COMUNICATO IN OCCASIONE DEL 45 ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL FPLP

COMUNICATO IN OCCASIONE DEL 45 ANNIVERSARIO DELLA
FONDAZIONE DEL FPLP

In occasione del 45 anniversario della fondazione del Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina, salutiamo e rendiamo omaggio ai compagni da sempre in lotta contro il sionismo e
l’imperialismo, per una Palestina laica, democratica e socialista.
Come organizzazioni che combattono per la fuoriuscita dal capitalismo e la costruzione di una
società socialista riteniamo che il fronte di lotta contro il capitalismo sia unico e che il contributo
dato dai nostri compagni del PFLP nella resistenza contro il sionismo sia fondamentale.
Ribadiamo il nostro impegno nella campagna per la liberazione del leader prigioniero Ahmed
Saadat e la nostra inestinguibile inimicizia contro il sionismo.

FINO ALLA VITTORIA!

COORDINADORA GUEVARISTA INTERNACIONALISTA

Brigate di solidarietà e per la pace- Italia

Frente Accion Revolucionaria-Argentina

Movimiento Revolucionario Oriental- Uruguay

RIVISTA “PENSIERO CRITICO”

La fase attuale caratterizzata da una sconosciuta, almeno dal secondo dopoguerra, aggressività capitalista e imperialista: –  tanto interna, contro le condizioni di vita delle classi subalterne della metropoli europea; – quanto esterna, aperto banditismo internazionale (vedi Libia, Libano, Siria, Iran);  dimostra … la necessità assoluta e urgente di “riprendere” e “rifondare” un metodo che permetta un riferimento teorico comune e una prassi condivisa dalle avanguardie reali e potenziali che vogliono lottare per l’emancipazione delle classi subalterne dei loro popoli. Questo significa,  “riprendere”  il “rifondare”, riattivare il metodo marxista. Nel 2008, come insieme di organizzazioni e militanti che erano sopravvissuti alla sconfitta dell’ondata rivoluzionaria dei decenni del ’70, insieme alle nuove generazioni forgiate al calore della lotta di classe in questo nuovo millennio, avendo assunto il guevarismo come continuazione dell’ideologia marxista e leninista e avendo un  profondo orientamento internazionalista, abbiamo unito gli sforzi per produrre analisi e azione politica rivoluzionaria unificata, costituendo il Coordinamento Guevarista Internazionalista (CGI). Di anno in anno abbiamo realizzato incontri internazionali di analisi, dibattito e azione politica, generando accordi e una identità comune che ha la pretesa di dare e portare il meglio di sé per l’unità dei rivoluzionari e della lotta per il socialismo.

Nel febbraio di questo anno, nel nostro V incontro internazionale abbiamo deciso di pubblicare una rivista politica come una trincea in più da dove sviluppare la battaglia delle idee, essenziale allo stesso livello della costruzione di una forza materiale che sommerga nell’immondezzaio della storia il sistema capitalista, dato che non si dà azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria. Così, noi, le Brigate di Solidarietà e per la Pace (BRISOP) dell’Italia, il Fronte di Azione Rivoluzionaria (FAR) dell’Argentina e il Movimento Rivoluzionario Orientale (MRO) dell’Uruguay, componenti della CGI, rendendo omaggio alla figura del Comandante Ernesto Che Guevara, alle eccezionali generazioni di rivoluzionari che hanno diffuso e diffondono con il loro esempio la rivoluzione socialista in tutti gli angoli del pianeta, abbiamo deciso di pubblicare una rivista politica che contribuisca allo sviluppo del pensiero politico e al dibattito internazionale. La decisione di riprendere il nome di “Pensamiento Crítico” si ispira all’emulazione di una delle pubblicazioni che ha realizzato contributi fondamentali per lo sviluppo del pensiero marxista dal punto di vista del mondo sottosviluppato, dalla periferia che si ribellava nel fragore del combattimento contro lo sfruttamento capitalista. Così come si ispira contemporaneamente alla necessità del recupero dell’ideologia marxista, comunista e di lotta per il socialismo come un improcrastinabile dovere che ci impone il momento storico. QUI POTETE SCARICARE LA RIVISTA  pensierocritico

9 ottobre 1967 – 9 ottobre 2012: Ernesto Che Guevara, comunista.

9 ottobre 1967 – 9 ottobre 2012: Ernesto Che Guevara, comunista.

1. PER UNA COMMEMORAZIONE MILITANTE.

Commemorare il Che, assassinato 45 anni fa dall’imperialismo statunitense, riflette anche la volontà e la convinzione attuali -nelle specificità concrete di questa fase- di continuare la lotta per gli strategici obiettivi politici da lui perseguiti. Questi obiettivi -perseguiti dal Che, come comunista, tanto nell’ambito nazionale della Rivoluzione Cubana che in quello intercontinentale della applicazione militante dell’internazionalismo proletario- possono così sintetizzarsi: costruire il socialismo sviluppando i necessari rapporti, la tautologia è solo apparente, di produzione socialisti. Il Che non si è limitato però ad enunciare e iniziare ad applicare nel Ministero delle Industrie da lui diretto questa “formula” binomiale, per lui imprescindibile, per la costruzione del socialismo -come vedremo poi- ma ha anche evidenziato che se all’interno del blocco guidato dalla Unione Sovietica non si fosse superata la contraddizione insita nell’utilizzazione delle categorie di mercato all’interno delle loro forme sociali di transizione al socialismo, i danni futuri che ne sarebbero derivati per la masse popolari, all’interno dei complessivi e totali rapporti di forza con il capitalismo, sarebbero stati incalcolabili1.

Così, ci sembra chiaro, è poi andata. Gli sviluppi politici degli accadimenti nazionali e mondiali che noi stessi abbiamo direttamente vissuto e subìto, hanno permesso alla borghesia di cancellare il concetto stesso di classe e con ciò la sua memoria, i suoi metodi di lotta, il suo ruolo storico e di conseguenza convincere le masse popolari dell’impossibilità di costruire una alternativa al modo di produzione capitalistico. Con ciò, e siamo ad oggi, dando la possibilità al capitale finanziario occidentale di scatenare sulle spalle delle masse popolari una devastante crisi, tanto sul piano politico che sul piano economico, che fa concretamente e fortemente arretrare, in Italia, il livello di milioni di famiglie riguardo al diritto alla alimentazione, all’istruzione, alla salute, alla casa, al lavoro, alla possibilità di incidere sul tipo di paese che esse vorrebbero.

È un fatto che le crisi hanno la capacità di mostrare la realtà come è e non come era “pitturata” prima del loro presentarsi: anche quella attuale lo ha confermato, rendendo evidente la strutturale volontà della democrazia borghese di sopprimere i diritti delle classi popolari aumentando nel contempo il loro scientifico sfruttamento; naturalmente attraverso l’insostituibile mediazione del suo “Comitato d’affari”: governo, partiti, sindacati.

Sono dunque ancor più presenti nei paesi a dittatura capitalista le condizioni per assumere una lotta secondo gli obiettivi indicati dal Che: soluzione socialista come unica condizione per l’emancipazione delle classi subalterne; analisi critica della sua prima esperienza, iniziata con la Rivoluzione del novembre 1917, come necessario strumento per fissarne (e superarne) i limiti segnati per lei dall’allora quadro storico ed economico.

Di questo Che, impegnato sullo strategico fronte dei problemi economici legati alla costruzione del socialismo attraverso un contributo che rimane di straordinaria attualità, cercheremo di parlare in questa sua commemorazione.

2. CONTRIBUTO DEL Che PER IMPLEMENTARE UNA ECONOMIA SOCIALISTA.

Del Che sono certamente più conosciuti gli eccezionali suoi contributi per la vittoria della Rivoluzione Cubana e per una nuova pratica militante dell’internazionalismo proletario, della quale le missioni in Congo e in Bolivia ne saranno l’applicazione sul terreno.

Il suo “terzo” contributo, che è in realtà un tutto unico con i precedenti, è applicato al settore economico; esso risulta palesemente meno conosciuto, ma, certamente, non meno importante degli altri “due” e consiste nella decisione strategica del Che di sviluppare una critica teorico-politica alla utilizzazione delle categorie di mercato all’interno della economia del blocco socialista, associando ad esse una contemporanea serie di proposte concrete per controllare e risolvere questa, che per il Che, era una pericolosissima e penetrata contraddizione. Proposte di controllo e di risoluzione non provenienti dalla sola riflessione teorica ma dalla pratica concreta da lui, e dai suoi collaboratori, sviluppata nella conduzione del Ministero delle Industrie -raggruppante tutto il settore statale produttivo di Cuba- che lo stesso Che diresse dal 1961 sino alla sua partenza per il Congo. Le proposte del Che si sostanziavano nell’implementare una analisi comparata di carattere tanto finanziario che politico tra i due metodi, allora vigenti a Cuba, di gestione economica; sia al fine di valutarne i rispettivi risultati che, in prospettiva, farne prevalere, in forma mediata, uno unico. Il primo metodo, conosciuto come “Calcolo Economico”, proveniva dalla esperienza sovietica e, come detto, utilizzava categorie di mercato anche all’interno del settore produttivo statale; il secondo invece, “costruito” dal Che e da lui denominato “Sistema di Bilancio Preventivo Finanziario”, le riteneva fonte di pericolosa contraddizione e conseguentemente le impediva. L’effetto risultante era che la produzione realizzata all’interno del Ministero delle Industrie si trasformava in merce solo all’uscirne, ovvero solo alla fruizione di essa da parte dell’usuario pubblico o privato. Il Che valutava positivamente i primi passi del “Sistema di Bilancio Preventivo Finanziario” nel suo Ministero, cosa che gli permetteva di affermare: “noi crediamo che lo schema di azione del nostro sistema, convenientemente sviluppato, possa elevare la efficacia della gestione economica dello Stato socialista, approfondire la coscienza delle masse e, sulla base di una azione integrale, coesionare ancora di più il sistema socialista mondiale.”2

Ma il contributo del Che superava chiaramente i limiti della pianificazione e della economia: egli aveva capito con estrema lucidità come la reale e visibile costruzione del socialismo rappresentasse nel quadro storico degli anni Sessanta, l’unico e possibile obiettivo per trasmettere alle masse popolari la convinzione che sì, valeva la pena di mettersi in gioco per quella lotta difficile e sanguinosa.

2.1. QUADRO REFERENZIALE E POSIZIONE SINTETICA DEL PROBLEMA.

Il Che era convinto, e non solo lui, che la Rivoluzione Cubana o sarebbe stata socialista o non sarebbe stata rivoluzione3. A vittoria avvenuta, l’applicazione del programma politico-economico dell’M26J attuata da Fidel Castro al ricoprire l’incarico di Primo Ministro del Governo Rivoluzionario, orientò, in modo del tutto naturale, lo sviluppo del paese secondo una prospettiva di fatto socialista. Non fu quindi casuale che le ostilità militari, politiche ed economiche messe in atto contro il popolo cubano da parte dell’imperialismo statunitense iniziassero a manifestarsi esattamente nell’ottobre del 1959 quando si cominciò ad applicare in maniera irreversibile la Riforma Agraria e non, invece, solo dopo che, con la dichiarazione del “Líder Máximo”, il cammino socialista della Rivoluzione venisse ufficialmente affermato4. Questo spiega anche lo stringersi, a partire dal febbraio del 1960, delle forti relazioni economiche, politiche e militari di Cuba con il blocco delle democrazie popolari e con l’Unione Sovietica in particolare. Nel contesto di estrema pressione cui era sottoposta l’Isola da parte dell’imperialismo statunitense, e che continuerà a farsi sentire a fasi alterne a tutt’oggi, l’aiuto sovietico, materiale e formativo, risultò, allora, forse decisivo. Ma, congiuntamente al complessivo blocco di aiuti, né poteva essere altrimenti, avveniva anche il relativo “trasferimento” dei princîpi e dei metodi di gestione e controllo propri della URSS, che almeno in parte intercettarono i fondamentali settori della pianificazione e dell’economia dello Stato cubano. I princîpi ed i metodi applicati dai sovietici in questi settori avevano mantenuto una continuità “genetica” con la struttura economica che la prima esperienza socialista, evidentemente condizionata dall’arretrato livello dei rapporti di produzione e delle forze produttive della Russia zarista rispetto agli altri paesi europei, era stata costretta a darsi in quello specifico contesto. I risultati visibili di questa continuità “genetica”, tanto nell’economia della URSS come in quella degli altri paesi del blocco socialista, erano conosciuti e visibili e si sostanziavano nella presenza delle categorie di mercato -denaro, prezzo, credito, interesse- all’interno delle loro formazioni sociali e dunque anche della “legge del valore”, elemento fondante del modo di produzione capitalistico.

2.1.1. CENNI SULLA LEGGE DEL VALORE E CONDIZIONI DELLA SUA ESISTENZA.

Marx ed Engels, nei loro poderosi contributi sul modo di produzione capitalistico -dirà il Che che “il marxismo è una delle cose realmente straordinarie che ha prodotto l’umanità, come teoria”5– avevano analizzato le condizioni sociali nelle quali prendeva validità la legge del valore, dimostrandone parimente la sua esistenza obiettiva, cioè indipendente dalla volontà degli uomini. Essi avevano scientificamente legato queste condizioni al livello di sviluppo delle relazioni di produzione e delle forze produttive proprie della società mercantile, “la cui base economica era la divisione sociale del lavoro”6, che, necessariamente, induceva una presenza stabile del mercato. La forma mercantile di produzione risultava storicamente caratterizzata da produttori indipendenti, isolati l’uno dall’altro tra i quali si svolgeva una lotta di concorrenza per vendere i propri prodotti-merci: cose, allora come oggi, dotate nello stesso tempo di qualità fisiche e di una qualità economica misurabile che, in quanto misurabile, permette il loro scambio in proporzioni determinate con altri prodotti-merci. Questa misurabilità (del valore economico della merce) era legata, per ogni produttore, al tempo di lavoro astratto necessario per la sua produzione (il valore di scambio), che non doveva né poteva però eccedere il tempo di lavoro socialmente necessario per produrre quella stessa merce: tempo, quest’ultimo, che risultava funzione sia dello sviluppo delle forze produttive che della abilità del produttore medio. La produzione globale per il mercato avveniva necessariamente in condizioni di totale anarchia: nessun produttore sapeva quale era il fabbisogno della merce che egli produceva attraverso il suo lavoro concreto specifico (il valore d’uso)7, né conosceva quanti altri produttori fabbricassero la sua stessa merce. La legge del valore-operante attraverso il valore d’uso, determinato dal lavoro concreto specifico; attraverso il valore di scambio, determinato dal lavoro astratto materializzato; e attraverso il tempo di lavoro socialmente necessario, determinato dallo stato dell’arte tecnologico e della capacità della mano d’opera- aveva dunque la funzione di regolatrice spontanea nella produzione della società mercantile, poiché, per i produttori di merci che avessero superato il tempo di lavoro socialmente necessario per produrle (troppo costose per il compratore o non remunerative per il produttore) l’espulsione dal mercato ne sarebbe stata l’automatica conseguenza. La legge del valore ha continuato ad essere presente, anche sein maniera certo distinta da come lo faceva nella forma mercantile di produzione, tanto nel capitalismo di prevalente concorrenza che, oggi, in quello di monopolio e, come detto, sin quando non è imploso, anche nel blocco socialista.

2.1.2. INTORNO ALLA PRESENZA DELLA FORMA VALORE IN URSS.

Per fissare le idee con due riflessioni, tra le molte possibili, tanto la conclusione di Engels che “il valore economico è una categoria specifica della produzione mercantile e scomparirà con essa, così come non esisteva prima”8, quanto la sua altra argomentazione di come nella società socialista non potesse operare la legge del valore9, risultavano dirimenti sul fatto che la presenza della forma valore e delle sue forme derivate nell’URSS, fossero nient’altro che le forme sotto le quali si ripresentavano determinati rapporti sociali, in quanto esse potevano “apparire” solo quando esistessero questi rapporti sociali e non altri (cioè quelli socialisti). Questa contraddizione, evidente per tutte e per tutti, doveva esserlo ancora di più per i sovietici. Essi dettero, nel tempo, delle risposte teoriche, che naturalmente non significavano nulla, poiché i problemi posti dalla presenza della forma valore sarebbero stati risolti solo con la sua scomparsa. Queste risposte, comunque, coincidevano, grosso modo, nel sostenere che la forma valore sussisteva perché esistevano molte forme di proprietà dei mezzi di produzione: proprietà statale, proprietà collettiva delle cooperative (kolhhoz) e proprietà privata. Questa fu la risposta data nel 1927 da E. A. Preobraženskij10 e da Stalin nel 1952, che però indicò come gli embrioni di scambio dei prodotti nella forma di “smercantilizzazione” dei prodotti agricoli esistenti nella società sovietica dovessero essere sviluppati in un vasto sistema che restringesse gradualmente il campo d’azione della circolazione mercantile ed estendesse di conseguenza il campo d’azione dello scambio dei prodotti.11 Questa indicazione, dopo la sua morte, venne dichiarata totalmente errata dalla Direzione del PCUS12 che, di fatto, assiomatizzò, attraverso il “Manuale di Economia Politica” redatto dalla Accademia delle Scienze dell’Urss,13 come tutte le categorie di mercato presenti nelle società socialiste svolgessero per le economie dei paesi socialisti stessi un ruolo necessario e positivo: la posizione al proposito, sino all’implosione dell’URSS, sarà che “la legge del valore perderà la sua vigenza quando non vi sarà necessità di produrre beni che siano anche merci … (cioè) con la costruzione della società comunista”14. L’accezione politica dell’avverbio temporale quando fissava così, lo sottolineiamo nuovamente, il “congelamento” di un qualunque avvio, tanto analitico, che teorico e pratico, diretto a capire le condizioni politiche necessarie all’implementazione delle relazioni di produzione socialiste.

2.2. IMPLEMENTAZIONE DEL SISTEMA DI BILANCIO PREVENTIVO DI FINANZIAMENTO COME RISPOSTA ALLA NECESSITÀ DI UNA ECONOMIA SOCIALISTA.

Questo quadro era chiarissimo al Che. Per lui, le conseguenze da assumere si proiettavano su due piani.

A livello internazionale:

– nella possibilità di evitare che, incoscientemente o coscientemente, nel blocco socialista le relazioni di produzione esistenti regredissero a quelle capitalistiche (vedi nota 1);

– nel riconoscere che l’esperienza sovietica, per quanto importante, non possedeva carattere di universalità.

A livello nazionale:

– nella necessità e possibilità per la Rivoluzione Cubana di definire strumenti teorici e pratici che permettessero uno sviluppo socialista sia politico che economico e che avrebbero anche avuto una valenza di riferimento per l’intero blocco socialista (vedi nota 2);

– nella improcrastinabilità di un confronto comunista, sia di carattere nazionale che internazionale, sulle problematiche menzionale15.

Su questa base, il Che, dopo la sua nomina a responsabile del Ministero delle Industrie avvenuta il 23 febbraio del 1961, iniziò il lavoro politico e tecnico per eliminare sia nella produzione come nel trasferimento dei manufatti prodotti all’interno del settore statale cubano, completamente subordinata al suo dicastero, le categorie di mercato.

Per questa, si potrebbe dire, “sfida”, assolutamente complessa, il Che scelse, naturalmente, un gruppo di collaboratori, la maggior parte dei quali aveva combattuto sotto i suoi ordini di Comandante dell’Esercito Ribelle. Tra questi collaboratori figurarono Orlando Borrego Díaz, Enrique Oltuski, Luis Álvarez Room, Juan José Pérez Clavelo, Jesús Suárez Gayol16 e sarà anche con loro che il Che definirà e implementerà il “Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento”. Analizziamo molto sinteticamente da dove e in quale contesto della allora realtà cubana esso nacque.

Nell’ottobre del 1959 il Che fu nominato responsabile del Dipartimento d’Industrie, il quale era subordinato all’Istituto Nazionale della Riforma Agraria (INRA).17 Questa nomina non derivò dal caso ma dalla conosciuta capacità del Che di costruttore e organizzatore di attività produttive. Era stato infatti il Che, sia nella guerriglia sia dopo la vittoria, come Comandante della Fortezza “La Cabaña”, a creare i laboratori di armeria, sartoria, panetteria, calzature, conservazione di alimenti, preparazione del tabacco, confezione di sigarette (per citare le principali attività produttive) con i quali risolse gran parte dei problemi di rifornimento dell’Esercito Ribelle.18 Su questa base di concreta esperienza e di provato interesse, il Che assunse dunque la guida del Dipartimento d’Industrie la cui nascita rispose allo sviluppo industriale generato dalle necessità della Riforma Agraria. Coll’avanzare della politica socialista della Rivoluzione, il Dipartimento d’Industrie dovette però accollarsi anche la gestione delle aziende confiscate e nazionalizzate, che, nel 1961, assommarono al 70% dell’intero settore industriale del paese. Fu evidente come il peso delle responsabilità di gestione acquisito dal Dipartimento d’Industrie eccedesse di gran lunga alla possibilità di “resistenza” di una struttura interna dell’INRA e fu così che, nel febbraio del 1961, nacque il Ministero delle Industrie la cui direzione fu assunta del tutto naturalmente dal Che. In questo polo omogeneo, il Ministero delle Industrie che raggruppava tutto il settore produttivo statale di Cuba, il Che e i suoi collaboratori iniziarono la fondazione e la implementazione -intervenendo sui settori tecnici, economici e politici in modo assolutamente interdipendente- di relazioni di produzione socialiste che fossero coerenti all’obiettivo strategico di costruzione della società socialista. La “fondazione e implementazione”, di cui sopra, venne indicata con il nome di “Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento” (SPF).

Una parte fondante dell’SPF si sostanziò nel definire e normare le complessive tecniche di amministrazione da utilizzare nel Ministero delle Industrie; tecniche che il Che derivò dalle più avanzate esperienze di organizzazione, direzione e controllo di contabilizzazione e gestione economica che alcune multinazionali -Esso, Texaco, Shell- avevano impiantato a Cuba. Su questa specifica impostazione che riguarda l’uso della tecnica e della tecnologia il Che argomentò seguendo la linea, prima sottolineata, della imprescindibile interdipendenza tra politica, economica e tecnica:”Primo: Il comunismo è una meta della umanità che si raggiunge attraverso la coscienza; poi, la educazione, la liquidazione delle tare della società passata nella coscienza della gente, sono fattori di somma importanza, senza dimenticare, chiaramente, che senza avanzare parallelamente nella produzione mai si potrà arrivare a tale società. Secondo: Le forme di conduzione economica, come aspetto tecnologico della questione, devono prendersi da dove risultano più sviluppate per essere adattate alla nuova società. La tecnologia della petrolchimica del campo imperialista può essere utilizzata dal campo socialista senza timore di un contagio con la ideologia borghese. Nel ramo economico (per ciò che si riferisce alle norme tecniche di direzione e controllo della produzione) succede lo stesso.(…). Una analisi delle tecniche contabili utilizzate abitualmente oggi nei paesi socialisti ci mostra che tra le loro e le nostre vi è una differenza concettuale che potrebbe equivalere alla differenza che esiste nel campo capitalista tra il capitalismo di prevalente concorrenza e il capitalismo di monopolio. Insomma, le tecniche anteriori servirono come base per lo sviluppo dei due sistemi, così come fatti, ma da qui in avanti le strade si separano, poiché il socialismo ha le sue proprie relazioni di produzione con le loro proprie esigenze.”19

Altra parte fondante risultava l’impostazione finanziaria del SPF, la quale si differenziava fortemente da quella del Calcolo Economico (o dell’Autogestione Finanziaria come preferiva chiamarla il Che) utilizzato dal blocco socialista e, in parte, dall’INRA a Cuba.

Nel blocco socialista, nel quadro di una pianificazione economica i cui risultati generali si misuravano attraverso il loro riflesso finanziario globale, le imprese si personificavano come unità isolate operanti tra loro in un regime di concorrenza che seguiva una logica di mercato equivalente a quella capitalistica. In questo quadro, il tasso di produttività dei lavoratori e la qualità delle merci da loro realizzate venivano affidate agli stimoli materiali. Le banche assumevano il ruolo di organi di controllo primario delle attività delle imprese statali i cui crediti, da esse assegnati, sarebbero stati assoggettati a tasso d’interesse.

Nel SPF le attività finanziarie delle imprese erano totalmente centralizzate. La Banca Nazionale assegnava a ciascuna impresa i fondi del bilancio preventivo fissato dalla pianificazione per il tempo di esercizio stabilito. Questi fondi venivano versati in una agenzia bancaria la quale registrava le operazioni finanziarie della impresa su tre conti separati: quello dei salari, quello degli investimenti e quello delle spese. In questo modo essa riceveva tutti i fondi necessari per produrre i suoi articoli nel tempo previsto, rendendo anche inutili gli strumenti di credito e di interesse. Conseguentemente venivano eliminate tutte le operazioni di compravendita dei manufatti prodotti all’interno del Ministero delle Industrie; tali prodotti divenivano merci solo all’uscita dal settore statale passando in proprietà, per il loro utilizzo o il loro consumo, dell’usuario. Anche gli incentivi salariali erano stati drasticamente ridotti.

Nel contesto ovviamente limitato di queste note, vogliamo terminareconuna ultima caratteristica fondante del SPF: quella della sua architettura strutturale posta a difesa delle formazioni sociali in transizione al socialismo. Questa difesa consisteva nel dimostrare per esse la non vigenza della legge del valore come riferimento (riconoscerne l’esistenza necessariamente transitoria e nel contempo costruire una conseguente politica economica che la estinguesse); nel negare per esse un uso cosciente della legge del valore; nel rigettare per esse la pratica di utilizzare categorie capitaliste derivate dalla legge del valore: la merce come cellula economica, la redditività, l’interesse materiale individuale come leva per costruire il comunismo; nel dimostrare come solo la pianificazione centralizzata fosse per esse lo strumento imprescindibile. Per il Che, il fatto che “la base sulla quale poggia il mercato capitalista è la legge del valore la quale si esprime direttamente nel mercato”20 restava un monito che non poteva essere eluso. L’esperienza pratica e teorica del Che vedeva, appunto, nella pianificazione centralizzata l’unico strumento, di valenza quantitativa e qualitativa, coerente con la costruzione di una società socialista: “(la pianificazione centralizzata sottende) la sua stessa categoria di definizione, è il punto nel quale la coscienza dell’uomo giunge a sintetizzare e dirigere l’economia verso la sua meta, la piena liberazione dell’essere umano nel quadro della società comunista”.21

3. CONCLUSIONE.

I tre giganteschi contributi che il Che ha espresso: nella vittoria del 1959 della Rivoluzione Cubana; nella implementazione di relazioni di produzione socialiste con il Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento del 1961 del Ministero delle Industrie; nella pratica militante dell’internazionalismo proletario del 1965-1966 delle missioni in Congo e in Bolivia, sono UN TUTTO UNICO, non separabile, come speriamo si evinca da quanto detto e dalle argomentazioni finali. Una eventuale valutazione che vedesse una “rottura” nella decisione del Che della missione in Bolivia, è errata. La soggettività di combattente rivoluzionario comunista del Che, vedeva nella fondazione di futuri “Territori Liberi d’America” un passaggio assolutamente interno a questo “unico tutto”. Nel luglio del 1966, il Che, di ritorno a Cuba, preparandosi nella fattoria di San Andrés assieme al primo scaglione del suo gruppo per la missione in Bolivia, ricevette da Orlando Borrego Díaz un “omaggio” in sette volumi -“El Che en la Revolución Cubana”- preparato dai suoi ex-collaboratori del Ministero delle Industrie dove si riassumeva anche il loro lavoro comune.22 Durante una seconda visita di Borrego, il Che, tra i vari commenti rispetto allo “omaggio” da lui ricevuto, gli dirà: “Sai a chi può essere utile tutto questo? Per esempio a Turcios Lima23 … soprattutto quando si analizza, lì nei libri, il Sistema di Bilancio Preventivo. Se tutto andrà bene, quando vinceremo noi, anche noi lo applicheremo e già non sarà solo Cuba a sviluppare questo esperimento”.

Il Che andrà quindi in Bolivia sia con la convinzione di vincere come parte e riferimento, di un progetto continentale nel quale già alcuni altri movimenti guerriglieri parevano politicamente e militarmente maturi per imporsi; sia con un progetto che incernierava, nei futuri “Territori Liberi d’America”, alla vittoria militare ed alla presa del potere politico la implementazione delle adeguate relazioni di produzione socialiste.

Siamo insomma, con il Che, in presenza di un esempio reale, non un mito, che ci indica, assieme ad una prospettiva di percorso, anche gli ostacoli contro i quali hanno cozzato i rivoluzionari che ci hanno preceduto. È arrivato il momento in questa fase di forte e lunga mancanza di credibilità del modo di produzione capitalistico avvertito da parte delle masse popolari, di riprendere sulle nostre spalle “lo zaino” del Che.

1

 Ernesto Che Guevara “Apuntes críticos a la Economía Política” (pp. 30 e 31) – Ocean Press, 2006.

2

 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamento” – Tomo II (p.261) – Casa de las Américas, 1970.

3

 “Che Guevara Economista” (p. 28) – L. Vasapollo, E. Echevarría, A. Jam – Jaca Book, 2007.

4

 La dichiarazione sarà fatta da Fidel Castro il 16 aprile del 1961 a La Habana, durante il funerale pubblico delle vittime del bombardamento di diversi aeroporti cubani perpetrato dalla CIA e avvenuto il giorno precedente.

5

 Ernesto Che Guevara, “Apuntes críticos a la Economía Política” (p. 354) – Ocean Press, 2006.

6

 Lenin, “Opere Complete” – Volume III (p. 13) – Editori Riuniti, Roma 1956.

7

 Le parole in neretto e le relative specificazioni sono definizioni di Marx, “Il Capitale”, Libro I, Capitolo I – Editori Riuniti VII Edizione, giugno 1974

8

 Lettera di Engels a Kautsky del 1884 in “Lettres sur Le Capitale” (p. 344) – Editions Sociales, Paris, 1964.

9

 F. Engels, “Antidühring” (p.308) – Edizioni Rinascita, Roma, 1950.

10

 E. A. Preobraženskij, “La Nouvelle Economique” (p.401) – EDI, Paris, 1966.

11

 Stalin, “Problemi Economici del Socialismo nell’Urss” (p.120) – Cooperativa EDP, Milano, 1973.

12

 Ernesto Che Guevara, “Apuntes críticos a la Economía Política” (p. 214) – Ocean Press, 2006. Al brano estratto dal “Manual de Economíia Política” che dichiara errata l’indicazione di Stalin, è giustapposta la notevole critica del Che a Stalin e quella polverizzatrice alla allora dirigenza sovietica. Scrive il Che: “Nei pretesi errori di Stalin sta la differenza tra una posizione rivoluzionaria contro l’altra revisionista. Stalin vede il pericolo delle relazioni mercantili e tratta di bloccarle rompendo ciò che le propiziano. Al contrario la nuova direzione cede agli impulsi della sovrastruttura e accentua l’azione mercantile teorizzando per essa la sua utilizzazione integrale come leva economica per arrivare al comunismo. Ci sono poche voci che si oppongono pubblicamente a questa linea, mostrando così il tremendo crimine storico di Stalin: aver tralasciato la educazione comunista e istituito il culto illimitato alla autorità”.

13

 Il Che sviluppò una minuziosa analisi critica a questo Manuale (il testo da lui utilizzato era: “Manual de Economía Política” – Editora Política, La Habana, 1963), che è conosciuta come “X Preguntas sobre la enseñanza de un libro famoso” da lui redatta tra la fine del 1965 e l’inizio del 1966 dopo la sua missione in Congo, e che è stata inserita nel più ampio testo, da noi ripetutamente citato, di “Apuntes críticos a la Economía Política”. Il Che estraeva dal suddetto manuale i brani da assoggettare ad analisi (saranno 225) ai quali giustapponeva le sue riflessioni critiche.

14

 “Economía Política” (p.440) – AA.VV. – Editorial Progreso – Moscú, 1982.

15

 Ernesto Che Guevara, Discorso al Seminario Economico di Solidarietà Afroasiatica in Algeri del 25 febbraio 1965 – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.572) – Casa de las Américas, 1970.

16

 J. Suarez Gayol partì con il Che, nella guerriglia boliviana era Félix o Rubio, e cadde in combattimento nell’aprile del 1967. Al Che, in un secondo scaglione, dovevano poi unirsi, tra altri, Borrego e Oltuski

17

 Dice Carlos Tablada Pérez a pagina 67 del suo “El pensamiento económico de Ernesto Che Guevara” – Casa del las Américas, 1987: ”Il 26 novembre del 1959, il Consiglio dei Ministri nomina il Che Presidente della Banca Nazionale. Questa nuova responsabilità non impedisce al Che di continuare a seguire il Dipartimento d’Industrie, così come farà con le altre responsabilità che gli verranno assegnate”.

18

 “El pensamiento económico de Ernesto Che Guevara” (p. 67), Carlos Tablada Pérez, – Casa del las Américas, 1987.

19

 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamiento” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.259) – Casa de las Américas, 1970

20

 Ernesto Che Guevara, “Consideraciones sobre los costos de producción coma base del análisis de las empresas sujetas a sistema presupuestario” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.209) – Casa de las Américas, 1970

21

 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamiento” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.273) – Casa de las Américas, 1970

22

 “Che el camino del fuego” (p. 377) – O. Borrego Díaz – Imagen Contemporánea, 2001.

23

 Luis Turcios Lima (1941 – 1966) era allora il Comandante politico-militare delle Forze Armate Ribelli del Guatemala (FAR).

PER UNA COMMEMORAZIONE MILITANTE DEL CHE

PER UNA COMMEMORAZIONE MILITANTE

Commemorare il Che, assassinato 45 anni fa dall’imperialismo statunitense, riflette anche la volontà e la convinzione attuali di continuare la lotta  per gli strategici obiettivi politici da lui perseguiti. Questi obiettivi -perseguiti dal Che, come comunista, tanto nell’ambito nazionale della Rivoluzione Cubana che in quello intercontinentale della applicazione militante dell’internazionalismo proletario- possono così sintetizzarsi: costruire il socialismo sviluppando i necessari rapporti di produzione socialisti. Il Che non si è limitato però ad enunciare e iniziare ad applicare nel Ministero da lui diretto questa “formula” binomiale, per lui imprescindibile, per la costruzione del socialismo, ma ha anche evidenziato che se all’interno del blocco guidato dalla Unione Sovietica non si fosse superata la contraddizione insita nell’utilizzazione delle categorie di mercato per costruire il socialismo, i danni futuri che ne sarebbero derivati per la masse popolari sarebbero stati incalcolabili1.

Del Che sono certamente più conosciuti gli eccezionali suoi contributi per la vittoria della Rivoluzione Cubana e per una nuova pratica militante dell’internazionalismo proletario, della quale le missioni in Congo e in Bolivia ne saranno l’applicazione sul terreno.

Il suo fondamentale contributo, che è in realtà un tutto unico con i precedenti,  applicato al settore economico; risulta palesemente meno conosciuto, ma, certamente, non meno importante degli altri “due” e consiste nella decisione strategica del Che di sviluppare una critica teorico-politica alla utilizzazione delle categorie di mercato all’interno del blocco socialista, associandole una contemporanea serie di proposte concrete per controllare e risolvere questa, che per il Che, era una pericolosissima e penetrata contraddizione. Proposte di controllo e di risoluzione non provenienti dalla sola riflessione teorica ma dalla pratica concreta sviluppata dal Che e dai suoi collaboratori nella conduzione del Ministero delle Industrie -raggruppante tutto il settore statale produttivo di Cuba- dicastero da lui diretto a partire dal 23 febbraio 1961.

Il Che era convinto, sin da prima di salire sul “Granma”, che la Rivoluzione Cubana o sarebbe stata socialista o non sarebbe stata rivoluzione. Da qui, da subito dopo la vittoria militare su Batista e la presa del potere, l’estrema attenzione dedicata ai problemi economici della costruzione del socialismo in Unione Sovietica, comparando il quadro storico nel quale la potenza socialista si era formata inquadrandoli nella loro cornice storica e comparando le differenze di quest’ultima con quella del recente passato capitalista di Cuba.

È un fatto che le crisi hanno la capacità di mostrare la realtà come è e non come era “pitturata” prima del loro presentarsi: anche quella attuale lo ha confermato, rendendo evidente la strutturale volontà  della democrazia borghese di sopprimere i diritti delle classi popolari aumentando nel contempo il loro scientifico sfruttamento; naturalmente attraverso l’insostituibile mediazione del suo “Comitato d’affari”: governo, partiti, sindacati.

Sono dunque ancor più presenti nei paesi a dittatura capitalista le condizioni per assumere una lotta secondo gli obiettivi indicati dal Che: soluzione socialista come unica condizione per l’emancipazione delle classi subalterne; analisi critica della sua prima esperienza, iniziata con la Rivoluzione del novembre 1917, come necessario strumento per fissarne (e superarne) i limiti segnati per lei dall’allora quadro storico ed economico.

Di questo Che, impegnato sullo strategico fronte dei problemi economici legati alla costruzione del socialismo attraverso un contributo che rimane di straordinaria attualità, cercheremo di parlare in questa sua commemorazione.

A 45 anni dell'assassinio del Che. " Ognuno di noi ha sulle sue spalle lo zaino del CHE " Sottotitolo: " Il Che comunista e la transizione al socialismo "
Sabato 6 ottobre alle ore 19.00 presso presso il Circolo Gemignani Via Nuova di Oratorio 10, Oratoio Pisa.

a partire dalle 19,00 apericena
a partire dalle 21,00 dibattito
verranno ospitati contributi delle organizzazioni argentine del far, uruguayane del mro e palestinesi del PFLP

ORGANIZZANO
BRISOP ITALIA
ASSOCIAZIONE DI AMICIZIA ITALIA CUBA- CIRCOLO CAMILOCIENFUEGOS

SULLA SITUAZIONE IN SIRIA

ROVESCIAMENTO DELLA PRASSI”

Come organizzazioni e collettivi politici afferenti al Coordinamento Guevarista Internazionalista abbiamo più volte espresso contributi sulla lettura della aggressione alla Siria. I nostri contributi sono andati nella direzione della necessità permanente di tentare di imporre il rispetto della sovranità nazionale del popolo siriano.

Queste righe si propongono semplicemente di innescare un immediato dibattito per rimettere sul tavolo l’urgenza di una sintesi teorica e soprattutto di una associata prassi di solidarietà internazionalista (pensiamo all’Italia ed all’Europa), in un momento di estrema difficoltà, come quello dell’attacco alla Siria il cui esito avrà funzione di forte condizionamento per il nostro sviluppo futuro.

A fronte dell’implementazione, costantemente accelerata, della volontà imperialista e dei suoi satelliti regionali di cancellare qualunque possibilità di sopravvivenza di quello che era un forte progetto politico laico e progressista -che vedeva e che vede nella Resistenza Palestinese un suo asse fondamentale- presente nell’ampio arco che dalla Libia andava all’Afghanistan passando per la Somalia, bisognerebbe denunciare quotidianamente i massacri che il popolo siriano subisce per questi tentativi imperialisti di realizzare nuovi assetti geopolitici. E sarebbe certo interessante analizzare il ruolo concreto di un alto (e criminale) funzionario come John D. Negroponte responsabile d’area per il suo governo in Viet Nam (1971-1973), in Centro America (1981-1985) in Medio Oriente dal 2033 ad oggi, per capire esattamente il filo nero della filosofia di genocidio che permea le relazioni internazionali degli Stati Uniti.

Dalla “lezione” siriana, con la sua specificità e complessità, crediamo di dover accettare la sfida che ci obbliga a “guardare” non fuori ma dentro di noi. Come marxisti, nella accezione arricchita dal contributo di Lenin e di altri rivoluzionari comunisti negli aspetti sia teorici che politico-militari, è impossibile non valutare l’esaurirsi progressivo della nostra capacità di costruire alternative reali alle politiche criminali del capitale finanziario globalizzato anche nell’attuale fase di aggressione materiale e strategica da esso sviluppata contro la vita stessa delle masse popolari.

Storicamente, questa capacità marxista aveva portato alla possibilità sul terreno del rovesciamento della prassi. La prima dimostrazione di ciò era stata la Rivoluzione Russa del 1917: la forza espressa dai soldati russi agenti all’interno della prima guerra mondiale è stata redirezionata all’interno della guerra civile per il superamento dell’imperialismo. Questo tipo di rovesciamento rivoluzionario si è ripetuto in distinti paesi e continenti attraverso la guida di partiti comunisti.

L’analisi scientifica della situazione che ha portato al presente è uno dei compiti difficili ed obbligati per ricostruire una prassi rivoluzionaria e nello spazio di questo contesto vogliamo aprire una riflessione su due elementi. Uno di essi è lo straordinario successo ottenuto nella fase di scontro iniziale dalla avanguardie comuniste nell’applicazione del metodo marxista: questo stesso grande successo ha avuto l’effetto di congelare in dogmi soluzioni legate alla fase ed alla specificità dell’esperienza, ed ha impedito con ciò la continuità della vitalità del metodo. L’altro sta invece nell’attento studio e nella comprensione da parte dell’imperialismo della teoria e della prassi rivoluzionaria marxista e, in primis da parte degli Stati Uniti, della sua “originale” appropriazione controrivoluzionaria del rovesciamento della prassi. Così è stato per i principi della guerra rivoluzionaria: dal loro uso nelle mani delle forze popolari, al loro uso nelle mani delle forze di repressione. Per esemplificare, gli Stati Uniti hanno creato l’USAID ed ha operato in America Latina in base a questi assi teorici.

Una modalità di azione utilizzata anche per le contraddizioni etniche e religiose: si è passati storicamente dal loro superamento attraverso la lotta antimperialista, al loro uso imperialista per sviluppare ed utilizzare guerre civili dirette dall’esterno.

Singolarmente illuminanti ci sembrano tre considerazioni di Fidel Castro da lui espresse nel “vicino” 2005. La prima è sulla Cuba del 1959-1963: “ Mi riferisco a gruppi irregolari armati che praticavano una specie di guerriglia contro di noi, perché i nordamericani sono svegli. Mentre gli amici sovietici erano molto lenti e molto accademici, i nordamericani, i militari nordamericani, sono più flessibili. Essi videro immediatamente che ricetta avevamo utilizzato per abbattere Batista, per vincere quell’esercito e che essa era la combinazione della lotta armata con la lotta del popolo … e trattarono d’usarla. Non rispettarono il nostro brevetto! Applicarono la ricetta a loro modo ed riuscirono a imporla. Ci sono costate più vite la lotta contro i banditi che la guerra stessa … i banditi si internarono nelle montagne dell’Escambray, ma noi inviammo lì 40 mila uomini tutti volontari … mai si usarono unità del servizio militare obbligatorio nella guerra sporca. Il concetto è questo: in un conflitto interno o in una missione internazionalista tutti i combattenti devono essere volontari”. La seconda è sul Nicaragua sandinista del 1982-1989: “Credo che lì ci sia stato un errore, anche se i sandinisti non possono essere incolpati, ed è che una guerra interna non la puoi fare con soldati del servizio militare. In virtù di una legge ti porti via un ragazzo lo mandi al combattimento e muore ed allora la famiglia pensa che è lo Stato, o la Rivoluzione … che gli ha preso questo ragazzo. Forse il prezzo più alto della “guerra sporca” lo hanno pagato proprio i sandinisti perché stabilirono il servizio militare, cosa che noi mai facemmo”. La terza è sull’Angola del 1976-1988: “Più di 300 mila cittadini (cubani) si offrirono come volontari (per andare in Angola). In Angola andavano solo volontari … questo era un principio che non si poteva violare … la guerra civile … come quella “guerra sporca” dell’Escambray non si può fare che con volontari … e una missione internazionalista non si può fare se non con volontari”.

Quelle di Fidel Castro sono certamente considerazioni autorevoli, storicamente datate ed chiaramente irripetibili, ma sicuramente importanti per comprendere che il conflitto indotto in Siria dall’imperialismo occidentale non può essere confinato politicamente “in un affare che riguarda solo i siriani”.

COMUNICATO DEI COMPAGNI GRECI DELLA “NUOVA CORRENTE DI SINISTRA” (N.A.R.) IN MERITO AI RISULTATI ELETTORALI

da www.narnet.gr

Comunicato dell’ufficio stampa del NAR

Prima stima dei risultati elettorali.

Le elezioni del 17 giugno sono state condotte in un clima di grande estorsione e dilemmi. L’attacco delle forze del capitale, internazionale e straniero, il dilemma “euro o caos”, “Unione Europea o disastro” ha influenzato in maniera significativa il comportamento dell’elettorato. Il completo ritiro di SYRIZA entro questi dualismi, ha reso difficile l’ineguale lotta per affrontare correttamente questi temi. ANTARSYA (FRONTE DELLA SINISTRA ANTICAPITALISTA) ha stabilito come obiettivo del suo intervento l’ampliamento della breccia nelle politiche del capitale attraverso le lotte dei due anni passati e i risultati delle elezioni del 6 maggio. Esaminando complessivamente i risultati del 17 giugno siamo obbligati a notare che lo squarcio non si è allargato ma ristretto. Comunque continua a rimanere attivo e promettente. Considerando questo, una dura battaglia con esito incerto avrà luogo, con grandi difficoltà per il movimento di classe e dei lavoratori e per la sinistra greca.

Il partito di destra, Nuova Democrazia ha raccolto intorno a se una importante parte delle forze conservatrici e si è assicurata il primo posto. Ma il suo successi è fragile e instabile. E’ stato ottenuto in una situazione di duro terrorismo ideologico e intervento politico da parte delle maggiori centrali imperialiste (con la Troika e l’Unione Europea alla guida) a suo favore. Ha annunciato la continuazione e l’accelerazione della barbara offensiva contro la classe lavoratrice che ha inaugurato l’agenda politica di servizio agli interessi del capitale locale, a livello europeo e internazionale a servizio dell’odioso debito tramite un governo formato da Nuova Democrazia, PASOK e probabilmente altre forze in favore dell’Unione Europea. Allo stesso momento, tenendo in considerazione l’approfondirsi della crisi nell’area dell’euro e la probabilità aperta di bancarotta e collasso, possiamo ritenere che questo sia un successo molto relativo, assolutamente ipotecato e di breve durata che dipenderà dalle lotte del movimento dei lavoratori e popolare.

L’elezione continua a mostrare una tendenza positiva verso la sinistra, che ruota con un sentimento misto di eccitazione, speranza e scetticismo intorno a SYRIZA. Il rafforzamento della sinistra riformista a favore dell’euro, nonostante le indicazioni e la disposizione d’animo radicale del voto popolare, è una garanzia per lo scontro di classe nel prossimo futuro. Gli aggiustamenti costanti, accelerati in seguito ad una “ragionevole rinegoziazione” dell’Agenda di Accordo con l’Unione Europea, il chiaro rifiuto della possibilità di rottura e dell’abbandono dei memorandum, dell’euro zona e del debito, portano all’indebolimento del movimento e della coscienza politica della popolazione. Questa è una politica che non si scontra con le politiche del capitale, e diventa, in ultimi termini, inefficace dato che è basata sulla prospettiva di avere come obiettivo il governo in sé. La cosa più importante è che ciò non crea nessuna esigenza di creare un fronte sociale-politico di rottura e rovesciamento dell’attacco del memorandum e delle forze del capitale.

La continua influenza dell’estrema destra fascista “Alba dorata” è negativa per il movimento popolare e la sinistra. Essa costituisce ed è formata dalla versione più reazionaria ed aggressiva di una corrente sociale che esisteva nel partito LAOS (partito religioso-nazionalista) e gli altri partiti borghesi ed è ora rafforzata, in maniera più pericolosa, conformemente all’impasse provocata dal vertiginoso crescere della povertà della classe lavoratrice dovuto alla crisi. E’ un monito alla sinistra, che indica i suoi deficit, ma è anche la necessità di una immediata denuncia del ruolo di Alba Dorata come strumento del sistema capitalista e la necessità di combatterla in maniera incisiva e decisiva in termini di movimento.

– L’indebolimento del KKE (Partito Comunista Greco) non è uno sviluppo positivo per lo movimento operaio e popolare, in un contesto di maggiori doveri per la sinistra, dovuti al rafforzamento delle correnti euro-riformiste, e di seri rischi per il popolo. Comunque, questo risultato è la conseguenza del suo carattere strategico così come della sua modalità di agire. Si è estraniato dalla necessità di controbattere l’offensiva della corrente anti-lavoratori, in favore del futuro del “potere popolare- democrazia popolare”. L’arrogante rifiuto della costruzione di un fronte comune delle forza anticapitaliste e antiimperialiste e la sua avversione verso forme di protesta importanti e più grandi decise dai lavoratori dipendenti gli ultimi due anni, sono stati fattori critici che hanno contribuito a questo risultato.

  • Il risultato elettorale evidenzia una ANTARSYA presente e combattiva, ma con una grande perdita di voti, scendendo al livello del 2009. Questo declino elettorale di ANTARSYA riflette il fatto che mentre la resa dei conti è in corso, e i settori popolari e proletari richiedono una soluzione alle forze di sinistra, la preparazione della riorganizzazione dei NAR e dell’intera sinistra rivoluzionaria così come il gradi di organizzazione delle forze della classe lavoratrice non sono adeguate alle condizioni di questa moderna lotta di classe.

Certamente, il 17 giugno ANTARSYA ha dato un’aspra battaglia, di natura dilemmatica, dominata dal problema della questione del governare, sotto le condizioni del declino del KKE e la sottomissione di SYRIZA alla dichiarazione pro-Unione Europea. Membri e amici di ANTARSYA hanno partecipato ad una importante e preziosa battaglia in difesa di un necessario programma anticapitalista e mettendo in rilievo la necessità di un forte movimento popolare contro le illusioni governative e la logica pericolosa dei seggi. Comunque, c’è stata una debolezza maggiore delle forze anti sinistra-anti Unione Europea nel capitalizzare la loro influenza aumentata a partire delle elezioni del 6 maggio: tali forze non sono riuscite ad influenzare i dibattiti e i processi nella sinistra e nelle persone che lottavano. Le esitazione che avevano espresso, anche in pubblico, riguardo la necessità di una presenza politica autonoma, avevano avuto una influenza negativa e affrontato in superficie problemi più profondi sia in termini di attitudine caratteriale verso i movimenti riformisti, verso il governo e verso la Stato, che in termini di distacco dalle necessità e le mancanze della lotta di classe.

Con la consapevolezza del serio contraccolpo elettorale che la sinistra anticapitalista ha ricevuto e delle difficoltà politiche che sarebbero sorte, ma, simultaneamente, del ruolo che ha acquistato il movimento di massa, la lotta di classe e la sinistra, è necessario ampliare la discussione democratica collettiva tra tutti coloro che lottano e militano in ANTARSYA e NAR, e generalmente nel movimento di sinistra sulla nostra partecipazione alle battaglie decisive dei prossimi giorni.

La tendenza popolare che continua a persistere in maniera relativa verso la Sinistra mostrata dai risultati del 17 giugno, è, nonostante le sue debolezze e contraddizioni, un segnale positivo per le impegnative battaglie che stiamo per affrontare. Le forze della sinistra saranno velocemente testate. Il popolo sostiene le forze di sinistra quando queste sostengono attivamente la sua vita, il suo lavoro e il suo futuro.

I NAR e ANTARSYA giocheranno un ruolo chiave nelle iniziative dell’immediato futuro che può portare ad un tavolo l’incontro di tutte le forze in conflitto della sinistra su un cruciale programma anticapitalista di liberazione popolare e abbattimento dei memorandum, dell’Unione Europea, del debito e del capitale per rompere la tendenza della “flessibilità realistica” e gestione del governo. Fin dal primo momento, è richiesto uno spostamento del movimento popolare dei lavoratori nei luoghi di lavoro, quartieri, città e villaggi. Inoltre, uno sviluppo violento a livello politico e ideologico dell’ideologia della sinistra anticapitalista e comunista, in un modo ponderato e convincente, è una parte necessaria dello scontro con il mondo capitalistico, il sistema politico e le ideologie capitaliste della gestione dell’integrazione nell’Unione Europea.

 

Egitto: Morsy riprodurrà modello capitalistico- parla SAMIR AMIN

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=26904&typeb=0&Morsy-riprodurra-modello-capitalistico

 Parla SAMIR AMIN, celebre economista egiziano e direttore del Forum del Terzo Mondo. «La vittoria di Morsy – spiega – non è il cambiamento, ribadira’ il dominio di classe”


di Giuseppe Acconcia*

Roma, 29 giugno 2012, Nena News – «Le elezioni sono state falsificate sin dal primo turno». Samir Amin, direttore del Forum del Terzo Mondo, non ha dubbi: «la vittoria dei Fratelli musulmani non è un passo verso il cambiamento, ma la riproduzione del sistema capitalistico». Cosa intende per elezioni falsificate? «L’esercito aveva aiutato Ahmed Shafiq a passare il primo turno fabbricando 900 mila voti. Questo ha impedito ad Hamdin Sabbahi di partecipare al secondo turno. L’eliminazione di Sabbahi, nasserista di sinistra, non comunista ma non anti-comunista, è stata essenziale. Era l’unico candidato scomodo. Insieme a Aboul Fotuh, entrambi avevano raggiunto quasi il 50%. Per questo tutto il processo di democratizzazione è una farsa», spiega Samir Amin in un’intervista al manifesto. A quel punto si è temuta una repressione su ampia scala in caso di vittoria di Shafiq. «È stato necessario il lungo negoziato, durato 8 giorni, tra Fratelli musulmani ed esercito, con evidenti pressioni degli Stati uniti a favore di Mohammed Morsy. Tuttavia, Shafiq non si sarebbe comportato come un secondo Mubarak. Anzi, avrebbe provato a serrare le fila all’interno dell’esercito», aggiunge l’economista.

Non solo la farsa ma anche la beffa, secondo il filosofo egiziano. Alla Fratellanza conviene ora lo stato di estrema disuguaglianza sociale in cui versa l’Egitto. «I Fratelli musulmani sono i primi beneficiari della povertà degli egiziani. Tutte le conquiste di Gamal Abdel Nasser sono state smantellate da Anwar al-Sadat e Hosni Mubarak. L’Egitto, il Nord Africa e il Medio Oriente, con la piccola eccezione dell’Algeria e in parte della Siria, sono sottomessi al neo-liberismo. Questo ha determinato un impoverimento crescente della popolazione. Tanto che i dati sullo sviluppo economico in Egitto, forniti dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, negli ultimi dieci anni sono stati largamente falsificati. Tuttavia, gli effetti della globalizzazione nel terzo mondo cambiano da paese a paese in relazione ai diversi gradi di capitalismo di stato imposti dalle elite locali, che operano secondo logiche di consociativismo nazionale», spiega Samir Amin.

In altre parole è il sottoproletariato a tenere in vita la fratellanza? «Il lumpen proletariato serve ai paesi del Golfo e all’Egitto. Attraverso il controllo sull’economia informale, i Fratelli musulmani forniscono mezzi di sopravvivenza a oltre la metà della popolazione egiziana. La loro ideologia politica legittima questa miserabile economia di mercato che favorirà la formazione di un sistema assistenziale che renda la società egiziana ancor più dipendente dallo stato», prosegue l’economista. A questo proposito, il parallelo con il sistema delle fondazioni iraniane diventa interessante. «I poveri per strada, che pure hanno fatto la rivoluzione, vengono facilmente manipolati. Con la distribuzione sistematica di cartoni di carne, olio e zucchero, i Fratelli musulmani hanno già comprato migliaia di voti. Se un uomo volesse una vettura per fare il tassista, gli basterebbe rivolgersi a un militante della fratellanza per aver un prestito. Questi meccanismi hanno permesso ai Fratelli musulmani di radicarsi nella società. Continueranno ad operare con questa logica quando controlleranno le istituzioni pubbliche». Ma questo non basta a spiegare il successo islamista. «Chi ha permesso che i fratelli musulmani riproducessero il sistema di benefici è l’alleanza con il Golfo, con Washington e Israele. Questi paesi hanno come unico scopo impedire la ripresa dell’Egitto. Un Egitto forte significa la fine dell’egemonia del Golfo, che approfitta dell’islamizzazione della società, degli Stati uniti, che approfittano di un paese impoverito, di Israele, che vuole un Egitto impotente che lasci fare in Palestina», spiega Amin.

D’altra parte, non c’è stato un grande successo islamista a queste elezioni politiche. «Rispetto alle loro attese e ai voti presi alle elezioni parlamentari, il 25% ottenuto da Morsy al primo turno non è grande cosa. La liberalizzazione del discorso politico inevitabilmente ridimensionerà il movimento islamista.

I Fratelli musulmani sono un movimento ultrareazionario, in aggiunta islamista. Non sono mai entrati in conflitto con l’esercito. Anzi esercito e Fratelli musulmani sono i due pilastri del sistema reazionario. Nell’era di Sadat e di Mubarak l’ultima parola nelle decisioni rilevanti è sempre stata data all’esercito, mentre i Fratelli musulmani erano impegnati a gestire il sistema scolastico, sanitario e dell’informazione. Dopo la rivoluzione del 2011, l’esercito ha sperato che i Fratelli musulmani si discreditassero da soli agli occhi della gente», spiega il filosofo egiziano.

In verità, i Fratelli musulmani, nei primi mesi di attività parlamentare non hanno di certo brillato per iniziativa politica. «Il Parlamento non è stato eletto correttamente. Anche in questo caso i fratelli musulmani hanno falsificato il voto conquistando la maggioranza assoluta alla Camera. Se i giudici avessero voluto avrebbero potuto sciogliere la Camera all’indomani delle elezioni. È vero che l’attività parlamentare di Libertà e giustizia è lontana dai mali del paese. Solo il 40% dei deputati, vicini alle forze secolari, ha posto all’ordine del giorno problemi reali inerenti la scuola e i salari. I Fratelli musulmani preferiscono lasciar fare al mercato e agli interessi dei privati, mentre si occupano della lunghezza della barba».

Samir Amin fa qui riferimento anche ad una controversa proposta di legge presentata in Parlamento sulla disponibilità da parte del marito del corpo di sua moglie nelle ore seguenti al decesso. Ma molti parlamentari della fratellanza hanno negato di aver mai presentato questo progetto di legge. Ma l’alternativa rivoluzionaria è ora quanto mai inconsistente. «Il principale successo dei Fratelli musulmani è stato di dividere il movimento rivoluzionario. Chi dei giovani ora è con la fratellanza lo fa per spontaneismo. Credono che in questo modo verranno presi in considerazione. Sono poco coscienti della natura delle sfide future: uscire dalla sottoproletarizzazione della società, la democratizzazione come una possibilità di progresso popolare, l’onore nazionale per una politica estera indipendente», spiega il direttore del Forum del Terzo mondo con sede a Dakar.

«Questo non significa che non esista una coscienza politica forte tra i movimenti dai socialisti ai sindacalisti, dagli operai ai contadini e ai movimenti per i diritti delle donne. In verità, il vero movimento rivoluzionario non ha mai avuto fretta di andare alle elezioni. Tuttavia figure come Mohammed el-Baradei credono che le questioni economiche possano essere messe in secondo piano. Tra i rivoluzionari ha voce chi ha meno fiducia in un cambiamento radicale», ammette Samir Amin.

In questo contesto, l’Assemblea costituente lavora per scrivere la nuova costituzione. «Con un percorso costruito da esercito e fratellanza, la nuova Costituzione sarà pessima, impedirà al paese di essere democratico. Per ora la dichiarazione costituzionale complementare dà all’esercito un posto di potere unico. A questo punto, Libertà e giustizia pretenderà di essere il solo partito a gestire l’Egitto, relegando anche l’esercito in secondo piano», conclude con lucidità Amin. Nena News

*Giornalista, ricercatore. Questa intervista a Samir Amin e’ stata pubblicata il 26 giugno 2012 dal quotidiano Il Manifesto

http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20120626/manip2pg/09/manip2pz/324868/manip2r1/acconcia/

SIRIA E LIBIA, STESSO COPIONE

di Marinella Correggia

Due Paesi tra loro assai diversi da un anno condividono una sorte
comune. Due sollevazioni basate sulla demonizzazione dei due governi e
la santificazione degli oppositori da parte dell’Onu, dei governi e
dei media. Un’operazione fatta di menzogne e omissioni

Sibia e Liria; possiamo mescolare le sillabe di Siria e Libia. Perché
due paesi così diversi da un anno hanno molto in comune. Poco
importano le responsabilità dei due governi nazionali. Il copione
internazionale ne prescinde. Così come le agende geopolitiche delle
potenze esterne coinvolte.

Sibia e Liria. Due sollevazioni che hanno richiesto e richiedono
un’incredibile operazione di demonizzazione dei due governi e
santificazione degli oppositori, da parte dell’Onu, di tanti governi e
dei media, con menzogne e omissioni così da spacciare per “protezione
dei civili e dei diritti umani” quella che è un’operazione
politico-militare di cambio di regime. In Libia una vera congiura fra
più attori – interni e internazionali, governativi e non governativi –
radicò nell’inconscio dell’opinione pubblica mondiale la convinzione
che Gheddafi e i suoi “mercenari” avessero fatto seimila o diecimila
morti civili nei primi giorni di scontri; erano stati in realtà poco
più di cento come riconobbe la stessa Amnesty, e distribuiti fra le
due parti (con atti efferati da parte dei “ribelli”). Nel caso siriano
la conta dei morti e le notizie di ogni genere di massacri e atrocità
proviene da fonti di parte (“attivisti dei diritti umani”
dell’opposizione, “disertori” ecc.) che i rapporti Onu e i media
prendono per buoni, con corredo di video, nomi e circostanze spesso
verificatisi falsi e perfino grossolanamente “copiati”, a un minimo
controllo (vedi il dossier “Guerra mediatica”). Certamente in Siria i
civili muoiono, ma come risultato dello scontro fra esercito e
oppositori armati. Anche solo la domanda “cui prodest?” induce a
ritenere che il governo siriano non abbia convenienza ad attirarsi
addosso ancor più le ire del mondo colpendo deliberatamente i civili.
Inoltre, sia nel caso libico che in quello siriano, sono definiti
“civili disarmati” quelli che invece sono gruppi armati e violenti. In
Libia gli unici “civili” (fra virgolette) chela Natoha davvero difeso
sono stati i “ribelli”, armatissimi e responsabili di atti molto
violenti contro i civili (si pensi all’assedio feroce a Sirte, agli
abitanti di Tawergha deportati, ai detenuti torturati e uccisi). In
Siria cd “Esercito libero” è responsabile di uccisioni di soldati e
civili (ci sono elenchi nominativi documentati) e atti di sabotaggio e
terrorismo. Anche a Homs nella fase attuale. Questo è sottolineato
anche dal rapporto degli Osservatori della Lega Araba che per questa
ragione Arabia Saudita e Qatar hanno occultato.

Sibia e Liria. Due sollevazioni armate, violente ed eterodirette,
incuneatesi nella “primavera araba”. Le loro componenti maggioritarie
sembrano eterodirette: appoggi internazionali (vedi oltre), ruolo
degli espatriati nell’avviare la protesta (e nel dirigerla quanto al
caso del Consiglio nazionale siriano), perfino presenza di combattenti
stranieri, dai jihadisti libici a quelli che giungono dall’Iraq (come
ha affermato il ministro dell’interno iracheno), direttamente ad Al
Qaeda secondo quanto riferito al Congresso Usa dal direttore della
National Intelligence Usa James Clapper. L’Occidente si prepara a fare
da aviazione ad Al Qaeda come in Libia? Come nel caso libico e in
precedenza in Afghanistan, in Siria Occidente/petromonarchie e Al
Qaeda/islamisti lavorano insieme ognuno contro il comune nemico
(Bashar al Assad), sperando di avere la meglio gli uni sugli altri in
seguito. I gruppi armati sono responsabili di uccisioni di molti
civili e militari e di sabotaggi. Sgozzamenti stile Al Qaeda sono
stati mostrati in un video dai combattenti anti-governativi
all’inviato della Bbc a Homs.

Sibia Liria. Due sollevazioni le cui componenti maggioritarie chiedono
(e nel caso della Libia hanno ottenuto) l’intervento armato estero
diretto. “Se il mondo ci abbandona dichiareremola Jihad” ha dichiarato
un ufficiale del cosiddetto Esercito siriano libero Abdel Razzak Atlas
a Jonathan Littell di Le Monde.

Sibia e Liria. Due sollevazioni le cui componenti maggioritarie hanno
goduto e godono del totale appoggio da parte dell’Occidente e delle
petromonarchie del Golfo, con il pretesto del sostegno alla democrazia
e della protezione dei civili. Nel caso libico ci fu un’alleanza
armata diretta, con bombardamenti Nato/Qatar e invio di armi e
commandos. Nel caso siriano (per ora) c’è un sostegno indiretto
tramite finanziamenti, forniture di armi e consiglieri
all’opposizione. Mentrela Turchiaoffre la base logistica alla Free
Syrian Army, sembrano confermate le indiscrezioni circa il ruolo delle
forze speciali britanniche, francesi, giordane e del Qatar che nella
base turca di Iskenderun addestrano i combattenti dell’ELS insieme ai
militari di Ankara. Da tempo l’opposizione siriana ottiene
quotidianamente partite di armi. Il sospetto di eterodirezione è più
che un sospetto. L’ingerenza esterna ha fomentato gli scontri e
impedito la riconciliazione e l’avvio di un percorso di pace senza
interferenze.

Sibia e Liria. Due sollevazioni di fronte alle quali la frase
“manifestanti inermi uccisi da un regime che massacra il suo stesso
popolo” accomuna il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon con
l’ultimo militante della “sinistra umanitaria” occidentale. Uniti ieri
nella demonizzazione di Gheddafi, oggi nel biasimare Cina e Russia che
in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno posto due volte il
veto a una risoluzione proposta dall’Occidente e dai petromonarchi e
fatta apposta per permettere un intervento armato “umanitario” in
Siria sulla falsariga di quello in Libia. Il 16 febbraio una nuova
alleanza si è delineata: all’Assemblea dell’Onu, Russia e Cina e altri
9 paesi – i cinque paesi dell’Alleanza Bolivariana per l’America-Alba,
Venezuela, Cuba, Ecuador, Bolivia, Nicaragua, e poi Iran, Bielorussia,
Zimbabwe, Corea del Nord – oltre ovviamente alla Siria sono stati gli
unici al mondo a votare contro una risoluzione proposta dall’Arabia
Saudita, che condanna le sole violenze governative e propone
l’appoggio all’opposizione siriana in nome della protezione della
popolazione. Ricordiamo che i paesi dell’Alba sono stati protagonisti,
sia nel caso della Libia che in quello della Siria, di proposte di
pace e mediazione, accettate anche dai due governi interessati ma del
tutto boicottate dalle opposizioni armate libica e siriana e dalla
“comunità internazionale”.

Sibia e Liria. Due sollevazioni in grado di frammentare i rispettivi
paesi e farli piombare in un inferno armatissimo governato di fatto da
milizie e gruppi contrapposti. In Libia è già successo.

Sibia e Liria. Due sollevazioni contro due governi laici e
tradizionalmente non allineati, nel contesto di un mondo arabo
completamente islamizzato (un islam che sul piano economico e politico
è alleato dell’Occidente).

Sibia e Liria. Due sollevazioni la cui parte maggioritaria vuole
smantellare lo stato, cambiando financo la bandiera stessa del paese
(Libia: da quella verde della Jamahiryia a quella a strisce rosso,
verde e nero con stella e mezzaluna della monarchia pre-1969. Siria:
dal bianco-rosso-nero con due stelle al verde-bianco-nero con tre
stelle).

Marinella Correggia

redazionesibialiria@gmail.com

L’OPZIONE SALVADOR PER LA SIRIA

http://www.globalresearch.org/index.php?context=va&aid=31096
“L’OPZIONE SALVADOR PER LA SIRIA”: gli squadroni della morte
sponsorizzati da Stati Uniti e NATO integrano le “forze di
opposizione”.

Prof. Michel Chossudovsky

Global Research, 28 maggio 2012

Il piano del Pentagono chiamato “Opzione Salvador per l’Iraq”, che si
ispirava e prendeva come modello le operazioni sotto copertura
compiute in Centramerica iniziato nel 2004, fu portato avanti sotto la
guida dell’ambasciatore statunitense in Iraq John Negroponte (anni
2004-2005), congiuntamente a Robert Stephen Ford, che fu nominato
ambasciatore per gli Stati Uniti in Siria nel gennaio 2011, meno di
due mesi prima dell’inizio dell’insorgenza armata diretta contro il
governo di Bashar Al Assad.  “L’opzione Salvador” è un modello
terrorista di uccisione di massa da parte degli squadroni della morte
sponsorizzati dagli Stati Uniti. Fu utilizzato per la prima volta nel
Salvador, quando la resistenza contro la dittatura militare era
all’apice, provocando circa 75.000 morti. John Negroponte aveva
prestato servizio come ambasciatore degli Stati Uniti in Honduras dal
1981 al 1985. Come ambasciatore a Tegucigalpa, aveva giocato un ruolo
chiave nel sostenere e supervisionare i mercenari della Contra in
Nicaragua che erano stanziati in Honduras. Gli attacchi oltre confine
della Contra verso il Nicaragua costarono la vita di circa 50.000
civili.
Nel 2004, dopo aver servito come direttore dell’Intelligence nazionale
nell’amministrazione Bush, John Negroponte fu nominato ambasciatore
degli Stati Uniti in Iraq, con un mandato molto specifico: la
costruzione dell’”Opzione Salvador” in Iraq.

“L’opzione Salvador per la Siria”: il ruolo centrale dell’ambasciatore
degli Stati Uniti Robert S. Ford

L’ambasciatore statunitense in Siria (nominato nel gennaio 2011),
Robert Stephen Ford aveva fatto parte dell’equipe di Negroponte
all’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad (2004-2005). A questo
riguardo, “l’opzione Salvador” per l’Iraq gettò le basi per il lancio
una insorgenza armata in Siria cominciata nel marzo del 2011. In
relazione ai recenti eventi, l’uccisione di 108 persone, inclusi 35
bambini nella città di confine di Houla il 27 maggio è stata, con
tutta probabilità, commessa da squadroni della morte sponsorizzati
dagli Stati Uniti sotto il nome di “Opzione Salvador per la Siria”. Le
morti dei civili sono state frettolosamente attribuite dai media
occidentali al governo di Al Assad e l’incidente è è stato utilizzato
come pretesto per richiedere l’intervento “umanitario” della NATO
sotto l’egida della R2P, ovvero “responsabilità di proteggere”.
Le palesi menzogne dei media, inclusa la manipolazione delle immagini
da parte della BBC, suggerisce che il governo siriano non è il
mandante del massacro:
“Mentre giungono informazioni, molto frammentate, da Houla, Siria,
città vicina alla città di Homs e al confine libanese siriano, sta
diventando chiaro che il governo siriano non è responsabile per aver
bombardato a morte 32 bambini e i loro genitori, come sostenuto e
negato a scadenze regolari dai media occidentali e dalle stesse
Nazioni Unite. Sembra invece che siano stati gli squadroni della morte
in combattimenti da vicino, squadre accusate dagli attivisti
“antigovernativi” di essere “teppisti pro regime” o “milizie del
regime” e dal governo siriano di essere  terroristi opera di Al Qaeda
legati a ficcanaso stranieri”. (Confronta articolo di Toni Cartalucci
“Syrian Government Blamed for Atrocities Committed by US Sponsored
Deaths Squads, Global Research,
28 maggio 2012).

CRONOLOGIA DEL “MOVIMENTO DI PROTESTA” IN SIRIA.

L’ambasciatore degli Stati Uniti Robert S. Ford fu inviato a Damasco
alla fine di gennaio 2011 al culmine del movimento di protesta in
Egitto. (L’autore è stato a Damasco il 27 gennaio 2011 quando
l’inviato di Washington presentò le sue credenziali al governo di Al
Assad).
All’inizio del mio soggiorno in Siria nel gennaio 2011, ho riflettuto
sul significato di questa nomina diplomatica e del ruolo che avrebbe
potuto avere in un processo di destabilizzazione politica portata
avanti segretamente. Non avevo, comunque, previsto, che questa agenda
di destabilizzazione sarebbe stata implementata meno di due mesi dopo
l’insediamento di Robert S. Ford come ambasciatore in Siria. Il
ripristino dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Damasco, ma più
specificatamente la scelta di Robert S. Ford come ambasciatore degli
Stati Uniti, ha una diretta relazione con l’inizio di una insorgenza
integrata da squadroni della morte nella metà di marzo del 2011 (nella
città di Daraa, al confine sud) contro il governo di Bashar al Assad.
Robert S. Ford era l’uomo adatto al compito. Come “numero due”
dell’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad (negli anni 2004-2005)
sotto la guida di John D. Negroponte, giocò un ruolo chiave
nell’implementazione della “Opzione Iraq Salvador” voluta dal
Pentagono. Quest’ultima consisteva nel sostenere squadroni della morte
e forze paramilitari prendendo come modello l’esperienza del
Centroamerica.
Dal suo arrivo a Dmasco alla fine del gennaio 2011 fino a quando è
stato richiamato da Washington nell’ottobre 2011, l’ambasciatore
Robert S. Ford ha giocato un ruolo chiave nel preparare il terrno
dentro la Siria così come di stabilire contatti con i gruppi di
opposizione. L’ambasciata degli Stati Uniti è stata conseguentemente
chiusa a febbraio del 2012.
Ford ha anche avuto un ruolo nel reclutamento di mercenari Mujahideen
dai paesi arabi vicini e nella loro integrazione nelle “forze di
opposizione” siriane. Dalla sua partenza da Damasco, Ford continua a
sovrintendere la progettualità sulla Siria al di fuori del
Dipartimento di Stato:
“Come ambasciatore degli Stati Uniti in Siria- una posizione nella
quale il Segretario di Stato e il Presidente mi ritengono presente-
lavorerò con i colleghi a Washington per sostenere una transizione
pacifica per il popolo siriano. Noi e i nostri partner internazionali
speriamo di vedere una transizione che apra un dialogo e includa tutte
le comunità della Siria e che dia a tutti i siriani speranza per un
futuro migliore, Il mio anno in Siria mi dice che questa transizione è
possibile, ma non quando una parte dà luogo costantemente ad attacchi
contro  i civili riparandosi nelle   loro case”.
(Pagina Facebook dell’ambasciata degli Stati Uniti in Siria).
“Transizione pacifica per il popolo siriano?” L’ambasciatore Robert S.
Ford non è un diplomatico ordinario. E’ stato rappresentante degli
Stati Uniti nel gennaio del 2004 nella città sciita di Najaf in Iraq.
Najaf era la roccaforte dell’esercito del Mahdi. Pochi mesi più tardi
fu nominato “uomo numero due”  (consigliere ministeriale per le
questioni politiche) presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad
all’inizio del mandato di John Negroponte come ambasciatore
statunitense in Iraq (giugno 2004- aprile 2005). Ford successivamente
prestò servizio sotto il successore di Negroponte, Zalmay Khalilzad
prima della sua nomina come ambasciatore in Algeria nel 2006.
Il mandato di Robert S. Ford come “numero due” (consigliere
ministeriale per le questioni politiche) sotto la guida di Negroponte
era di coordinare al di fuori dell’ambasciata degli Stati Uniti il
sostegno coperto agli squadroni della morte e ai gruppi paramilitari
in Iraq con la prospettiva di fomentare la violenza settaria e
indebolire il movimento di resistenza.
John Negroponte e Robert S. Ford lavorarono fianco a fianco
nell’ambasciata statunitense per il progetto dle Pentagono. Gli altri
due ufficiali di ambasciata, cioè Henry Ensher (il vice di Ford) e un
ufficiale più giovane della sezione politica, Jeffrey Beals, ebbero un
ruolo importante nel  team “parlando con una serie di iracheni,
inclusi estremisti”. (Confronta il New Yorker, 26 marzo 2007).
Un altro individuo chiave nel team di Negroponte fu James Franklin
Jeffrey, ambasciatore statunitense in Albania.
E’ degno di nota che il nuovo capo della CIA recentemente nominato da
Obama, generale David Petraeus, ha avuto un ruolo importante
nell’organizzazione del sostegno coperto alle forze ribelli siriane,
all’infiltrazione dei servizi di sicurezza e delle forze armate
siriane etc.

Petraeus ha giocato un ruolo chiave nell’opzione Salvador dell’Iraq.
Ha guidato il Comando Multinazionale di Transizione della Sicurezza
(MNSTC), programma di controinsorgenza a Baghdad nel 2004 in
coordinamento con John Negroponte e Robert S. Ford all’ambasciata
degli Stati Uniti a Baghdad.
La CIA sta supervisionando operazioni coperte in Siria. A metà marzo,
il generale Petraeus si è incontrato con il suo omologo turco ad
Ankara, per discutere il sotegno turco all’esercito libero siriano
(FSA). (Confronta “CIA Chief Discusses Syria, Iraq With Turkish PM,
RTT News, 14 marzo  2012).
David Petraeus, il capo della CIA, ha tenuto degli incontri con i
vertici degli ufficiali turchi sia ieri che il 12 marzo, secondo
quanto appreso dal quotidiano Hurryet Dayli News. Petraeus ha
incontrato il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ieri e la sua contro
parte turca, Hakan Fidan, capo dell’organizzazione dei servizi segreti
nazionali (MIT), il giorno prima. Un ufficiale dell’ambasciata degli
Stati Uniti ha detto che gli ufficali americani e turchi hanno
discusso di “una cooperazione più fruttuosa riguardo le questioni più
pressanti della regione nei prossimi mesi.” Gli ufficiali turchi hanno
detto che Erdogan e Petraeus hanno avuto uno scambio sulle prospettive
della crisi siriana e sulla lotta al terrorismo. (CIA chief visits
Turkey to discuss Syria and counter-terrorism
| Atlantic Council,14 marzo 2012)
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti in collaborazione con
numerose agenzie di intelligence statunitense e con il Pentagono sta
supervisionado il sostegno degli Stati Uniti all’esercito libero
siriano.Un comitato politico in Siria presieduto dalla segretaria di
Stato Hillary Clinton richiede la partecipazione dell’ambasciatore
Robert Stephen Ford, del direttore della CIA David Petraeus, di
Jeffrey Feltman, vice segretario di Stato per gli affari mediorientali
e Derek Chollet, primo vice direttore dello staff della Clinton che si
occupa di pianificazione politica al Dipartimento di Stato.
Sotto la supervisione di Jeffrey Feltman, il vero e proprio
reclutamento dei terroristi mercenari, comunque, è portato avanti in
Qatar e Arabia Saudita in collegamento con gli ufficiali
dell’intelligence turca, saudita, qatariota, libica e della NATO più
alti in grado.
Fonti non ufficiali sostengono che l’ex ambasciatore saudita negli
Stati Uniti, il principe Bandar, che rimane un membro chiave
dell’intellignece saudita, lavori con il gruppo di Feltman a Doha.

PISTOIA: “QUESTO PROCESSO NON S’HA DA FARE!”

L’11 ottobre del 2009 la formazione di estrema destra CasaPound  di
Pistoia e la Questura della stessa città, intercettavano, ognuno
chiaramente con metodi suoi, un incontro organizzato dalla Brigate di
Solidarietà e per la Pace aperto a tutti gli antifascisti, avente come
obiettivo l’organizzazione del contrasto sul territorio allo
spiegamento delle cosiddette “ronde”, strumento paramilitare reso
legittimo (questo era ed è) da una legge approvata del Parlamento
dello Stato italiano. Gli organizzatori dell’incontro, a seguito della
denuncia di danneggiamenti alla loro sede avvenuta contestualmente
all’incontro stesso, venivano prelevati, trattenuti in questura per
dodici ore senza nessuna prova o accusa e ad alcuni di loro veniva
notificato lo stato di arresto. Dopo una fase di permanenza ai
domiciliari, molti di loro sono stati assolti, ma l’11 luglio 2012 ci
sarà uno stralcio (udienza tecnica di smistamento, in realtà) in cui
verranno nuovamente chiamati a giudizio gli antifascisti.

Come riflessione critica pensiamo necessario sottolineare che il non
avere compreso come l’emergenza politica prodotta dalla crisi
capitalista (2007) richiedesse una reazione immediata contro i
conseguenti tentativi di fascistizzazione dello Stato -per rafforzare
ed implementare contemporaneamente il rigetto popolare epidermicamente
mostrato a questa misura che ricordava la nascita delle squadracce
fasciste degli anni ’20 (mai legalizzate, tra l’altro)- vada letta
come una misura del complessivo ritardo nel quale ci trovavamo e ci
troviamo.
A dare la percezione concreta, purtroppo, di questo ritardo, ci ha
pensato “Casapound” di Pistoia mediante un suo ideologo, il Casseri,
autore materiale della strage fascista contro i lavoratori senegalesi
del dicembre 2011. Per comprendere la pericolosità
dell’organizzazione Casapound è sufficiente, in questo contesto, solo
enucleare due  sue convinte assunzioni  che fondendo il passato con il
presente lo autodichiarano erede attivo di quel fascismo assassino,
torturatore e fuori legge che operò come vassallo del nazismo sotto la
cosiddetta “Repubblica Sociale Italiana” di cui, non è il caso di
dimenticarlo, Ezra Pound fu un convinto sostenitore.  Le due
assunzioni cui ci riferivamo, pubblicamente sostenute da “Casapound”,
e che vogliamo qui citare in quanto particolarmente esemplificative,
riguardano:
– la rivendicazione storica del criminale e vigliacco compito dei
franchi tiratori “repubblichini” settari uomini di Pavolini da lui
lasciati a Firenze per seminare terrore e morte contro l’inerme
popolazione della città- indicati da “come esempio e riferimento per
la gioventù italiana”;
– la rivendicazione di rappresentare e soprattutto la volontà di
organizzare, confermate le identità ideologiche e di azione con la
“Repubblica di Salò”, i “fascisti del III° Millennio”. L’applicazione
a “Casapound” della XII Disposizione Transitoria e Finale della
Costituzione Italiana che enuncia: “È vietata la riorganizzazione,
sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, è dunque
assolutamente pertinente ed essa va dunque DISCIOLTA (“CHIUSA”). Se le
realtà assassine fasciste come “Casapound” devono e possono essere
chiuse, la presenza strutturale del fascismo in Italia ed in Europa
-nonostante i crimini storici da esso perpetrati contro l’umanità,
nonostante l’annientamento, in parte a ciò conseguente, delle sue
forze militari- come riferimento ideologico e politico consistente ed
aggressivo, pone certamente problemi di scala diversa, non risolubili
attraverso le sole Costituzioni ed i Codici penali che da essa
derivano o dovrebbero derivare. Questi problemi di scala superiore
sono essenzialmente, ma non unicamente, legati a due cause
apparentemente distinte.  La prima causa altro non è che il sistema
capitalista. Il capitalismo, dalla sua fase imperialista in poi,
produce costantemente “fascismo” cioè dà massa ad un volano
politico-paramilitare che le classi dirigenti di vari paesi hanno
utilizzato e utilizzano nei loro periodi di crisi delegandogli la
gestione della macchina della Stato. Il superamento reale del fascismo
è quindi subordinato ad una battaglia più ampia. La seconda causa
altro non è che il revisionismo storico praticato apertamente dagli
ultimi anni dell’ottanta dalla “sinistra democratica” nella sua
scommessa di “pacificazione nazionale” per il ricompattamento politico
ed ideologico di quella borghesia italiana della quale, nella sua
“vocazione di governo”, si sente ormai di far parte. Da qui inizia
dunque tutto il percorso di cancellazione della memoria di classe,
senza il quale non sarebbe stata possibile la strumentalizzazione
delle “foibe”, la possibilità di commemorare i “repubblichini”, la
“beatificazione” dei fascisti come “nuovi martiri dell’italianità”, la
sopportazione di un nazionalismo guerrafondaio ed imperialista, anche
questo violatore della Costituzione.
VA SVILUPPATA unitariamente una “battaglia delle idee”!
Come abbiamo prima argomentato, la decisione strategica di assumere
irreversibilmente la collaborazione di classe da parte della “sinistra
democratica”, è stato un fattore imprescindibile per la penetrazione
ed il rafforzamento della opzione fascista nelle stesse classi
subalterne. È quindi elementare come anche per chiudere “Casapound”
non basti chiedere, pur nel contesto nel quale nasce il presente
appello, la necessaria ed immediata applicazione della Costituzione.
Occorre cioè, contemporaneamente, sviluppare da subito e sul
territorio, ovunque sia possibile, una “battaglia delle idee” il cui
inizio necessariamente coincide con il recupero della memoria di
classe, dell’essere classe. La Resistenza al fascismo di una parte
consistente delle masse popolari italiane ed europee, che attraverso
di essa vedevano la possibilità del superamento del capitalismo,
rimane un grande insegnamento. La Resistenza dimostra come la lotta
della classe operaia per l’emancipazione politica ed economica delle
classi subalterne non abbia nessuna parentela col terrorismo e sia
semplicemente un diritto. Sulla sviluppo di questa “battaglia” ci
troviamo totalmente d’accordo ed assicuriamo il nostro impegno per
contribuire alla definizione dei contenuti e alla partecipazione
diretta.
La strage perpetrata a Firenze da un militante di estrema destra,
frequentatore di Casapound di Pistoia, ci conferma la necessità di
trasformare i processi contro gli antifascisti in altrettanti processi
contro il “fascismo del secolo XXI”. Non possiamo non assumere che il
fascismo è illegale e va combattuto in ogni sua manifestazione e
giustificazione.
BRIGATE DI SOLIDARIETA’ E PER LA PACE-TOSCANA
NELLA COORDINADORA GUEVARISTA