PER UNA COMMEMORAZIONE MILITANTE di Ernesto Che Guevara, comunista.
9 ottobre 1967 – 9 ottobre 2013
cheguevara
L’eredità del Che nelle guerriglie Centro Americane nel periodo dal 1966 al 1996.
0. Premessa.
Separare il Centro America dal contesto continentale dell’azione del Che e di Cuba, è senz’altro una forzatura. Il Sud America -Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Bolivia, Colombia, Venezuela- è stato, infatti, teatro importante di lotta armata per il socialismo che sempre ha avuto come riferimento la figura complessiva del Che e spesso il suo appoggio personale. La separazione meccanica risponde quindi alla necessità di isolare “il fenomeno” per poterlo minimamente analizzare al fine di evidenziare alcuni dei contributi originali, e in questo caso innovativi, di quella guerra popolare che le forze rivoluzionarie svilupparono creativamente in quella specifica regione. Guerra popolare la quale rappresentò allora, nella decade degli ’80, il punto più alto dello scontro con l’imperialismo statunitense.
Pur semplificando il compito con la sola focalizzazione centroamericana, il tema resta molto vasto e molto complesso e di conseguenza per parlarne in tempi compatibili con l’iniziativa si è dovuto inevitabilmente ricorrere ad estreme sintesi.
1. Costruire in Centro America, sulla base dell’esperienza di Cuba, le condizioni per il socialismo attraverso l’unico mezzo a disposizione: la guerra popolare.
Il Centro America è stato immerso sino ai primi decenni del secolo XIX in una piena situazione coloniale, cioè in una situazione nella quale un popolo è governato solamente in funzione degli interessi economici delle classi dominanti di una nazione straniera. La struttura della società centroamericana rispondeva infatti integralmente agli interessi della nobiltà e dell’alta borghesia spagnole nella correlazione di potere, all’interno di quello Stato monarchico europeo, che le legava.
Questa situazione produsse di conseguenza una peculiare classe dirigente autoctona, conosciuta come “criolla”, la quale, composta esclusivamente dai figli degli spagnoli nati in America, era dirigente solo “a metà”. Forte economicamente, era infatti priva del controllo dello Stato che era riservato agli alti funzionari che la corona inviava periodicamente dalla Spagna per garantire ed inviare alla metropoli la ricchezza a lei spettante estratta dallo sfruttamento delle colonie.
All’ottenere l’indipendenza da essa, essenzialmente a causa dell’indebolimento irreversibile di quella monarchia, i gruppi sociali -i criollos- che presero il potere lo utilizzarono precisamente per beneficiarsi totalmente della struttura coloniale, non per trasformarla. La dittatura “criolla” fu in concreto una continuazione della “piena situazione coloniale”, “liberata” però dal controllo e dal prelievo spagnoli.
Questo spiega in gran parte come la subordinazione delle oligarchie centroamericane a fronte delle imposizioni piratesche dell’efficiente aggressività del capitale finanziario statunitense, sia stata totale e “naturale”, coerentemente con il loro “DNA” di classi dirigenti “a metà”. Si era cioè, per dirlo con una metafora, in presenza di un cane molto più grosso al quale si era storicamente abituati a cedere la gran parte dell’osso da rodere.
Questa fusione di interessi e divisioni di ruoli tra le borghesie centroamericane e l’imperialismo statunitense, produsse di conseguenza una struttura politico-militare insuperabile per quelle forze rivoluzionarie che dal 1930 al 1950 dettero vita a tentativi di emancipazione nazionale e sociale per le proprie rispettive masse popolari. Tentativi sempre affogati nel sangue: iniziando con Farabundo Martí (1893-1932) nel Salvador con la repressione delle lotte popolari culminate in una ribellione (1930-1932), proseguendo con Augusto César Sandino (1895-1934) in Nicaragua con il tradimento degli accordi di sovranità nazionale raggiunti attraverso la guerriglia sandinista (1928-1934) e terminando con l’invasione statunitense che cancellerà la “rivoluzione di ottobre” guatemalteca (1944-1954) frutto di una rivolta di militari progressisti appoggiati da lavoratori e studenti. Il saldo di morte che si avrà in ciascuno di questi tre rispettivi paesi si calcolerà con il metro delle decine di migliaia.
In questo contesto sia di sconfitte delle forze popolari, che, soprattutto, di mancanza di riferimenti e di prospettive tattiche e strategiche di vittoria, si comprende dunque la straordinaria forza dimostrativa assunta dal Manuale “La Guerra di guerriglie” scritto dal Che nel 1960: sintesi essenzialmente militare -ma anche politica- estratta dalla vittoriosa esperienza della Rivoluzione Cubana riguardante la strategia, la tattica, la struttura organizzativa di una formazione guerrigliera e il ruolo del combattente rivoluzionario, per affrontare un nemico, uno Stato, fortemente più numeroso ed armato. In modo molto convincente e basato sui risultati cubani il Manuale “La Guerra di guerriglie” provava ai rivoluzionari nicaraguensi, guatemaltechi e salvadoregni che, esattamente nella situazione oggettiva dei paesi centroamericani “sì, si poteva”.
Dirà a questo proposito l’ultimo Comandante in Capo delle FAR in un colloquio dell’agosto 2002: “Eravamo sicuri che, come i cubani, in due, tre anni saremmo entrati a Città del Guatemala con i nostri compagni e le nostre compagne sui carri armati”.
Non è dunque assolutamente casuale che:
– nel luglio del 1961 i nicaraguensi fondino in Honduras il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN).
– nel dicembre del 1962 i guatemaltechi diano vita alle Forze Armate Ribelli (FAR).
1.1. Necessità di alcune precisazioni su FSLN, FMLN, URNG.
Le vicende politico-militari delle due formazioni rivoluzionarie marxiste e leniniste prima citate, FSLN e FAR, sono molto complesse e dense di contraddizioni interne che non tratteremo nel presente contesto. Chiaramente esse sono anche funzione della capacità di risposta del nemico -che sì, invece, analizzeremo- ed avranno come risultato scissioni e conseguenti nascite di nuove formazioni guerrigliere.
L’FSLN, guidato, sino alla sua morte, da Carlos Fonseca Amador (1936-1976), ritroverà l’unità formale tra TI, TP e GGP nel marzo del 1979, in vista della presa del potere che concretizzerà con l’entrata in Managua il 19 luglio 1979.
Le FAR, dopo la morte del loro Comandante politico-militare Luis Turcios Lima (1941-1966), si scinderanno in 2 distinte formazioni guerrigliere, EGP ed ORPA e ritroveranno solo nel febbraio del 1982 la capacità di riunirsi (anche su forti suggerimenti dei cubani). FAR, EGP ed ORPA, assieme al PGT (partito comunista), che non riuscirà mai a dar vita a nessuna propria formazione politico-militare, costituiranno così l’Unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca (URNG).
Vicende analoghe valgono ugualmente per i salvadoregni. Nel loro caso si avrà però un “ritardo” non indifferente nell’inizio della lotta armata. Occorrerà aspettare il 1970 per la nascita della prima formazione guerrigliera, le Forze Popolari di Liberazione (FPL). L’FPL sarà guidato da Cayetano Carpio, già Segretario generale del Partito Comunista, dimessosi esattamente per l’incapacità teorica e politica del suo partito a comprendere che la fase storica del paese era quella della guerra popolare prolungata; parte della causa di questo “ritardo” è dunque anche da ascriversi alla posizione del forte Partito Comunista de El Salvador (PCdS) che solo nel suo VII Congresso, aprile 1979, essendo Segretario Generale Schafick Jorge Handal[1], assumerà la lotta armata come forma principale della lotta di classe nel paese. È così che:
– nel dicembre del 1980 i 5 movimenti rivoluzionari salvadoregni si fonderanno nel Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN).
2. “Guerra di guerriglie”, una sintesi del Che per indicare la soluzione alla lotta anticapitalista ed antimperialista.
In questo testo il Che, in maniera tanto esplicita quanto implicita, sottolineerà costantemente come l’uso della Guerra di guerriglie per la conquista del potere politico debba sempre rispettare due leggi, pena la distruzione:
– evitare la caduta in ogni tipo di dogmatismo ideologico, politico e militare;
– mantenere sin dalla fase iniziale della lotta guerrigliera il suo necessario carattere di lotta di massa la cui forma visibile, in questa accezione, è rappresentata da una avanguardia combattente.
2.1. Fondamenti: si può vincere il molto con il poco, il meglio armato con il peggio armato.
Nel Manuale -scritto nel 1960 dal Che, che sempre sottolinea come i suoi contenuti derivino dalla concreta esperienza della Rivoluzione cubana- vengono fissati tre punti che rappresentano l’essenza del perché la lotta guerrigliera, il metodo della lotta guerrigliera, sia lo strumento opportuno per la vittoria. Ovvero:
1. le forze popolari possono vincere un esercito;
2. il “foco” guerrigliero stesso può creare alcune delle condizioni necessarie allo sviluppo della rivoluzione;
3. la guerriglia in America Latina deve essere essenzialmente rurale.
I primi due punti, nel loro impatto iniziale, sono la dichiarazione che è ormai maturo il rigetto di ogni tipo di attesismo, meccanicamente abituato a giustificare la sua non volontà ad agire a causa sia dell’enorme inferiorità militare che della mancanza di condizioni politiche, strutturali e organizzative.
Il terzo punto dà invece, immediatamente, il senso di una affermazione di valore strategico: esso indica infatti nella classe contadina la forza d’urto della rivoluzione, il cui centro viene così spostato dalla città alla campagna. Non è infatti un caso che questo spostamento del baricentro rivoluzionario sia stato uno dei fattori che ha generato quelle contraddizioni interne al PCdS di cui prima abbiamo accennato, sciolte solo nel 1979 con la decisione di aderire alla lotta guerrigliera.
Conseguentemente all’indicazione di considerare la guerriglia rurale come asse della rivoluzione, il Che assegna al guerrigliero il ruolo di un rivoluzionario agrario che incarna i desideri della gran massa contadina ad avere campi da lavorare, mezzi di produzione ed animali necessari. Indipendentemente dalla forma ideologica che possa assumere la rivoluzione in America Latina, essa, egli dice, sarà inizialmente incernierata sulla aspirazione a possedere la terra. Il Che fa inoltre delle considerazioni sulle somiglianze dell’esperienza della Rivoluzione cubana, oltre alla evidente compatibilità latinoamericana con essa, con la Cina di Mao, con l’Indocina di Ho Chi Minh e con l’Algeria in lotta contro i colonialisti francesi che detengono la quasi totalità della terre lavorabili.
Ma i punti 1. e 2. sono anche, contemporaneamente, qualcosa di più del rigetto dell’attesismo. Sono la dichiarazione che l’America Latina è ormai matura per entrare nella fase della guerra popolare di lunga durata. È infatti evidente come, per affrontare un esercito professionale appoggiato da potenze straniere e dalla borghesia nazionale, occorra che:
– la guerra di guerriglie debba necessariamente svilupparsi in una guerra di massa, di tutto un popolo del quale la guerriglia è inizialmente l’avanguardia combattente;
– la guerra di guerriglie debba necessariamente superare la fase che da lei prende il nome, poiché, di per sé, essa non potrà ottenere la vittoria. Per battere un esercito regolare appoggiato dall’imperialismo è necessario costruire un Esercito Regolare nato, quest’ultimo, da un Esercito Guerrigliero.
La validità complessiva dei tre punti, la possibilità di applicarli sul terreno, è però subordinata alla presenza di una condizione legata al nemico: che le forze popolari siano pienamente convinte dell’impossibilità di praticare una lotta politica legale per il potere. In caso contrario -dove esista un governo che sia tale per qualche forma di consulta popolare, fraudolenta o no, e che si mantenga anche solo formalmente sotto un’apparenza di legalità costituzionale- la guerriglia non potrà prosperare.
E questa condizione era sicuramente presente nella Cuba del golpe di Fulgenzio Batista del 1952, nel Nicaragua dei Somoza, nel Guatemala del 1954, nel Salvador delle dittature militari che si ripeteranno -separate da intervalli di tempo più o meno lunghi- dal 1932 alla fine degli anni ’70.
2.2. Indicazioni più propriamente operative caratterizzanti la lotta guerrigliera.
Il Che si riferisce a questo suo contributo denotandolo come Manuale, diviso in 4 Capitoli, e fa quindi occupare al “come” su scala operativa, ad un livello descrittivo di risoluzione abbastanza alta, la gran parte del testo. Del Manuale, però, questo contributo, toccherà solo alcune parti, riassunte e condensate, con l’obiettivo di trasmettere l’enorme complessità legata allo sviluppo della guerra popolare nell’accezione della lotta guerrigliera così come si è data a Cuba dal 2 dicembre 1956 al 1 gennaio 1959. Ovvero, si toccheranno:
– (I) le definizioni generali e specifiche utili a comprendere la logica della lotta guerrigliera;
– (II) le caratteristiche imprescindibili che deve possedere la forza combattente rivoluzionaria;
– (III) il teatro fisico dove si svolge la guerra e conseguente strutturazione della guerriglia; la organizzazione della guerriglia e le sue modalità di operare.
(I) Definizioni generali.
Significato di “Leggi”: La guerra risponde ad una determinata serie di leggi scientifiche le quali se disattese portano all’annientamento. La guerra di guerriglie ne è ugualmente subordinata ma ha anche delle leggi accessorie che saranno “fuse” nelle Conclusioni presenti rispettivamente in (I), (II) e (III).
– Strategia: analizza e definisce gli obiettivi da raggiungere in un quadro militare totale e le forme globali che permettono di raggiungerli.
Per un guerrigliero strategia significa:
comprendere le risorse che possiede il nemico per annientarlo, cioè: uomini, mobilità, appoggio popolare di cui eventualmente gode, armamento, capacità di direzione.
In merito all’armamento è fondamentale valutare il tipo e l’effettività delle armi nemiche -armi della fanteria, artiglieria, carri, aerei- contro la guerriglia; anche per il fatto che il fornitore maggiore di armi della guerriglia è il nemico stesso.
– Tattica: analizza e definisce il modo concreto di realizzare i grandi obiettivi strategici ed è contemporaneamente sia un complemento della strategia che una specie di regolamento della stessa.
[per Clausewitz (1780-1831) -che sarà il pensatore militare più “recuperato” dagli ufficiali di Stato Maggiore statunitensi per definire il contesto generale e operativo del successivo sviluppo della Guerra Controrivoluzionaria (1980-1990) che essi denomineranno Conflitto di Bassa Intensità- la strategia e la tattica rispondono al fatto (che): “la guerra si compone di un numero più o meno grande di atti distinti l’uno dall’altro (e cioè i combattimenti) che costituiscono distinte unità, come abbiamo dimostrato nel primo capitolo del primo libro. Da questa suddivisione derivano due attività completamente diverse, quella cioè di predisporre e dirigere, in se stessi, i combattimenti e quella di collegarli tra loro ai fini dello scopo della guerra. La prima è stata denominata tattica e la seconda strategia. Dunque la tattica insegna l’impiego delle forze nel combattimento: la strategia, l’impiego dei combattimenti per lo scopo della guerra.]
– Conclusioni: principio fondamentale è quello di non iniziare un combattimento se non si è sicuri di vincerlo; per la prima fase della lotta guerrigliera l‘obiettivo che regge ogni azione è quello di non lasciarsi distruggere; una volta assicuratasi la sopravvivenza la guerriglia deve incessantemente colpire giorno e notte. Nella fase superiore della Guerra di guerriglie si praticherà “l’effetto alveare”, cioè la separazione di una Colonna guerrigliera dalla vecchia zona di operazioni ad una nuova per aprire un altro Fronte, avendo per obiettivo il passaggio alla guerra convenzionale attraverso la costituzione di un Esercito Regolare nato dall’Esercito Guerrigliero.
(II) Caratteristiche imprescindibili.
– Mobilità: caratteristica fondamentale che riguarda sia l’allontanamento dal luogo dell’azione militare compiuta dalla guerriglia, che lo sfilarsi da un accerchiamento nemico per realizzarne uno ai suoi danni (contro-accerchiamento o minuetto).
– Flessibilità: capacità di capire che alcuni obiettivi tattici possono mutare nel corso della guerra, così come possono cambiare specifiche modalità del combattimento. Ề un fattore caratterizzante la superiorità della guerriglia a fronte di un nemico educato nella rigidezza dei metodi classici del combattimento.
– Capacità di sorpresa: fattore fondamentale legato alla conoscenza del territorio ed all’appoggio popolare.
– Conclusioni: viene individuato nella flessibilità uno dei fattori di superiorità a prescindere a favore della guerriglia.
(III.a.) – GUERRA IN TERRENI FAVOREVOLI:
è il teatro dove il nucleo iniziale della guerriglia decide di istallarsi, ovvero montagne con densa presenza di vegetazione.
– Uomini: il guerrigliero dovrà preferibilmente essere un abitante della zona, per i vantaggi di conoscenza del terreno e di appoggio sociale che avrà. L’importanza di possedere determinate qualità fisiche -instancabilità, sopportazione di sofferenze di qualunque tipo, adattabilità, flessibilità- e morali -implacabilità nel combattimento, rispetto del prigioniero, disponibilità a rischiare la vita quante volte sia necessaria ma attento a non esporsi inutilmente- è assoluta.
– Armamento: relativamente ad un gruppo, per esempio, di 25 uomini la situazione ideale può pensarsi in 10-15 fucili di lunga gittata, mentre il rimanente dovrebbe avere in dotazione armi automatiche o semiautomatiche (M-1 o Garand, FAL belga, Browning, eventuale mitragliatrice a tripode di contenimento).
Regime di Fuoco da rispettare: bassissimo. Il guerrigliero deve quasi ossessivamente risparmiare le sue pallottole, perché il problema dell’approvvigionamento di munizione è serissimo.
– Rifornimento: inizialmente la guerriglia dipenderà dai contadini e tutto deve essere pagato (“buoni speranza” in caso non ci sia denaro). Posteriormente sarà possibile realizzare linee di rifornimento esterne con basi intermedie (case di appoggio per nascondere di giorno le merci trasportate). In questa fase sarà anche possibile, internamente alla zona guerrigliera, fruire di prodotti agricoli e di allevamento di bestiame, frutti diretti delle braccia guerrigliere; anche occasione per provare e sviluppare nuove relazioni di produzione e di distribuzione. In quanto al Trasporto Carichi (anche se è molto difficile stabilire la capacità di carico soggettiva) ogni uomo può portare uno zaino da 25 kg. per molte ore e per molti giorni. Il mulo, quando sia possibile utilizzarlo, è un animale utilissimo per trasportare carichi molto pesanti.
– Organizzazione: indicativamente, non esiste uno schema unico, dice il Che, ma a “regime” una Colonna si comporrà di 100-150 uomini, non di più, agli ordini di un Comandante. La Colonna si divide in Plotoni di 30-40 uomini ciascuno agli ordini di un Capitano ed il Plotone si divide in Squadre di 8-12 uomini ciascuna agli ordini di un tenente.
La Squadraè l’unità tattica della guerriglia.
La Colonna sempre si muove con avanguardia e retroguardia, che assumono compiti di vigilanza e sicurezza, ma anche il Plotone deve avere una sua vigilanza.
A livello di Colonna si decide:
– il POSIZIONAMENTO dell’accampamento e le misure di PROTEZIONE da rispettare al suo interno (per esempio contro il fuoco dei mortai: trincee con “tetto”);
– la DISCIPLINA che è, anche, la garanzia basica della sicurezza in questa situazione di “riposo”.
Sempre a livello di Colonna si stabilirà una dottrina per:
– gli SPOSTAMENTI (misure di sicurezza ed ordine di marcia),
– gli ATTACCHI a caserme, accampamenti e convogli (armi da utilizzare: “molotov”; cartuccia di una carabina calibro 16 come vettore di una “molotov”, una versione popolare della bomba controcarro “energa”); bazooka;
– la USCITA DA UN ACCERCHIAMENTO.
– Combattimento: come evidenziato già a livello più generale, il combattimento deve realizzarsi in modo che sia garantita la vittoria perché essa, attraverso la sua costante reiterazione, è il primo anello tattico che condurrà al necessario passaggio dalla guerra di guerriglie alla guerra convenzionale.
All’interno del “ Combattimento”, nella prima fase della lotta guerrigliera, assume funzione fondamentale, l’IMBOSCATA ALL’AVANGUARDIA nemica. In questa fase l’esercito avrà come compito la penetrazione nel territorio insorgente con l’obiettivo di distruggere il nucleo armato, che sceglierà un terreno dove sia impossibile la manovra sui fianchi. In questa condizione l’avanguardia deve necessariamente esporsi per preservare il grosso della formazione nemica e verrà così puntualmente distrutta, data la facilità di isolarla. Questa situazione si ripeterà immancabilmente, generando di conseguenza terrore nella truppa avversaria che si rifiuterà di andare all’avanguardia sapendo di essere condannata a morte. Nella fase posteriore della guerriglia l’imboscata potrà coinvolgere tutta la colonna nemica operando un accerchiamento.
PLOTONE SUICIDA: a livello di Colonna, la riserva della guerriglia è rappresentata dal Plotone Suicida che verrà impiegato dove si decide un combattimento sia di attacco (annientamento) che di difesa (togliere il contatto). I suoi componenti devono essere assolutamente volontari.
– Industria di guerra: arriva in una fase già avanzata della guerriglia. È importante anche per iniziare a sviluppare relazioni produttive ed economiche distinte da quelle del modello sociale che si sta combattendo (il Che farà qui l’esperienza che gli servirà quando sarà Responsabile del Dipartimento di Industrie dell’Istituto di Riforma Agraria (ottobre 1959) e poi come Ministro del Ministero di Industrie (febbraio 1961), per implementare il Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento)
CONCLUSIONI:
– viene individuato un fattore di superiorità a prescindere a favore della guerriglia -che si lega con il precedente, la flessibilità, ed altri ancora (adattabilità, coscienza della lotta, eccetera)- per la differenza strutturale tra essa e l’esercito nemico. Perché “gli eserciti, strutturati ed equipaggiati per la guerra convenzionale, che sono le forze nelle quali si sostiene il potere delle classi sfruttatrici, quando devono affrontare la lotta irregolare che i contadini gli fanno nello scenario loro proprio, risultano assolutamente impotenti; perdono 10 uomini per ogni combattente rivoluzionario che cade, e la demoralizzazione li penetra rapidamente”[2];
– il nucleo armato della lotta guerrigliera opera in questo teatro ed è obbligato ad acquisire la comprensione sia di una serie di leggi derivate da quelle generali della guerra convenzionale che di quelle proprie della guerriglia. Ma deve inoltre subordinarsi a praticare da subito una stretta cospirazione o nel paese da dove partirà per liberare il proprio, o nel luogo del suo proprio paese dal quale si internerà poi in zone lontane e inaccessibili;
– il numero di uomini sufficienti ad iniziare una lotta armata in qualunque paese americano oscilla tra i 30 ed i 50.
Notiamo, tra l’altro, come questi due ultimi punti siano stati “il bagaglio” del Che all’inizio della sua missione internazionalista in Bolivia (novembre-dicembre 1966).
Rispetto all’obiettivo di trasmettere un’idea della complessità della guerra popolare nell’accezione della lotta guerrigliera, quanto detto sino ad ora potrebbe essere sufficiente. Per mantenere un criterio di coerenza minima -rispetto alla scelta di selezionare, riassumere e condensare- terminiamo con l’elencazione dei teatri d’operazione.
(III.b.) – Guerra in Terreni Sfavorevoli:
in questo teatro è necessaria una straordinaria mobilita, flessibilità e capacità di sviluppare attacchi notturni. La Formazione Guerrigliera non può superare i 10-15 uomini la cui clandestinità deve essere assoluta ed il cui armamento individuale sarà essenzialmente composto da armi automatiche, ma anche di fucili a pallettoni e di bazooka. Inoltre disponibilità di esplosivo. La sicurezza è un fattore basico per la sopravvivenza, per cui non possono esistere nemici all’interno della zona di operazioni.
(III.c.) – Guerra Suburbana:
in questo teatro si richiede il massimo grado di disciplina per i 4-5 uomini della Formazione Guerrigliera che deve essere totalmente subordinata al Comando della Guerriglia Rurale. L’armamento è composto da armi corte ed esplosivi, oltre che da attrezzi meccanici (pale, picconi, accette, eccetera). La Guerriglia Suburbana ha un ruolo importante nel sabotaggio, che non ha nulla in comune con il terrorismo. L’attentato e il terrorismo in forma indiscriminata sono vietati.
Il Manuale continua sviluppando, dalla sua specifica ottica, un panorama completo delle problematiche che la Rivoluzione Cubana ha dovuto affrontare per trionfare: l’appoggio popolare, lo sciopero; l’organizzazione civile (strettamente legata alla conduzione della Guerra Suburbana); il ruolo della donna; la sanità; la propaganda; l’informazione; l’addestramento e l’indottrinamento. Aspetti che saranno sempre analizzati dal Che nella prospettiva dei cambiamenti politici, economici e culturali che, essendo già in “in fieri” all’interno del contropotere presente nelle zone guerrigliere, si sarebbero poi dovuti sviluppare pienamente a vittoria raggiunta.
3. Il Manuale come una componente dell’azione globale per la costruzione del socialismo.
Il Manuale, con il suo obiettivo politico -si deve rompere con l’attesismo e ribellarsi- e la sua indicazione metodologica -in America Latina si può fare grosso modo così- avrà realmente un “peso” importante per i movimenti rivoluzionari di quel continente.
Nonostante questa verità, il Manuale va visto come parte indivisibile di una azione globale del Che legata alle fasi della presa del potere, della transizione al socialismo, della costruzione del socialismo, le quali, cosa non secondaria, sono state da lui incardinate all’antidogmatismo e legate tra loro dalla pratica militante dell’internazionalismo proletario.
Nel periodo nel quale il Che scriveva il Manuale, terminato nella prima metà del 1960, stava contemporaneamente sviluppando nella pratica e nella teoria -prima come Responsabile del Dipartimento di Industrie (1959), poi del Ministero di Industrie (1961)- un percorso, pensato per l’intero blocco socialista ma poi applicato in parte solo a Cuba, per limitare e successivamente eliminare la mortale permanenza di categorie mercantili legate alla “legge del valore”[3] nelle relazioni di produzione.
Questo percorso teorico e pratico del Che, come si sa, si concretizzò nell’applicazione del suo Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento (SPF) (di fatto in opposizione al Calcolo Economico usato nella Unione Sovietica), utilizzato in tutto il settore statale dell’industria cubana.
Quando, nel luglio del 1966, il Che, preparandosi a Cuba nella fattoria di San Andrés assieme al primo scaglione del suo gruppo per la missione in Bolivia, ricevette da Orlando Borrego Díaz un “omaggio” in sette volumi -El Che en la Revolución Cubana- “confezionato” dai suoi ex-collaboratori del Ministero delle Industrie dove si riassumeva anche il loro lavoro comune,[4] dirà incontrando nuovamente Borrego: “Sai a chi può essere utile tutto questo? Per esempio a Turcios Lima[5] … soprattutto quando si analizza, lì nei libri, il Sistema di Bilancio Preventivo. Se tutto andrà bene, quando vinceremo[6], anche noi lo applicheremo e già non sarà solo Cuba a sviluppare questo esperimento”. Questa visione globale dell’internazionalismo proletario non lasciava però posto a fraintendimenti, perché il Che così la esplicitava: “… che si sviluppi un vero internazionalismo proletario; con eserciti proletari internazionali, dove la bandiera sotto la quale si lotta sia la sacra causa dell’emancipazione umana, di tal modo che morire sotto le insegne del Viet Nam, del Venezuela, del Guatemala, del Laos, della Guinea, della Colombia, della Bolivia, del Brasile, per citare solo gli scenari attuali della lotta armata, sia ugualmente glorioso e desiderabile per un americano, un asiatico, un africano e, perché no, per un europeo”.[7]
4. La risposta imperialista attraverso la definizione e l’applicazione della “Guerra controrivoluzionaria”.
4.1. Aspetti generali della risposta militare e politica.
Dal 1959, anno della vittoria della Rivoluzione Cubana, sino alla metà degli anni ’70, l’imperialismo implementò, attraverso le sue specifiche strutture (Stati Maggiori e Servizi di sicurezza), uno studio sistematico per costruire una risposta compiuta e, nelle sue intenzioni, risolutiva alla guerra popolare prolungata. Gli Stati Uniti sono stati quelli che maggiormente vi investirono e la prima configurazione da essi prodotta venne formalmente inserita, e nel prosieguo dello scontro ripetutamente aggiornata, nella loro cosiddetta Dottrina di Sicurezza Nazionale.
Nel 1959 l’obiettivo pubblicamente conclamato si condensò in “Non permetteremo un’altra Cuba”
strutturando su due piani le misure per raggiungerlo.
Il primo piano consistette nell’intervenire economicamente e politicamente in tutta l’America Latina – soldi e riforme nel settore agrario, almeno nelle dichiarazioni; cose, comunque, che mai prima di allora erano state neppure accennate dalle amministrazioni statunitensi- nella speranza sia di distogliere che di contenere le richieste popolari che, totalmente disattese, finivano per prendere a riferimento i movimenti rivoluzionari in continua crescita. È esattamente come faccia pubblica atta a convincere le masse popolari latinoamericane che gli Stati Uniti “volevano migliorare la vita di tutti gli abitanti del continente”, che nel marzo del 1961 nasce l’Alleanza per il Progresso (ALPRO), cui si affianca la Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID). La realtà è che ALPRO e USAID entravano pienamente nella pianificazione della guerra controrivoluzionaria che vede la sua applicazione attraverso azioni sistematiche, continue, ampie, unificate nelle quali è inclusa a pieno titolo un “intervento civico” sotto responsabilità di tecnici non subordinati direttamente alla struttura militare. All’intervento civico, coerentemente sincronizzato con l’azione militare, è affidata la presenza sul terreno per sciogliere i “nodi” dell’istruzione, della salute; per inventare micro-progetti produttivi da finanziare; per affermare una “cultura di pace” attraverso una (mai realizzata) trasformazione del conflitto militare in “differenze” risolubili; per recuperare il “vero significato” dei diritti etnici e di genere.
È opportuno notare come ALPRO (1961-1965) e USAID (tutt’ora pienamente attiva) saranno anche i prototipi di quelle future proliferanti strutture -veri “cavalli di Troia” nel campo popolare- che qui in Italia prenderanno il nome di “Organismi Non Governativi” (ONG).
Il secondo piano fu quello militare, chiaramente ritenuto decisivo nella valutazione imperialista, che consistette nell’impostazione del recupero della iniziativa strategica e di quella sul terreno. Le premesse iniziali da cui gli Stati Uniti partivano erano due:
– la constatazione della “facilità” e della “naturalezza” con la quale si stava radicando la guerra popolare nei distinti teatri;
– l’inadeguatezza degli eserciti repressori nazionali da loro equipaggiati ed addestrati a confrontarsi, vedi appunto le sconfitte e il dissolvimento dell’esercito batistiano a Cuba, con il metodo della Guerra di guerriglie.
Gli Stati Uniti facevano dunque propria l’affermazione del Che (da lui ripresa dalla II Dichiarazione dell’Avana del febbraio 1962) che qui ripetiamo: “Gli eserciti, strutturati ed equipaggiati per la guerra convenzionale, che sono le forze sulle quali si sostiene il potere delle classi sfruttatrici, quando devono affrontare la lotta irregolare dei contadini nel quadro rurale, risultano assolutamente impotenti; perdono 10 uomini per ogni combattente rivoluzionario che cade, e la demoralizzazione penetra in loro rapidamente …”.
Ma non si limitarono ad assumere solamente questa affermazione. Dice Harry Villegas Tamayo, “Pombo”[8]: “Il Manuale del Che, “Guerra di guerriglie”, venne considerato dai nordamericani come la migliore elaborazione nel campo della guerra irregolare. Lo presero come testo di studio, per poi elaborarne uno loro proprio[9], sia per la profondità dei concetti che per l’aspetto didattico. I berretti verdi ci studiarono sopra per poi, ovviamente, applicarlo all’incontrario”.
Dall’analisi delle due premesse iniziali, per gli ufficiali superiori degli Stati Maggiori interessati e della CIA, derivò grosso modo, la necessità:
– di rivedere, attraverso un’analisi critica, gli accadimenti occorsi nei passati teatri di scontro dove l’imperialismo aveva subito sconfitte ma anche raccolto vittorie, come: in Grecia, 1946-1949; in Cipro, 1955; nella Zona del Canale di Suez, 1956; nell’Algeria,1954-1962; nel Kenia, 1952-1961; nella Malesia, 1956-1960; nelle Filippine, 1952-1953; nell’Indocina, 1943-1954;
– di definire un “crivello” selettivo per la scelta dell’analisi della “forma visibile” delle componenti fondanti il quadro della guerra popolare.
4.1.1. Soluzione militare: riprodurre il “come” ignorando il “perché”.
Il “crivello” operò la seguente polarizzazione, che indichiamo con POSITIVO per le componenti da assumere e con NEGATIVO per le componenti da rigettare:
NEGATIVO:
– non impantanarsi nell’analisi degli obiettivi politici, e quindi ignorarli, per il raggiungimento dei quali fu implementata ed applicata la “forma visibile” della guerra popolare, ovvero avere chiaro l’inutilità di volerla comprendere come risposta alla povertà, allo sfruttamento, all’imperialismo, alla cattiva amministrazione del governo locale e cose simili, poiché essa deriva esclusivamente dalla volontà di una feroce minoranza comunista di prendere il potere;
– non impantanarsi nel voler riportare la guerra popolare all’interno di soluzioni militari già manifestatesi in passato in base al fatto che suoi elementi isolati sono stati enunciati ed applicati da distinti comandanti militari in distinte epoche; la guerra popolare è un fenomeno totalmente nuovo che, pur utilizzato dal nemico come un tutto, va separato nelle sue parti politiche e militari le quali ultime vanno studiate dalla fonte.
POSITIVO:
enucleare, dall’analisi attenta del Manuale del Che, degli scritti di Mao Tse-tung e di Vo Nguyen Giap, la “forma visibile” (nel senso di esperienza sensibile) -una specie di neopositivismo militare- attraverso la quale i rivoluzionari implementano e applicano la guerra popolare. Questa “forma visibile” fu riproposta dagli statunitensi attraverso l’elaborazione di un loro schema, sotto schematicamente ripreso, che si sostanziava in “4 Fasi” e in “5 Principi”.
Le “4 Fasi”:
– organizzazioni di cellule e di reti:
– terrore rivoluzionario contro collaboratori civili e funzionari militari del governo;
– guerra di guerriglie urbana e rurale;
– guerra di movimento tendente verso il conflitto convenzionale.
I “5 Principi”:
– preservare le forze armate rivoluzionarie che vanno utilizzate solo quando vi è la sicurezza di annientare il nemico;
– costruire basi strategiche in distinti punti del paese come poli produttivi, come momenti di reclutamento ed educazione politica;
– mobilizzare le masse;
– sviluppare contatti internazionali;
– unificare tutte le azioni attraverso una opportuna centralizzazione.
ROVESCIAMENTO DELLA PRASSI:
– dall’analisi critica delle esperienze dell’imperialismo britannico e francese nel campo della lotta rivoluzionaria;
– dallo studio comparato del Manuale del Che, degli scritti di Mao Tse-tung e di Vo Nguyen Giap e dal bilancio derivante dalla loro applicazione sul terreno;
– dalla enucleazione della “forma visibile” della guerriglia di operare a livello organizzativo, le “4 Fasi”, e a livello strategico, i “5 Principi”:
gli statunitensi costruiranno due assiomi empirici, che a seguito mostriamo, sui quali baseranno il nucleo della loro risposta militare alla guerra popolare prolungata:
1. Un qualunque governo amico ha, potenzialmente, tutti gli strumenti e le risorse materiali per distruggere una iniziale formazione guerrigliera;
2. La potenziale capacità di vittoria del governo amico si concretizza in vittoria fattuale quando esso sarà capace di applicare inversamente le “4 Fasi” e i “5 Principi”, ovvero, li assumerà in senso contro-rivoluzionario costruendo e rivolgendo quasi letteralmente contro il nemico le sue stesse indicazioni ora trasformate nelle “Contro-4 Fasi” e nei “Contro-5 Principi”. Questo sarà possibile nella misura in cui le nostre risorse materiali saranno adeguate alle concrete necessità della situazione complessiva.
Per mettere in pratica quanto sopra veniva fondata nel luglio del 1963 la “Scuola delle Forze Armate degli Stati Uniti delle Americhe” -meglio conosciuta come “Scuola delle Americhe- che graduerà, sino al 1984, 60.000 tra militari e poliziotti di 23 paesi dell’America Latina.
È il caso di ricordare che tutti i militari e i poliziotti riconosciuti poi colpevoli di crimini contro i loro popoli -quelli del Cile, dell’Argentina, del Brasile, della Bolivia, della Colombia, del Salvador, dell’Honduras, del Guatemala (nel caso del Guatemala si parla di genocidio), nel periodo qui preso in considerazione, 1966-1996, sono passati dalla “Scuola delle Americhe”.
A seguito viene riportata la sua struttura schematizzata.
SCUOLA delle AMERICHE (1963-1984)
I) a Panama (1976-1984):
Fort Gullick: SIM; Operazioni SIM Rurali e Urbane; Dottrine
Dottrine Convenzionali: Politiche
Fort Clayton: Ingegneria Militare; Topografia; Cartografia
Dottrina di Guerra Aerea: Fort Albrook
Operazioni Contro Insurrezionali in ambiente di Selva Tropicale: Fort Sherman
II) Stati Uniti (sino al 1976):
Addestramento “Commandos” e “Rangers” – Georgia: Fort Bening
Dottrine Strategiche
Corsi per Ufficiali Superiori in – Washington: Fort L.J. Mc Nair
Operazioni Contro Insurrezionali
Operazioni di Guerra Non Convenzionale – Nord Carolina: Fort Bragg
III) Honduras (1983-1985)
“Commandos” e Coordinamento Regionale Centro Americano – CREM, Trujillo
Gli Stati Uniti al termine del 1965 avevano, ancorché in forma iniziale, approntato una risposta complessiva alla Guerra popolare; ed in effetti i risultati, per loro, cominciarono a vedersi poco dopo. Da allora il rapporto di perdite di 1:10 a favore dei combattenti rivoluzionari cui si riferiva il Che (“fattori di superiorità a prescindere” della guerriglia, punto 2.2.) non risultava più valido. Dice Harry Villegas, “Pombo” della sua esperienza in Bolivia: “loro (i berretti verdi) si inserivano come istruttori a livelli distinti (plotone, compagnia, battaglione) lasciando i compiti concreti sul terreno ai “naturali” ai “nativi”. Fu con questo metodo che formarono le compagnie che combattevano conto di noi e noi ci siamo resi subito conto che il rapporto qualitativo con il nemico stava cambiando. Iniziarono a combattere con maggior preparazione e abbiamo capito automaticamente che avevamo davanti un nemico più forte di prima con il quale era ora necessario essere più attenti. Ma non fummo attenti quanto avremmo dovuto perché la situazione non lo permetteva; non perché non sapessimo che stavamo violando i principi stessi della lotta guerrigliera.”[10]
4.2. Il teatro centroamericano e l’applicazione del “Conflitto di Bassa Intensità”.
Nel teatro centroamericano, il perfezionamento dell’applicazione della “Guerra contro-rivoluzionaria” sia a livello di preparazione militare (“Scuola delle Americhe”), che politico (modello di “democrazia elettorale” costruito per mascherare il terrorismo di Stato operante in Salvador, Honduras e Guatemala), aveva permesso agli Stati Uniti, all’inizio degli anni ’80, il rispettivo:
– superamento sostanziale dei limiti degli eserciti nazionali nell’affrontare un tipo di guerriglia come quelli indicati dal Che (cioè dei “fattori di superiorità a prescindere” della guerriglia esplicitati nel punto 2.2.) come dimostra la dichiarazione di “Pombo” (punto 4.1.1.);
– superamento formale -accettato però come superamento reale a livello internazionale- di governi criminali dittatoriale e fantoccio tipo Batista, aggirando così la condizione legata al nemico posta dal Che per l’applicazione dei tre punti.
Questo implicava direttamente come, da un punto di vista “meccanico”, il quadro complessivo, nel quale il Manuale costruiva e pianificava l’azione rivoluzionaria, non esistesse già più.
La negazione a subordinarsi ad una visione “meccanicistica” da parte dei movimenti guerriglieri, era stata il fattore che aveva permesso la vittoria dei sandinisti in Nicaragua (1979), facendo di conseguenza fallire l’obiettivo degli Stati Uniti di sostituire la dittatura di Somoza con un “governo elettorale” a loro totalmente subordinato. La presa del potere dell’FSLN rafforzava anche, e notevolmente, le forze rivoluzionarie dell’istmo -come in Guatemala, in parte in Honduras, ma soprattutto in Salvador- cosicché i nordamericani decisero di intervenire in tutto il Centro America, perché “perderlo” avrebbe significato per loro un cambiamento disastroso, e forse irreversibile, nella correlazione di forza mondiale.
Gli Stati Uniti agirono (1979) su due piani: uno interno e l’altro esterno.
Sul piano interno costituirono la struttura di comando di una “Forza Congiunta d’Obiettivo della Forza di Spiegamento rapido” (FSR) la cui pianificazione riguardava l’area d’intervento dei Carabi (e del golfo Persico) per l’inserzione rapida (scala di tempo: ore) di truppe nordamericane in quella regione. Le unità assegnate all’FSR erano le due Divisioni d’élite 82 e 101 aereo trasportate.Nel 1981 la FSR contava con 200.000 unità il cui impiego prevista riguardava la sola regione centroamericana (!).
Sul piano esterno -per noi quello centroamericano- l’asse della loro strategia fu quello di garantire addestramento e armamento ai “nativi” ai quali era affidato il compito di saturare il teatro di guerra e sconfiggere il nemico avendo come riferimento le “4 Contro-Fasi”. Esattamente con questo riferimento si addestreranno nella “Scuola delle Americhe” le truppe scelte “native”. In Honduras attueranno i “Cobra” e la “Contra”, la guerriglia contro rivoluzionaria nicaraguense forte di 12.000 uomini; in Guatemala i “Kaibiles” e le “milizie popolari”, le PAC. Ma lo sforzo maggiore, in quel momento, sarà esercitato sul Salvador, dove l’FMLN aveva conquistato -con l’offensiva del gennaio 1981- l’iniziativa militare. La formazione dei battaglioni Atlácatl, Atonal e Ramón Belloso, quest’ultimo elitrasportato, rispondeva ad un tentativo di recupero.
Ma la forza della guerra popolare e la forza dei movimenti rivoluzionari erano comunque così elevate, che il costo complessivo che gli Stati Uniti avrebbero dovuto pagare per una soluzione militare, era improponibile. Nonostante la potenza militare della FSR la vittoria sul campo non era né garantita né tanto meno definitiva.
Così, mentre i “nativi” erano occupati ad applicare le “4 Contro-Fasi”, gli Stati Uniti ripiegavano sull’idea di implementare i “5 Contro-Principi”. Tra questi risalta l’attenzione da loro data “allo sviluppo dei contatti internazionali”: Argentina, Cile, Israele, Corea del Sud, Taiwan, saranno infatti i criminali istruttori dei “nativi” nella applicazione delle “4 Contro-Fasi”: tortura, sequestri, gestione dei “villaggi modello”, controllo della popolazione urbana.
Per capire l’assunzione da parte statunitense di questa particolare Guerra Controrivoluzionaria in Centro America, può essere preso a riferimento il concetto di “vittoria” che appare nel testo militare del Colonnello Harry G. Summers:[11] “Vittoria è il raggiungimento degli obiettivi politici che dettero inizi alla guerra”.
Dalla sinergia tra le esperienze accumulate nella guerra controrivoluzionaria ed il pericolo di perdita dell’egemonia a causa delle vittorie della guerra popolare, l’imperialismo statunitense sviluppava così il concetto strategico di “Conflitto di Bassa Intensità” (CBI).
Il CBI si concretizzava in una nuova forma di guerra controrivoluzionaria prolungata, pensata per essere applicata alla specificità della situazione dei paesi centroamericani, che si appoggiava su tre assi basici:
– della contro insurrezione: intervenire laddove esista una minaccia evidente all’ordine stabilito (El Salvador, Guatemala), o anche una minaccia potenziale incipiente (Honduras) o ipoteticamente potenziale (Costa Rica);
– del rovesciamento dei processi sociali e politici: intervenire laddove si siano prodotti cambi strutturali che hanno invertito l’anteriore “status quo” (Nicaragua);
– “dell’antiterrorismo”: intervenire laddove i movimenti popolari e i governi nemici continuino ad erigersi a protettori “del terrorismo” (Cuba ed aree che eventualmente escano dalla “pacificazione”).
Dal 1981 al 1990, i movimenti rivoluzionari centroamericani affronteranno questa terribile concretizzazione imperialista: il Conflitto di Bassa Intensità.
Militarmente la loro tenuta sarà eroica e diverrà materia di studio per come contenere un nemico molto più forte; ma il progetto politico associato alla lotta guerrigliera sarà congelato.
Il prezzo di morte pagato dalle masse popolari a causa di questa particolare strategia imperialista di “bassa intensità”, sarà drammatico. L’Honduras pagherà con circa 10.00 morti; il Nicaragua (1981-1990) pagherà con 50.000; El Salvador (1970-1992) con 80.000; il Guatemala (1960-1996) con 250.000: un vero e proprio genocidio.
5. La contro-risposta delle guerriglie centroamericane avendo il Che come riferimento.
La contro risposta fatta propria dalla guerra popolare in atto in Centro America (1980-1990) è stata contemporaneamente tanto politica quanto militare. Questa contro risposta, nelle sue componenti qualitative e quantitative, rivela in sé l’impronta, l’eredità del Che dal quale essa ha assunto sia quelle categorie che risultano“sine qua non” per un percorso di lotta conseguentemente comunista, che soluzioni politiche e militari creative adeguate a fermare il nemico:
– l’antidogmatismo:
con il mutamento politico e militare operato dall’imperialismo statunitense -eliminazione della condizione vincolante per poter sviluppare la guerriglia e cancellazione dei suoi fattori di superiorità sul campo- di guerra popolare non si sarebbe neppure dovuto parlare in Centro America. Ma così non fu. Mantenendo gli obiettivi strategici, la costruzione del socialismo, venne infatti realizzata una analisi antidogmatica del modello -un tempo vincente, ma che il nemico era riuscito a scardinare- che produrrà soluzioni complessive (sotto tratteggiate) nelle quali il riferimento rimaneva:
– il Che delle prime righe del suo Manuale: ”La vittoria armata del popolo cubano … è un fattore modificatore di vecchi dogmi dell’America Latina … che dimostra la capacità del popolo di liberarsi da un governo che lo attanaglia attraverso la lotta guerrigliera”;
– il Che della critica aperta al “Manuale di Economia Politica” dell’URSS, che fornisce soluzioni concrete per sostituirlo, applicandole a Cuba ed in prospettiva ai futuri territori liberati dell’America Latina: Guatemala e Bolivia.
[non è forse male a proposito di antidogmatismo, anche se distante nel tempo e nello spazio dal Che, riprendere le riflessioni di Gramsci -il 24 novembre 1917 sull’“Avanti!”- che individuano nella rivoluzione guidata da Lenin la sconfitta storica dei marxisti “legali” russi che usavano Il Capitale di Marx a dimostrazione “della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che i proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione”]
– l’internazionalismo proletario:
senza una pratica rigorosa di appoggio reciproco politico e militare, le formazioni guerrigliere centroamericane (di cui una al potere in Nicaragua) non avrebbero potuti resistere all’urto dell’imperialismo statunitense. Armi, logistica, retrovie (Nicaragua in primis e poi Cuba) per ospedali, per corsi politico-militari, per momenti di valutazione e bilancio strategico: in due parole, internazionalismo proletario per la cui sintesi abbiamo, precedentemente, dato la parola al Che. Questo fu l’aspetto principale delle concrete relazioni delle formazioni guerrigliere durante lo sviluppo della guerra popolare in Centro America. Il riferimento al Che dell’internazionalismo proletario, che egli praticò con conseguenza e creatività, è, anche qui, totale.
– il superamento rivoluzionario del modello politico utilizzato nel Conflitto di Bassa Intensità:
crediamo sia dirimente, per capire il percorso di questo superamento, riportare (virgolettato) il nucleo della sintesi elaborata, anche auto-criticamente,[12] dall’intero PCdS (1988) ed esposta da Schafick Jorge Handal, la quale è paradigmatica delle altre tenutesi, sull’argomento, in tutte le formazioni rivoluzionarie centro americane (cambiano date e sigle).
“Il Che nel suo Manuale di “Guerra di guerriglie” diceva che a fronte di un governo costituzionale, o per lo meno che lo fingesse, non era possibile iniziare la lotta armata. Questa affermazione del Che rifletteva che, allora, le cause della rivoluzione erano vincolate a un determinato livello di violazione delle libertà democratico-borghesi, alla esistenza di regimi tirannici, a una problematico livello di sopravvivenza; cioè, a problemi politici e sociali molto grossi ed impattanti. Per questo la strategia del “Conflitto di Bassa Intensità” (CBI) elabora uno schema nel quale a livello politico esiste un governo di centro che simula porsi tra l’estrema sinistra e l’estrema destra. Un governo che mette in marcia un processo di “democratizzazione”, un governo che fa riforme socio-economiche e invita a incorporarsi a questo processo e smontare così le necessità della lotta rivoluzionaria.
Ma il risultato è molto, molto negativo per l’imperialismo e la sua strategia di CBI. Se continuasse ad essere vigente come un dogma l’insieme delle motivazioni raccolte dall’analisi del Che, che deve necessariamente esserci una dittatura cavernicola, senza nessuna vernice costituzional-democratica perché il popolo si ribelli, non sarebbe possibile la Guerra Popolare Rivoluzionaria che dal 1981 è scoppiata nel Salvador. La esperienza che noi stiamo vivendo nel Salvador dice totalmente un’altra cosa. Da noi, come strumenti del CBI, vi è stato un governo centrista; vi sono state riforme -riforme agrarie, nazionalizzazione della Banca, nazionalizzazione di una buona parte del commercio estero- ed a queste riforme si è permesso di continuare camminare. Quando facevano questo, è quando esattamente scoppiò la guerra rivoluzionaria. Ma assieme a queste misure politico-economiche, il nemico approfondiva fortemente i suoi sforzi repressivi per distruggere la rivoluzione, per annientarla fisicamente.
In questo contesto abbiamo però avuto la capacità di sviluppare una politica che ha elevato di molto le motivazioni dei popoli per assumere la lotta rivoluzionaria. Queste motivazioni sono più profonde, più radicate di prima; i popoli sono capaci di percepirle anche con la bende della “costituzionalità”, della pseudo-democratizzazione, delle riforme che i governi del capitale e dell’imperialismo vorrebbero mettergli sugli occhi. Questo sottolinea che la rivoluzione, nonostante l’opinione di molti teorici, incluso del nostro campo, continua ad essere una legge dello sviluppo sociale, la quale non può essere né addomesticata né evitata.
– il superamento rivoluzionario del modello militare utilizzato nel Conflitto di Bassa Intensità:
come già detto, lo sforzo antidogmatico della guerriglia centroamericana non riguardò, naturalmente, gli obiettivi strategici.
La lotta armata, tra tutte le forme di lotta, restava quella assolutamente principale e la costruzione della società socialista[13] la causa per la quale si combatteva la guerra popolare.
La contro-risposta militare al CBI -possibile anche per la correlazione di forza tra campo rivoluzionario e imperialismo statunitense impensabile al tempo della rivoluzione cubana- si sostanziava in:
a) un maggiore e migliore armamento che la guerriglia usava razionalmente e creativamente. Per questo, molto esemplificatamene, indichiamo alcune specificità dei teatri del:
– Salvador[14]: uso massiccio di esplosivo (mine antipersonali, anticarro, di contenimento); soluzioni originali per colpire obiettivi militari (caserme, elicotteri in volo); fronti verticali (Colle Guazapa);
– Guatemala[15]: uso massiccio di mine antipersonali, di imboscate contro l’esercito e contro la forza aerea;
b) una migliore preparazione tecnica del guerrigliero;
c) una decisa impostazione diretta al salto qualitativo da forza guerrigliera ad esercito regolare;
d) un aumento dell’importanza del ruolo della guerriglia urbana e conseguentemente del sabotaggio e dell’attentato.
Per confermare quanto ora detto è sufficiente l’esame dei temi, il loro sviluppo e la profondità di trattamento dei medesimi, che risultavano inseriti nei nuovi Testi Militari Rivoluzionari (1980-1996). Accenniamo ad alcuni di essi, inserendo una valutazione dell’Esercito Popolare Sandinista sulle caratteristiche che lo scontro in atto impone per lo spostamento dei combattenti (argomento che il Che tratta nel 3° punto del II° Capitolo).
– Manuale Internazionalista (1985):
trattazione molto dettagliata dei temi di tattica delle truppe guerrigliere; si pone attenzione alla topografia ed all’orientamento: per esempio all’uso delle bussole millesimali; si pone molta attenzione alla parte di ingegneria (genio militare): sabotaggi.
– FAR del Guatemala:
Manuale per l’Organizzazione dei piani di Combattimento (1991): dettaglia il significato di Informazione corretta e verificata; di Esplorazione; di Osservazione; di Pianificazione (grande attenzione alla realizzazione di distinti tipi di imboscate); di Realizzazione del Combattimento (scontro, accerchiamento, annientamento).
Progetto di regolamento Militare (1992): indica la necessità di costruire un Esercito Popolare e di stabilire conseguentemente, attraverso Articoli (ed associate Sanzioni applicate a coloro che li violino), ruoli e compiti delle distinte strutture militari che lo compongono. Parte con l’indicare i differenti livelli di Comando e le strutture ad esse subordinate in un Fronte di Guerra (Battaglione; Colonna; Plotone; Squadra (che conferma come unità tattica principale della guerriglia), per terminare con il fissare concretamente le pene delle mancanze commesse (è compresa la pena di morte, articolo 173.u.).
– Esercito Popolare Sandinista del Nicaragua[16]:
Manuale di marcia delle Unità e Piccole Unità (1986): inquadra il contesto dello scontro considerando possibile l’aggressione imperialista che sarà caratterizzata da:
– un amplio impiego della aviazione, fatto che obbligherà l’EPS a prescindere, in moltissimi casi, dall’uso di mezzi di trasporto su gomma o cingolati;
– la occupazione nemica di parte o gran parte del territorio nazionale.
Entrambe queste condizioni imposte dalla superiorità tecnica del nemico, richiederanno la costante realizzazione di marce tattiche (d’incontro con il nemico) ed amministrative (di solo spostamento).
Lo spostamento organizzato di truppe è un compito apparentemente secondario ma invece fondamentale e complesso (come il Manuale dimostra). È interessante vedere come la pressione imperialista faccia “regredire” la logistica di un esercito popolare alla precedente fase guerrigliera.
6. Conclusione.
Potrebbe essere interessante realizzarla collettivamente, all’interno della stessa iniziativa, con l’obiettivo di riportare alle condizioni presenti le necessità di recuperare e applicare qui ed ora: 1) la visione globale, come comunisti, dello scontro su tutti i livelli; 2) la lotta permanente contro il dogmatismo; 3) la comprensione di come le misure adottate dai governi borghesi (dalle elezioni, alle riforme, alle nazionalizzazioni -vedi quello che è successo dove l’imperialismo ha fatto tutte queste concessioni per vincere- non significhino assolutamente nulla; 4)l’applicazione dell’internazionalismo proletario.
[1] Schafick Jorge Handal (1930-2006) era di origine palestinese.
[2] “Táctica y estrategia de la Revolución Latinoamericana”, ottobre novembre 1962. Obras, Volume II, p. 502. Il Che riprende questo “assioma” direttamente dalla “Segunda Declaración de La Habana” 04-02-1962
[3] Il problema era già stato approcciato da Stalin nel 1952 in “Problemi Economici del Socialismo nell’Urss” [(p.120) – Cooperativa EDP, Milano, 1973].
[4] “Che el camino del fuego” (p. 377) – O. Borrego Díaz – Imagen Contemporánea, 2001.
[5] Luis Turcios Lima (1941 – 1966), era, come già detto, il Comandante politico-militare delle Forze Armate Ribelli del Guatemala (FAR).
[7] “Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinental”, en Supplemento especial, 16 aprile 1967. Obras, Volume II. p.596.
[8] Harry Villegas Tamayo, nome di combattimento “Pombo”, generale di Brigata delle Forze Armate Rivoluzionari di Cuba ha accompagnato il Che nella Sierra Maestra, in Congo e in Bolivia. È uno dei tre superstiti cubani di quella guerriglia. Da “La enseñanza del Che”, nel libro di Néstor Kohan “El sujeto y el poder” p. 331
[9] Questo testo, a sua volta, circolava all’interno delle guerriglie centroamericane.
[10] “La enseñanza del Che”, nel libro di Néstor Kohan “El sujeto y el poder” p. 341.
[11] “Sulla Strategia.Una Analisi Critica della Guerra del Vietnam”.
[12] il PCdS non si nascose dietro il fatto che, alla caduta del Che, la sua dirigenza non ne capiva correttamente, a causa di concezione dogmatiche e di ritardo nella elaborazione rivoluzionaria, né il contributo teorico, né quello dell’azione. Questo, in realtà, occorse anche in Italia. Nell’agosto del 1968, dopo l’uscita del “Diario del Che in Bolivia, “nuova unità”, per la penna di un suo dirigente, ne realizzerà un commento con citazioni (inesatte) il cui titolo è esplicativo: “Nelle parole di Che Guevara il fallimento del “guevarismo””. In maniera equivalente, ma su un argomento apparentemente diverso, nel giugno del 1967, “Rivoluzione Proletaria” aveva attaccato il “castrismo-guevarismo”.
[13] il Manuale delle FAR guatemalteche “Organizzazione dei Piani di Combattimento” del 1991 terminava con l’appello: “A vincere o morire per il Guatemala, la Rivoluzione e il Socialismo”
[14] il teatro era essenzialmente adatto ad una guerriglia suburbana: paese piccolo -circa 21.000 kmq.- poco boscoso e con 4-5 milioni di abitanti.
[15] il teatro era maggiormente adatto ad una guerriglia rurale: estensione di circa 110.000 kmq. con presenza sia di montagne che di selva tropicale e con 8-9 milioni di abitanti.
[16] estensione di circa 130.000 kmq. con presenza sia di montagne che di selva tropicale.
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