio per partecipare in termini costruttivi né opportunità che le permettessero apportare. Intanto che la sinistra non esiste come movimento che abbia capacità oppositive e propositive rispetto alla Stato e al potere economico, esiste la necessità di rifondarla sulla base di una forza sociale che attui e si esprima politicamente. Se in questo momento il percorso di rifondazione e rafforzamento della sinistra non passa per i partiti, sono questi che devono sviluppare la loro propria autocritica ed una pratica rinnovata per contribuire allo sviluppo delle forze sociali popolari.
Comunque, il processo di rifondazione e rafforzamento deve uscire dalla logica elettorale e soprattutto dalla logica di potere che si esprime autoritariamente all’interno e che dimentica che il vero potere da conquistare si trova da un’altra parte e sta nella trasformazione di una società escludente in cui le classi subalterne sopravvivono precariamente.Uno dei limiti da superare per la sinistra guatemalteca, e la pratica dell’avanguardismo assoluto ed escludente. Un secondo è la tendenza all’autoreferenza per mezzo di un apparente radicalismo che immobilizza e porta alla marginalizzazione e irrilevanza politica. É indispensabile prendere coscienza che la sinistra si è costruita, formata e sviluppata sulla base del verticalismo, affinché si cessi di riprodurre l’autoritarismo e si costruisca la democrazia interna.
Questa è una prima sfida per l’attuale sinistra. Non è una questione secondaria. L’idea principale che sta dietro questa proposta è importante: il trionfo ideologico-politico raggiunto dalla destra negli ultimi lustri (l’epoca del neoliberismo e della globalizzazione) dipende in parte dalla vasta distruzione applicata al linguaggio della sinistra, le cui nozioni chiave hanno perso significato nell’immaginario sociale convertendosi, per la maggioranza, in proposte e mete "del passato", caduche e senza sostanza.
Chiaramente, questo è solo il principio. Non può essere sufficiente riproporre vecchi problemi con un linguaggio nuovo, per eccitante che possa sembrare. La politica non è solo questione di passione comunicativa. É necessario costruire nuove proposte adeguate alle contraddizioni dell’oggi e che siano capaci di risvegliare lo stesso entusiasmo per i cambiamenti di fondo, radicali, così come è stato per noi quando lottavamo per costruire il socialismo in Guatemala. E questo è un problema su scala mondiale della sinistra.
Una seconda sfida risponde alla necessità di arricchire il patrimonio teorico-politico grazie all’integrazione di numerose problematiche ignorate dal pensiero classico o alle quali non sono state date attenzioni minimamente sufficienti. Possono citarsi le questioni che hanno rapporto con l’identità, l’equità di genere, l’ambiente, per elencarne alcune. L’inadeguato approccio a questi problemi, o meglio la loro omissione, ha permesso alla destra di assumerli in proprio oppure, in altri casi, a correnti che si definiscono di sinistra di collocarli in una prospettiva dove essi trovano soluzione all’interno del capitalismo stesso.
Guatemala, dicembre de 2003
Recent Comments