SIRIA, SOSTENERE IL CAMPO DELLA RESITENZA

di Amal Saad-Ghorayeb

dal sito alahram.com
SOSTENERE LA RESISTENZA, NON IL REGIME
Giovedì 5 luglio  2012
Sebbene i sostenitori della “sollevazione” siriana da una parte e
coloro che sostengono la Terza Via rigettando sia l’opposizione che il
regime da un’altra siano numericamente superiori, una significa
minoranza di militanti di sinistra arabi, nazionalisti e persino
islamisti si sono schierati a fianco del regime di Assad contro
l’attacco imperialista-sionista-

petromonarchico (ovvero condotto dalle
monarchie del Golfo) condotto contro la Siria.  Articolerò la
posizione del “campo della resistenza” che è strettamente identificato
con la posizione di Hezbollah sulla Siria e spiegherò le motivazioni
razionali che ci sono dietro la sua posizione discussa e impopolare.
E’ importante chiarire qui che questa posizione non è un sinonimo di
una posizione che sostenga il regime di Assad in sé o della posizione
di coloro che lo sostengono per ragioni non correlate ad analisi e
considerazioni  antiimperialiste o antisioniste: come suggerito dal
nome, è una posizione che è definita in primo luogo dalla priorità
accordata alla liberazione della Palestina e, più genericamente, la
liberazione della regione dall’imperialismo e il valore di Assad per
entrambi questi obiettivi.  Senza dubbio, lo scenario ideale di azione
sia per gli imperialisti che per i sionisti è uno scenario che
implichi un Assad svuotato di potere e contenuti, sottomesso e, di
conseguenza, manovrabile. Questa analisi è sostenuta da una logica o
razionalità della resistenza- un modo di pensare che, per utilizzare
le parole di Seyyid Hassan Nasrallah “vede gli eventi della regione
attraverso le lenti della problematica relativa a Israele.. ovvero
come i sionisti valutano minacce e pericoli, come agiscono e quali
eventi considerano opportunità.” Nel caso della Siria questa
razionalità della resistenza ”fa un passo indietro dai dettagli e
guarda al disegno complessivo” per citare nuovamente Nasrallah. E il
disegno complessivo rappresenta gli Stati Uniti e Israele che si
rapportano alla lotta per l’identità politica della Siria e le fedeltà
straniere.

L’estromissione di Assad è funzionale agli interessi statunitensi-israeliani.

Mentre alcuni analisti hanno argomentato che Israele e gli Stati Uniti
avrebbero preferito che Assad rimanesse al potere, dato che è più
facile avere a che fare con “un diavolo che conosci piuttosto che con
uno sconosciuto”, il loro sostegno attivo politico e militare agli
elemento dell’opposizione siriana-sostegno che è antecedente alla
formazione del Consiglio Nazionale Siriano e all’Esercito Siriano
Libero come rivelato dai documenti dell’ambasciata statunitense
trapelati e pubblicati daWikileaks- oltre alla loro retorica
ufficiale, hanno provato il contrario.

Senza dubbio, lo scenario ideale sia per gli imperialisti e i sionisti
è uno scenario che preveda un Assad privato di prerogative, sottomesso
e quindi manovrabile. Ma dato che il regime si è rifiutato di
capitolare di fronte alle pressanti e durature richieste
statunitensi-israeliane di abbandonare i movimenti di resistenza e
separarsi dalla questione iraniane, il suo rovesciamento è visto come
il migliore scenario prossimo.  I benefici strategici per gli Stati
Uniti e Israele hanno maggior peso di rischi e incertezze che
potrebbero circondare il futuro della Siria, e specificatamente, il
ruolo degli Islamisti nel costruirlo. L’ex presidente del comitato
degli Affari Esteri e della Difesa presso il parlamento israeliano, la
Knesset, Tzachi Hanegbi, riconosce che  la crisi siriana rappresenta
una grande opportunità  per promuovere gli interessi israeliani: “Gli
eventi in Siria avranno un impatto più decisivo di quello di ogni
altro paese arabo,” ovvero che “l’estromissione del presidente siriano
migliorerebbe in maniera significativa la situazione strategica di
Israele.” Il collasso del regime di Assad “sarebbe un ulteriore colpo
per l’asse radicale” ha detto il ministro della Difesa israeliano,
Ehud Barak. Nel fare così,altererebbe drasticamente tutti i rapporti
di forza nella regione”, così come è stato elaborato dall’ex capo del
Mossad, Efraim Halevi.
Halevi prosegue: “Il terrorismo sponsorizzato dall’Iran sarebbe
visibilmente contenuto; Hezbollah perderebbe il suo vitalle canale
siriano verso l’Iran.. I guerriglieri di Hamas a Gaza dovrebbe
prevedere un futuro senza armamenti e addestramenti siriani; il popolo
iraniano potrebbe ancora una volta sollevarsi contro il regime…”
Nello stesso spirito, Washington considera la caduta di Assad come:
”la più grande sconfitta strategica dell’Iran degli ultimi 25 anni” e
il più efficiente mezzo per tagliare il legame tra l’Iran ed
Hezbollah, secondo il generale James Mattis, comandante delle forze
statunitensi in Medio Oriente.  I benefici strategici per gli Stati
Uniti e Israele hanno maggior peso di rischi e incertezze che
potrebbero circondare il futuro della Siria, e specificatamente, il
ruolo degli Islamisti nel costruirlo. Facendo eco all’asserzione di
Nasrallah che “C’è un consenso in Israele sul fatto che qualsiasi
alternativa in Siria è meglio del regime di Bashar al-Assad,” Halevi
dichiara “visto lo stato delle cose presenti, qualsiasi sostituzione
di Assad è meglio.” Sostenere la deposizione di Assad significa porre
sé stessi, per caso o per volontà, dalla stessa parte della trincea
delle forze oppressive e reazionarie. Questa valutazione è condivisa
da un certo numero di personalità politiche israeliane, incluso il
presidente israeliano, Shimon Peres, che ha descritto Assad sul 2o
canale israeliano come “il peggio che ci possa essereù2 tra tutte le
alternative, così come Barak nella sua intervista alla CNN con
Christiane Amanpour. Così come sostenuto da Hanegbi, le paure che gli
Islamisti sunniti causassero distruzioni alle soglie di Israele erano
completamente infondate dato che era “molto più probabile che i
successori di Assad cerchino di estromettere i sostenitori FRDELI
dell’odiato duo, Nasrallah e Ahmadinejad.” Parimenti ad Hanegbi,
Halevy prevede una Siria post-Assad che è dominata da una forza
islamica sunnita “moderata” e filo-imperialista che “non giungerà al
potere per lanciare un attacco contro Israele”.
Tali previsioni non sembrano forzate allorquando si consideri le
assicurazioni che l’ex-capo del Consiglio Nazionale Siriano Burhan
Ghalioun ha fornito ai suoi sponsor stranieri, ovvero che uno dei
principali ordini del giorno di un governo post-Assad sarà “rompere il
legame eccezionale” tra la Siria e l’Iran e gli Hezbollah. Le
valutazioni sono ulteriormente suffragate dai contatti
“semi-ufficiali” tra Consiglio Nazionale Siriano e Israele,
pubblicamente noti e ben documentati.
Anche se le figure di spicco dell’opposizione siriana che collaborano
con Israele appartengono quasi esclusivamente ad una opposizione
finanziata dall’estero e basata fuori dalla Siria, rimane il fatto che
l’intera sollevazione favorisce il sostegno allo stesso arco di forze
che hanno sostenuto Israele e lo hanno spronato a distruggere
Hezbollah nel 2006 e Hamas nell’inverno 2008/2009. E’ per questa
ragione che l’insurrezione siriana sostenuta da Stati Uniti, Israele,
NATO, petromonarchie del Golfo è vista dal campo della resistenza come
una estensione sia di  queste guerre contro i movimenti di resistenza
che un tentativo di “reintrodurre” il progetto “Nuovo Medio Oriente”
“attraverso altre porte”, per citare Nasrallah.
Si può obiettare che è possibile condividere un interesse politico con
gli Stati Uniti o Israele senza permettere che altre potenze
beneficino dalla stessa convergenza. In realtà, sostenere il
rovesciamento di Assad siginfica allinearsi, per caso o volontà, dallo
stesso lato della trincea dove si trovano le forze oppressive e
reazionarie. Dato che la giustizia è quasi sempre situata in maniera
diametralmente opposta a dove si situano imperialismo e sionismo su
una data questione- considerando che  entrambe le forze sono la più
chiara incarnazione dell’ingiustizia- tale allineamento non può essere
accantonato come una coincidenza indesiderabile o un beneficio
strategico. Sebbene si verifichi raramente, si può obiettare che è
possibile condividere un interesse politico con gli Stati Uniti o
Israele senza permettere che altre potenze beneficino dalla stessa
convergenza. Un tale esempio è la destituzione del nemico di lunga
data dell’Iran, Saddam Hussein, da parte degli Stati Uniti, di cui ha
in maniera chiara beneficiato la Repubblica Islamica. Ma nonostante
gli interessi condivisi verso la sua destituzione, gli obiettivi
strategici degli Stati Uniti in Iraq non richiedevano che l’Iran
condividesse tutti gli interessi che sarebbero serviti a portare e
termine il rovesciamento di Saddam.  Infatti, molti a Washington hanno
lamentato la misura in cui l’Iran ha acquistato più potere giovandosi
della caduta di Saddam, anche prima che il controllo dell’Iran cadesse
nelle mani dell’Iran dopo che gli Stati Uniti avevano ritirato il
grosso delle loro truppe. Per contrasto, se le forze della resistenza
condividessero gli interessi imperialisti nel rovesciamento di Assad,
farebbero il suo gioco, dato che la destituzione di Assad è concepita
come un mezzo per separare la Siria dall’asse della resistenza e per
indebolire l’Iran e i movimenti della resistenza.  In questo
collegamento, l’abbandono da parte del campo della resistenza del
fulcro del fronte della resistenza accelererebbe soltanto i disegni
strategici degli Stati Uniti e di Israele nella regione e minerebbe il
progetto della resistenza in Libano, Palestina e oltre.  Inoltre,
considerando che lo schema degli Stati Uniti e di Israele richiede un
asse Iran-Siria-Hezbollah-Palestina indebolito per il compimento dei
suoi obiettivi strategici, il tradimento del regime di Assad da parte
del campo della resistenza sarebbe equivalente ad un suicidio politico
e da qui, ad una cessione de facto del Levante all’Imperialismo su un
piatto d’argento.
La sollevazione  non è una rivoluzione
Dalla prospettiva del campo della resistenza, è proprio questo
sostegno alla sollevazione organizzato da Stati
Uniti-NATO-Israele-petromonarchie che la rendono di gran lunga
inferiore ad una rivoluzione popolare, piuttosto ne fanno una
insurrezione foraggiata dai petrodollari e pilotata dall’Impero. Dato
che i leader dell’ordine mondiale dalla propria parte sicuramente
intendono che la “rivoluzione” sarà usata solo per perpetuare
quell’ordine mondiale. Anche se c’è un riconoscimento che parte
dell’opposizione è costituita da un movimento legittimo, interno che
ritiene che la sua rivoluzione sia stata “sequestrata e dirottata” da
queste potenze straniere e dai loro delegati stranieri, la logica
della resistenza impone che qualsiasi causa “dirottata” dal sionismo,
imperialismo statunitense e stati arabi “moderati” cessi di essere
effettivamente una giusta causa e diventi la causa dell’agenda
reazionaria e imperialista di qualcun altro. Inoltre, dato che i
leader dell’ordine mondiale dalla propria parte sicuramente intendono
che la “rivoluzione” sarà usata solo per perpetuare quell’ordine
mondiale- in altre parole sarà utile solo come contro-rivoluzione per
ostacolare qualsiasi genuino tentativo di reindirizzare i vasti
squilibri politici ed economici che caratterizzano il prevalente
status quo globale. Stando così le cose, coloro che si definiscono di
sinistra e sostengono l’opposizione siriana non possono, e non ci
sarebbe nessuna definizione marxista a suffragarli, considerare se
stessi parte di una “guerra di posizione” contro-egemonica secondo la
definizione di Gramsci, dal momento che sarebbero allineati alla
stessa posizione delle potenze egemoni.

Rimarrebbe questo il caso anche se assumessimo ipoteticamente che
l’opposizione godesse dello stesso sostegno popolare del regime e
fosse guidata dalla classe lavoratrice. Come sottolineato da David
Fennel nel suo saggio illuminante sulla controrivoluzione in Libia,
“il marxismo comprende che un evento è determinato dalla totalità
delle forze agenti in esso.” Fennel va avanti citando la definizione
di Lenin di totalità come tenente conto di “tutte le forze, partiti,
gruppi, classi e masse operanti in un dato paese.” In altre parole,
quando viene formulata una posizione politica, un’analisi della
situazione della sola classe operaia non è sufficiente, ma bisogna
tenere conto di tutte le contraddizioni sociali, con speciale enfasi
sulle contraddizioni sociali che si verificano a livello del sistema
mondiale.
Amal Saad-Ghorayeb, studiosa e analista politica libanese. Autrice del
libro:  “Hizbullah: Politics and Religion”, e autrice del blog:  ASG’s
Counter-Hegemony Unit.

Giù le mani dalla Siria! No alla guerra contro la Siria e contro il popolo siriano

Giù le mani dalla siria

No alla guerra contro la Siria e contro il popolo siriano

per adesioni: controleguerre@gmail.com
Il movimento contro la guerra e la situazione in Siria. Un documento collettivo mette i piedi nel piatto sulla funzione di una coerente opposizione alla guerra, anche quella “umanitaria”.
La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.
Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni – ed anche in questi mesi – non hanno esitato a schierarsi contro l’escalation della guerra umanitaria con cui l’alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente.

a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che governano “l’islam politico”. E’ difficile non vedere il nesso tra l’invasione/disgregazione della Libia, l’escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La dottrina del Dipartimento di Stato Usa “Evolution but not Revolution” aveva decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come l’unico sbocco consentito della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è impossibile tenere fuori le potenze dell’Unione Europea, in particolare Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno prima condiviso l’aggressione alla Libia, hanno mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad Israele ed oggi condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.

b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione della guerra dall’agenda politica dei movimenti e delle forze della sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia. Dalla “operazione di polizia internazionale in Iraq” del 1991 alla “guerra umanitaria in Jugoslavia” nel 1999 per finire con le “guerre per la democrazia” del XXI Secolo, le guerre asimmetriche scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di grandi potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan, Jugoslavia, Costa d’Avorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione morale che poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e nel posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I sostenitori della “guerra umanitaria” statunitensi ma non solo, stanno cercando di definire una cornice legale agli interventi militari attraverso la dottrina del “Rights to Protect” (R2P). Gli obiettivi di queste guerre sono stati sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato o di governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla cosiddetta “comunità internazionale” sia per loro responsabilità che per le martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.
c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento di regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le invasioni militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro alleati regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi immensamente più deboli perseguendo la “stabilità” degli interessi occidentali attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi dissonanti. A prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi leader verso il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori potenze hanno agito sistematicamente per la loro rimozione violenta attraverso aggressioni militari e imposizione al potere di nuovi gruppi dirigenti subordinati agli interessi occidentali.
d) Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra “buoni e cattivi” non sia mai stata una categoria limpida e definita – anzi è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre – nel nostro paese ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di una priorità: quel no alla guerra senza se e senza ma che in alcuni momenti ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso vi si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era già emersa nel caso dell’aggressione militare alla Libia ed oggi si rivela ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.
e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur minoritarie, sono riuscite a ostacolare l’arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capito lazione politica, culturale del pacifismo e dell’internazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione per cui è necessario affrontare una discussione nel merito dei problemi che la crisi in Siria ci porrà davanti nei prossimi mesi.
Nel merito della situazione in Siria
In tutte le guerre asimmetriche – che di fatto sono aggressioni unilaterali – le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione semmai è che l’ingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei loro alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei contrasti interni che consentisse poi l’intervento militare e servisse a legittimare la “guerra umanitaria”. La guerra mediatica ha bisogno sempre di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli occhi dell’opinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono martellate nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la maggiore o minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile. Ciò significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre ai massacri e poi all’intervento militare “stabilizzatore”. Chiediamoci perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il loro fallimento è funzionale al fatto che l’unico negoziato accettabile per le potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o l’uscita di scena – anche violenta – della componente dissonante. Questo è quanto accaduto ed è facilmente verificabile da tutti.
Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale (Consiglio di Sicurezza dell’Onu, organizzazioni regionali come Unione Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di “cambiamento di regimi” decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei regimi o dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione, per un altro era una strada sbarrata già dall’inizio. Più cercavano un compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più si concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti interni e più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il conflitto. Se l’unica soluzione proposta diventa il suicidio politico o materiale di un leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato diventa irrilevante.
Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership siriana sia l’unica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni e le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dell’imposizione dello Stato di Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica la leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua sostituzione non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o rivoluzionario per il popolo siriano. E’ sufficiente guardare quale tipo di leadership si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il tallone di ferro su Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui c’è gente che ha lottato seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più avanzati, ma chi ne sta gestendo le aspettative sono le potenze della Nato, le petromonarchie del Golfo e le componenti più reazionarie dell’islam politico. Le componenti progressiste della Primavera Araba sono state – al momento – isolate e sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e le varie correnti dell’islam politico.
Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in Francia, in condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha votato il 53%, in Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni ha votato il 62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del partito di governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento indicando questa rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato cioè l’embrione di uno spazio politico reale per un processo di democratizzazione del paese; le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano che così non è. Le forze di opposizione con una visione progressista sono ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere stritolate dall’escalation in corso; infine, ma non per importanza, l’ingerenza esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un mistero per nessuno che le forze principali dell’opposizione ad Assad siano sostenute, armate e finanziate dall’alleanza tra le potenze della Nato (Turchia inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. E’ un’alleanza già sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani e nel Caucaso, un’alleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta e poi ricomposta dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e auspicava gli sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e l’alleanza internazionale che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile permanente e diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a ridosso del confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo passo per dotare di retrovie sicure i miliziani dell’Esercito Libero Siriano, spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano (Hezbollah soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il Fronte della Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la destabilizzazione tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i risultati desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella coalizione ad hoc dei “Friends of Syria” guidata dagli Usa ma con molti volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o l’Italia di Monti e del ministro Terzi.
In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre manifestazioni. Un tentativo agevolato dall’abbassamento di molte difese immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dell’antifascismo ma anche dalla voragine politica lasciata aperta dall’arruolamento di molta parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità all’atlantismo e dalla complicità – o al massimo dall’equidistanza – tra diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito per strada la loro identità, è diventato molto più facile l’affermazione di alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e delle relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della destra veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni capacità di lettura dell’egemonia imperialista sia nel suo versante statunitense che in quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e reazionaria che nulla a che vedere con una identità coerentemente anticapitalista ed internazionalista. Non solo. La paura di gran parte della sinistra di declinare la solidarietà con i palestinesi come antisionista e anticolonialista, ha regalato a questa destra e alla sua declinazione razzista e antiebraica uno spazio di iniziativa, cultura e solidarietà che storicamente ha sempre appartenuto alle forze progressiste. Se si cede su un punto decisivo si rischia di capitolare poi su tutto lo scenario mediorientale. Se questo è già visibile anche negli altri ambiti dell’agenda politica e sociale nel nostro paese, è difficile immaginare che non avvenga anche sul piano della mobilitazione contro la guerra e sui problemi internazionali. Sulla Palestina e nella mobilitazione contro la guerra abbiamo sempre respinto ogni tentativo di connivenza con i gruppi della destra. Intendiamo continuare a farlo ma vogliamo anche segnalare che – come sul piano sociale o giovanile – è l’assenza di iniziative e la debole identità della sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non viceversa. E’ necessario dunque che alla coerenza con le posizioni e il ruolo svolto dalle nostre reti, associazioni, organizzazioni in questi venti anni e che ha visto schierarci sempre contro la guerra senza se e senza ma, si affianchi un recupero di identità e di contenuti.
f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari (Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato all’assalto del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due dimensioni oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e aggressiva. Alcuni di noi la definiscono come imperialismo, altri come mondializzazione, comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione a tutto campo per accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro, mercati e flussi finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto l’economia dei paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti ritengono poter essere l’unica via d’uscita e valvola di sfogo per la crisi di civilizzazione capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione Europea. In tale contesto, la guerra come strumento della politica e dell’economia è all’ordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo degli orrori in questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben peggiori. L’alleanza – non certo inedita – tra potenze occidentali, petromonarchie e movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l’analisi e l’azione politica.
I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo, anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo, ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella lotta contro la guerra e le aggressioni militari.
Per queste ragioni condividiamo l’idea di promuovere:
Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento
La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare
l’impegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato che contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la manipolazione mediatica che spiana la strada a nuove “guerre umanitarie”, anche in Siria

 
Sottoscrivono per ora questo documento:
Rete Romana No War
Rete Disarmiamoli
Militant
Rete dei Comunisti
Partito dei Comunisti Italiani
Forum contro le guerre
Comitato Palestina, Bologna
Comitato Palestina nel Cuore, Roma
Gruppo d’Azione per la Palestina, Parma
Collettivo Autorganizzato Universitario, Napoli
Csa Vittoria, Milano
Alternativa
Federazione Giovani Comunisti
Forum Palestina
Associazione Oltre Confine
Associazione amici dei prigionieri palestinesi, Italia
Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella
Brigate di Solidarietà e per la Pace-Brisop- Toscana

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus

Collettivo G. Tanas

Tifiamo Rivolta

“Gruppo Siria: No ad un’altra Libia”

Federazione Napoletana del Partito della Rifondazione Comunista

Redazione ALBAinFormazione

SLAI COBAS per il sindacato di classe coordinamento nazionale

Federazione  Giovani Comunisti Italiani  Torino

Sinistra Critica Sarda

Circolo culturale ” Il minatore rosso ”

Brindisi per Gaza

Coordinamento II Policlinico Napoli

‘Ass.ne “La Casa Rossa”  Milano

Associazione Ita-Nica circolo C.Fonseca  Livorno
Rete Antifascista di Brescia

UDAP Unione Democratica Arabo palestinese

Partito dei CARC

Redazione di Marx21.it

Lotta e Unità

Laboratorio Politico Iskra

Partito Comunista del Canton Ticino (Partito Svizzero del Lavoro)

GHASSAN KANAFANI: IL LEADER, LO SCRITTORE, IL MARTIRE

http://pflp.ps/english/2012/07/comrade-ghassan-kanafani-the-leader-the-writer-the-martyr/

GHASSAN KANAFANI: IL LEADER, LO SCRITTORE, IL MARTIRE

Nel 40o anniversario del martirio del compagno Ghassan Kanafani, il
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina ha ricordato questo
grande uomo, lo scrittore, il leader, il rappresentante, il
romanziere, il rivoluzionario e si impegna ancora una volta a
continuare sul suo sentiero di liberazione. Egli è fonte di
ispirazione per coloro che resistono a tutti i livelli, ed è un eroe
palestinese, arabo e internazionale, un leone a livello letterario,
una icona della resistenza, del sacrificio e della fermezza. Il suo
impegno nel far sì che la voce palestinese fosse udita, sia nei suoi
racconti e nei suoi romanzi dove ha espresso le problematiche della
resistenza con creatività e una forza letteraria rivoluzionaria, che
nei suoi saggi politici dove ha espresso le sue analisi come portavoce
del PFLP, ha innescato il fatto di essere oggetto dell’uccisione
mirata da parte del Mossad che cercava di silenziare la voce di
Kanafani e, attraverso lui, di silenziare la voce del popolo
palestinese e il richiamo della rivoluzione. Nonostante la bomba che
ha dilaniato la sua macchina a Beirut l’8 luglio del 1972, il lavoro,
gli scritti e la visione di Ghassan Kanafani non sono morti, ma
continuano a vivere, sono riprodotti e ispirano nuove visioni della
odierna rivoluzione palestinese nel lavoro degli scrittori e degli
attivisti palestinesi, arabi e internazionali che narrano le storie
del loro popolo, espongono i crimini del sionismo e dell’imperialismo
e criticano duramente la borghesia compradora palestinese e le
autorità e i regimi arabi. Lo stato sionista non è mai riuscito a
silenziare la voce, il genio e la bellezza delle parole di Kanafani né
quella della sua eredità che continua a vivere e a fiorire ovunque sia
presente il popolo palestinese oggi e ovunque ci sua creatività e
resistenza. A 40 anni dal martirio di Ghassan Kanafani, è nostra
responsabilità costruire la cultura della resistenza, esplicare la
chiarezza politica e la visione e costruire il movimento capace di
ottenere la vittoria, la liberazione e il ritorno e promettiamo di
continuare il lavoro fino alla sua realizzazione.

Ghassan Kanafani e la cultura della resistenza

Il compagno Ghassan Kanafani nacque ad Acri nel 1936, e la sua
famiglia fu espulsa dalla Palestina nel 1948 dal terrore sionista, e
dopo questo periodo la sua famiglia si stabilì a Damasco. Dopo aver
completato i suoi studi, lavorò come insegnante e giornalista, prima a
Damasco e poi in Kuwait. In seguito mosse verso Beirut e scrisse
numerosi saggi prima di dare inizio ad Al Hadaf, la pubblicazione
settimanale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (PFLP),
nel 1969. Fu un portavoce del PFLP e membro del suo Ufficio Politico
così come un grande romanziere e un artista i cui immensi contributi
non saranno mai evidenziati abbastanza. Per cominciare, Kanafani fu un
membro attivo del Movimento Nazionalista Arabo, il precursore del
PFLP, ma in seguito, insieme al suo compagno George Habash approdò al
marxismo, nella convinzione che la soluzione dei problemi che stavano
affrontando i palestinesi non avrebbe potuto essere raggiunta senza
una rivoluzione sociale in tutto il mondo arabo. Kanafani fu ucciso
quando la sua macchina esplose nel luglio 1972: ucciso dagli agenti
sionisti. La sua sorella scrisse: “La mattina di sabato 8 luglio 1972
verso le 10.30 a.m. circa, Lamees (nipote di Kanafani) e suo zio
stavano uscendo insieme verso Beirut. Un minuto dopo la loro partenza,
sentimmo il suono di una tremenda esplosione che scosse tutto il
palazzo. Ci spaventammo immediatamente, ma la nostra paura era per
Ghassan, non per Lamees, poiché avevamo dimenticato che Lamees era con
lui e comprendemmo che Ghassan era l’obiettivo dell’esplosione.
Corremmo fuori, tutti chiamavamo Ghassan e nessuno Lamees. Lamees era
ancora una ragazzina di diciassette anni. Tutto il suo essere era
desideroso di vita ed era una ragazza piena di vita. Ma sapevamo che
Ghassan aveva scelto questa strada e l’aveva percorsa fino in fondo.
Solo il giorno prima Lamees aveva chiesto a suo zio di ridurre le sue
attività rivoluzionarie e concentrarsi di più sullo scrivere le
storie. Gli aveva detto: “Le tue storie sono belle”, e lui aveva
risposto, “Tornare indietro a scrivere storie? Io scrivo bene perché
credo in una causa, nei principi. Il giorno in cui lasciassi perdere
questi principi, le mie storie diventerebbero vuote e senza senso. Se
io lasciassi indietro i miei principi, tu stessa non mi
rispetteresti”. Egli riuscì a convincere la ragazza che la lotta e la
difesa dei principi è ciò che alla fine porta al successo in ogni
cosa”.

Nelle memorie che la moglie di Ghassan Kanafani pubblicò dopo la sua
morte, ella scrisse: “La sua inspirazione per scrivere e lavorare
incessantemente era la lotta arabo palestinese…Era uno di quelli che
lottavano sinceramente per lo sviluppo di un movimento di resistenza
dall’essere un movimento di liberazione nazionalista palestinese ad
essere un movimento panarabo rivoluzionario socialista all’interno del
quale la liberazione della Palestina sarebbe stata una componente
essenziale. Egli sottolineò sempre che il problema palestinese non
avrebbe potuto essere risolto isolandolo dall’intera situazione
sociale e politica del mondo arabo.” Questa attitudine si sviluppò
naturalmente dalla esperienza di Kanafani. All’età di dodici anni
affrontò il trauma di diventare un rifugiato e successivamente visse
come in esilio in vari paesi arabi, non sempre con l’approvazione
ufficiale. Il suo popolo era disperso, molti di loro trascorrevano la
loro esistenza nei campi o lottavano per la sopravvivenza facendo i
lavori più umili; la loro unica speranza era riposta nel futuro e nei
loro figli.

Lo stesso Kanafani, scrivendo a suo figlio, riassunse cosa voleva dire
essere palestinese:

“ Ti ho sentito mentre eri nell’altra stanza e chiedevi a tua madre.
‘Mamma, sono un Palestinese?’ Quando ha risposto ‘Sì’ un pesante
silenzio è caduto su tutta la casa. E’ stato come se qualcosa che
stava in sospeso sulle nostre teste fosse caduta, il suo rumore fosse
esploso, quindi-silenzio. Dopo…ti ho sentito piangere. Non sono
riuscito a muovermi. C’era qualcosa più grande della mia
consapevolezza che stava nascendo nell’altra stanza attraverso il tuo
singhiozzo sconcertato. Era come se un bisturi sacro stesse
squarciandoti il petto e ponendovi il cuore che ti apparteneva…Non
ero in grado di muovermi per vedere cosa stava accadendo nell’altra
stanza. Sapevo, comunque, che una madrepatria distante stava nascendo
di nuovo: colline, uliveti, morti, le bandiere strappate e quelle
ripiegate, tutte queste cose si ritagliavano la strada verso un futuro
di carne e sangue e rinascevano di nuovo nel cuore di un altro
bambino…Credi che l’uomo cresca? No, egli nasce improvvisamente- una
parola, un momento, penetrano nel suo cuore creando una nuova
pulsazione. Una immagine può scaraventarlo dal tetto dell’infanzia
verso le asprezze della strada.”

Al nostro compagno che non c’è più ma rimane tra noi; tu hai
conosciuto due vie nella vita, e la vita ne ha conosciuta da te solo
una. Hai conosciuto il sentiero della sottomissione e l’hai rifiutato.
E hai conosciuto il sentiero della resistenza e l’hai percorso. Questo
sentiero è stato scelto per te e tu l’hai percorso. E i tuoi compagni
stanno camminando con te. L’abilità del compagno Kanafani di
illustrare al di là di ogni ombra di dubbio, la deprivazione e le
sofferenze del suo popolo, così come l’abilità di trasformare una
linea ideologica e politica in letteratura popolare hanno fatto di lui
una severa minaccia per l’entità sionista.

Di seguito alcuni estratti da un tributo a Ghassan da uno dei suoi
colleghi, un autore palestinese, S. Marwan, pubblicato su Al Hadaf il
22 luglio 1972.

LA LOTTA DEGLI OPPRESSI DEL MONDO

“L’imperialismo ha collocato il suo corpo in tutto il mondo, la testa
nell’Est asiatico, il cuore nel Medio Oriente, le sue arterie che
raggiungono l’Africa e l’America Latina. Ovunque tu lo combatti, lo
danneggi, e servi la rivoluzione mondiale. L’imperialismo non è un
mito o una parola ripetuta dalle notizie dei media, una immagine
statica che non riguarda la realtà umana, Nella concezione di Ghassan
Kanafani, è un corpo mobile, una piovra che colonizza e sfrutta,
diffondendosi nel mondo attraverso le imprese monopolistiche
occidentali. L’imperialismo sta dirigendo varie forme di aggressioni
contro le masse che nel mondo lavorano duramente, particolarmente nei
paesi sottosviluppati.

Basandosi sullo slogan: “ Tutto per le masse”, coniato nel settimanale
Al Hadaf., Ghassan Kanafani mise il suo chiaro intelletto al servizio
delle masse e dei loro oggettivi interessi di classe, azione che lo
portò a dichiarare: “Il desiderio di cambiamento che si sta propagando
nelle masse arabe, deve essere motivato da chiarezza ideologica e
politica assoluta. Così Al Hadaf consacra se stesso al servizio
dell’alternativa rivoluzionaria, dato che gli interessi delle classi
oppresse hanno gli stessi obiettivi della rivoluzione. Il settimanale
si presenta come un alleato di tutti coloro che stanno portando avanti
una lotta armata e politico-ideologica per ottenere una nazione
progressista liberata. La base naturale del lavoro intellettuale e
artistico di Ghassan fu adottare e difendere gli interessi delle
classi lavoratrici, non solo palestinesi, ma anche le classi oppresse
arabe ed internazionali. Data questa base fondamentale per tutto il
suo lavoro, Ghassan Kanafani, come marxista, appoggiò il sentiero
della lotta armata come unico mezzo per difendere gli oppressi. Egli
stesso faceva parte di questi ultimi; visse e sperimentò la povertà
causata dal capitalismo e dall’imperialismo e rimase entro le fila
della masse oppresse, nonostante le tentazioni capitalistica e i
tentativi del capitalismo di accerchiare la sua vita giornalistica.
Rimase un uomo umile che lavorava giorno e notte per migliorare e
sviluppare la qualità della vita umana fuori delle avversità imposte
dalla storia. Indirizzandosi ad un gruppo di studenti, Ghassan disse:
“Lo scopo dell’educazione è correggere il cammino della storia. Per
questa ragione abbiamo bisogno di studiare la storia e comprendere la
sua dialettica così da costruire una nuova età storica, nella quale
vivranno gli oppressi liberati, grazie dalla violenza rivoluzionaria,
dalle contraddizioni che li avevano soggiogati.” Ghassan Kanafani non
solo raggiunse la conoscenza del materialismo storico, ma lo applicò
nei suoi lavori. Il concetto in cui credeva e per ci visse fu mostrato
chiaramente in ciò che disse e scrisse. La contraddizione primaria è
quella con l’imperialismo, sionismo e razzismo. E’ una contraddizione
internazionale, è l’unica soluzione è distruggere queste minacce
attraverso una lotta armata unita e ferma. Egli incoraggiò e tenne
alto lo spirito dell’internazionalismo tra tutti i popoli cui si
rivolse o conobbe. Questa forte convinzione ideologica lo portò a
rifiutare tutti i compromessi, tutte le soluzioni che andassero a
favore della borghesia o causassero divisioni, o che non
comprendessero o applicassero le tesi e lo sviluppo della rivoluzione
e del suo lungo sentiero verso la liberazione, combattendo gli
interessi dell’imperialismo e fondendosi con le masse. Disse in un
commento sul martire Patrick Arguello: “Il martire Patrick Arguello è
un simbolo della giusta causa e della lotta per raggiungerla, una
lotta senza limiti. E’ un simbolo della masse oppresse e deprivate,
rappresentante nei miei lavori dal personaggio di Oum Saad e molti
altri che vengono dai campi e da tutte le parti del Libano, che
marciano durante la processione per il suo funerale.”

Nella discussione sugli schemi reazionari dell’imperialismo contro le
forze rivoluzionarie, egli dichiarò: “I risultati dell’assalto
imperialista saranno diretti contro le masse oppresse per impedire
loro di mobilitarsi e lottare.” Questa analisi si basava sulla
posizione dei regimi arabi e dei regimi dei paesi sottosviluppati in
generale, che si ritirano sotto i colpi dell’imperialismo.

Nel contesto della rivoluzione internazionale, disse:

“I rivoluzionari vietnamiti hanno lottato contro l’imperialismo per
decine di anni. Essi trasferiranno la loro rivoluzione verso altri
posto; primo perché la loro rivoluzione sta continuando, secondo,
perché sono internazionalisti..” La causa palestinese non è una causa
per soli palestinesi, ma una causa per ogni rivoluzionario, ovunque
egli sia, così come lo è la causa della masse sfruttate ed oppresse
nella nostra era.”

Dato che la lotta del proletariato internazionale contro
l’imperialismo fu la principale questione affrontata da Ghassan
Kanafani, i cospiratori dietro il suo assassinio temevano la sua
attitudine di scontro logico e chiaro, così come era rivelato dai suoi
lavori e dalle notizie dei media occidentali. Ciò portò l’imperialismo
e i suoi alleati reazionari a fermare la penna che rifiutava di
arrendersi alle loro tentazioni o avvertimenti. Ghassan Kanafani
trasformò la causa araba e palestinese in una causa attraverso la
quale noi adottiamo la lotta di tutti gli sfruttati e oppressi nel
mondo.

La dedizione di Ghassan rimarrà un monumeto per le masse che lottano.
Disse in una riunione con lo staff di Al Hadaf:” Tutto nel mondo può
essere rubato e sottratto, tranne una cosa: questa unica coa è l’amore
che emana da un essere umano verso una solida dedizione ad una
convinzione o ad una causa.”

Opere letterarie del compagno Kanafani

Opere scelte (si indica la traduzione solo di quelle disponibili nelle
lingue europee):

Mawt Sarir raqm 12, 1961
Ard al-burtugal al-hazin, 1963 (La terra delle arance tristi)
Rijal fi-al-shams, 1963 (Uomini sotto il sole)
al-Bab (La porta), 1964
Alam laysa lana, 1965
Adab al-muqawamah fi filastin al-muhtalla 1948-1966, 1966
Ma tabaqqa lakum, 1966 (Tutto ciò che rimane)
Fi al-Abab al-sahyuni, 1967
al-Adab al-filastinial-muqawin tahta al-ihtilal: 1948-1968, 1968
An al-rijal wa-al-banadiq, 1968
Umm Sad, 1969 (La madre di Saad)
A’id ila Hayfa , 1970 (Ritorno ad Haifa)
al-A ma wa-al-atrash, 1972
Barquq Naysan, 1972
al-Qubba’ah wa-al-nabi, 1973
Thawrat 1936-39 fi filastin, 1974 (Le rivolte palestinesi del 1936-39,
in inglese)
Jusr ila al-abad, 1978
al-Qamis al-masruq wa-qisas ukhra, 1982
‘Il Forte degli Schiavi’ in inglese, in Arabic Short Stories, 1983
(traduzione di Denys Johnson-Davies)

INTERVENTO DEL MRO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA NAKBA

Buenas tardes compañeros y compañeras, quisiéramos comenzar nuestra intervención saludando a todos los presentes, a las organizaciones convocantes y a los camaradas del FPLP, a los veteranos de las FAR de Guatemala y a los camaradas del FAR de Argentina.

Los compañeros del MRO me han hecho el honor al designarme como portavoz en esta actividad tan importante, donde debatimos y analizamos en conjunto al cumplirse 64 años de atropello sionista sobre el hermano pueblo palestino y sus organizaciones.

Enestostiemposdondelacrisisdelimperialismodescargatodasuviolenciasobrelostrabajadoresylospueblos,dondepretendeimponersudominaciónasangreyfuego,sobretodoenmediooriente.Laluchadelpueblopalestino,desusorganizacionesyespecialmentedeloscamaradasdelFrentepopularparalaLiberacióndePalestina,esunejemplodedignidadyconsecuenciaqueiluminaelcaminoparatodosaquellosqueluchamoscontralaopresióncapitalista.

Así lo demuestra la heroica huelga de hambre que miles de presos políticos palestinos han llevado adelante. Sin lugar a dudas un triunfo sobre la ignominiosa política de apartheid impuesta por el sionismo israelí con la complicidad de los gobiernos del llamado primer mundo.

Consideramosque,másalládelasdificultadesydelasatrocidadescometidascontralospueblos,especialmenteelpalestino,comienzaaevidenciarseunaleverecuperacióndeterrenoporpartedelasfuerzaspopulares.Nosindificultades,seretomanconmayorímpetulasbanderasdelasolidaridadinternacional.Hoyenelmundosoncientosdemileslasactividadesquesedesarrollanporlaautodeterminacióndelpueblopalestinoycontralapolíticadeocupaciónygenocidiollevadaadelanteporelsionismoisraelí.Aunquelaidea,impuestadesdeloscentrosdepodermundial,dequetodoelqueluchacontraelordenestablecidoesterroristasigapermeandoelsentidocomúndelasgrandesmasas.

Enmediodeestacrisiselimperialismonecesitadestrabarlasfuerzasproductivasyrecomponersutasadeganancia.Paraelloestáimpulsandounapolíticadeexplotaciónalostrabajadoresydesaqueodenuestrosrecursosnaturalesmásrapazqueenépocaspasadas.Millonesdedesocupados,pérdidadecondicionesdevida,expoliacióndelosrecursosnaturales,desestabilizaciónpolíticaderegímenesogobiernosnosumisosasusmandatos,imposicióndepresidentesyministrosy,porúltimoinvasionesmilitaresabiertasoencubiertas.

EnnuestraAmérica,nosólopretendensaquearnuestrosrecursosnaturales,bajolaestrictavigilanciadelcomandosurylacuartaflotayanqui.Sinoque,conlaaparenteconsolidaciónenlosgobiernosdefuerzasllamadasprogresistas,pretendenrobarselasbanderasdelaluchadenuestrospueblosporsuliberación.Losqueantesalzabansusvocesysusarmascontraelimperialismo,ahoranosinvitanaandarderodillasybesarlasbotasdelamo.Díatrasdíanosdicenqueelimperialismoesmuyfuerteynosotrosdemasiadopequeños.Pretendenconvencernosquenuestrasuertedependedirectamentedelasuertedelburgués,intentandotransformaranuestrospueblosentranquilosrebaños.

Pero,sabemosquetaparelsolconundedoesenvano.Laclasetrabajadoraydemássectorespopularesseestánreorganizando.Planteandurasresistenciasalaspolíticasdelimperialismoysussirvientes.

Es un deber, una necesidad inexcusable, colocar la dimensión internacionalista a las luchas que nuestros pueblos están desarrollando. 

INIZIATIVA PER LA COMMEMORAZIONE DEL GIORNO DELLA NAQBA

INIZIATIVA PER LA COMMEMORAZIONE DEL GIORNO DELLA NAQBA.

 

Martedì 15 maggio si è tenuto a Pisa un dibattito nel giorno della Nakba per ribadire l’impegno internazionalista delle realtà che avevano convocato l’iniziativa e la volontà di portare avanti

una “battaglia delle idee” oggi più che mai necessaria. È stato sottolineato da tutti i partecipanti che riparlare di Nakba significa riappropriarsi di una memoria collettiva di lotta di classe che deve ritornare attiva nella prassi.

Era presente un compagno dell’Unione Democratica Arabo Palestinese e, in collegamento skype, la compagna Leila Khaled in rappresentanza del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e i compagni e le compagne del FAR argentino. Non è stato possibile collegarsi con i compagni del MRO dell’Uruguay [vedere suo comunicato allegato nella relazione] e con le ex FAR del Petén. Ugualmente non è stato possibile affrontare il tema della proposta di una missione in Siria.

 

Gli interventi hanno sottolineato: sia la necessità di un reale coordinamento internazionalista che possa tracciare la via di uscita dal sistema capitalista; sia come l’internazionalismo resti una necessità ed un riferimento per l’operato dei compagni palestinesi, la cui lotta proseguirà sino alla vittoria, i quali condividono l’analisi che faticosamente i compagni e le compagne del “Coordinamento Guevarista Internazionalista” tentano di tradurre in prassi quotidiana; sia come questo profilo risulti di fatto ineludibile a fronte di un capitalismo che attua le stesse strategie a tutte le latitudini.

In questo senso l’operato del sionismo -fatto di occupazione militare, repressione, mistificazione strategica- è perfettamente funzionale alle logiche imperialiste. Ma il sionismo non si limita ad applicarle alla sola area medio orientale come ben sanno i popoli della America Latina i cui recenti governi borghesi progressisti o populisti, invece di garantire democrazia economica e sovranità nazionale, sembrano prioritariamente orientati al controllo sociale, come dimostra la legislazione antiterrorista argentina e l’operato repressivo del governo uruguayano.

 

I compagni dell’Associazione “Camilo Cienfuegos” hanno sottolineato le analogie dell’operato imperialista: demonizzazione del “nemico”, definito dittatore o terrorista, distorsione strategica della realtà, proposizione del capitalismo come “unica modalità possibile” di convivenza.

Da parte dei compagni del sindacato classista Cobas è stato ribadito questo concetto ed espresso l’auspicio di continuare il lavoro congiunto contro la repressione che colpisce a qualsiasi livello tutti

coloro che lottano nel proprio paese contro la progettualità capitalista in tutte le sue articolazioni.

Tutti i presenti hanno poi espresso soddisfazione per il livello di discussione e per le prospettive.

 

 

ACTO POR LA CONMEMORACIÓN DEL DÍA DE LA NAQBA

El martes 15 de mayo en Pisa ha sido realizado un encuentro “en el día de la Naqba” para reiterar el compromiso internacionalista de las organizaciones promovedoras y sus voluntades de empujar una “batallas de las ideas” hoy más necesaria que nunca. Ha sido subrayado por todos los participantes que seguir hablando de la Naqba significa retomar la memoria colectiva de la lucha de clase, la cual tiene que reactivarse en el la praxis.

Presente un camarada de la Unión Democrática Árabe Palestina y, conectados por skype, la camarada Leila Khaled en representación del FPLP y camaradas del FAR argentino. No ha sido posible conectarse con los camaradas del MRO de Uruguay [ver su Comunicado anexado a la relación] y de las ex-FAR del Petén. Igualmente no ha sido posible hablar de la implementación de la misión en Siria.

Las intervenciones han subrayado: sea la necesidad de una real coordinación internacionalista que pueda indicar la salida al capitalismo; sea como el internacionalismo quede para los camaradas palestinos, cuya lucha continuará hasta la victoria, una necesidad y una referencia y como ellos compartan el análisis que fadigatamente la “Coordinadora Guevarista Internacionalista” intenta traducir en praxis cotidiana; sea como esta estrategia se ponga ineludible frente a un capitalismo que aplica las misma políticas agresivas y permanentes en todas las latitudes.

En este sentido la actuación sionista -hecha por ocupación militar, represión, mistificación estratégica- está perfectamente funcional a las lógicas imperialistas. Pero el sionismo no se límita a aplicarlas en la región del Oriente Medio como saben en carne propia los pueblos de América Latina cuyos gobiernos burgueses progresistas o populistas en vez de garantizar la democracia económica y la soberanía nacional parecen privilegiar el contro social, como demuestra la legislación antiterrorista argentina y el actuar represivo del gobierno uruguayo.

Los camaradas de la asociación “Camilo Cienfuegos” han además subrayado las analogías de la actuación imperialista: el “enemigo” como demonio; siempre “dictador” o “terrorista”; distorsión estratégica de la realidad; proposición del capitalismo como única solución.

El sindicato clasista Cobas ha reforzado lo dicho con anterioridad y ha expresado la voluntad de seguir trabajando juntos contra la represión que golpea a todos aquellos que luchan en su propio país contra el capitalismo en todas sus articulaciones.

Todos los participantes han expresado su satisfacción por el nivel del debate y las perspectivas.

CONTRIBUTI DALL’URUGUAY E DALL’ARGENTINA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DEL PRIGIONIERO POLITICO PALESTINESE

CONTRIBUTO DEL MOVIMIENTO REVOLUCIONARIO ORIENTAL-URUGUAY

Cari compagni, mandiamo un saluto da questo piccolo angolo dell’America Latina. Questa giornata dovrebbe essere di grande importanza per tutti coloro che lottano per la causa palestinese. Migliaia di uomini e donne affrontano le peggiori sofferenze nelle prigioni del sionismo o sono brutalmente assassinati dall’esercito. Ma sicuramente sono in prima file nella loro lotta per una Palestina unica e socialista. Questi esempi di coraggio, dignità e coerenza che il popolo palestinese e le loro organizzazioni rivoluzionarie ci danno di giorno in giorno, sono fari luminosi tra tanta mediocrità, ottenuta utilizzando i vecchi dirigenti politici oggi trasformati in lacchè servile dell’imperialismo e lo spregevole sionismo. Con il chiaro esempio di Ahmad Sa’adat e altri leader del PFLP che non si arrendono a dispetto della sofferenza cagionata da condizioni sempre peggiori di isolamento, eleviamo la nostra voce nel giorno di prigionieri politici palestinesi al grido di:

Rilascio immediatamente di tutti i prigionieri politici palestinesi.

Ritiro immediato dell’esercito Sionista da tutti i territori occupati.

Lo smantellamento di tutti gli insediamenti irregolari e di tutte le prigioni del sionismo.

Immediato ritorno di tutti i profughi palestinesi.

Incondizionata solidarietà con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Per una Palestina unica e socialista.

MOVIMIENTO REVOLUCIONARIO ORIENTAL

En la COORDINADORA GUEVARISTA INTERNACIONALISTA

LE RELAZIONI DELL’URUGUAY CON IL SIONISMO

L‘aspetto político

In Uruguay l’aspetto politico ha sempre mantenuto una politica allineata all’imperialismo e il sionismo. I partiti tradizionali, partito Colorado e Partito Nazionale, che hanno successivamente occupato il governo fino al 2005, mantenendo sempre una politica di sostegno chiaro e aperto alla politica Sionista. Il Fronte Ampio (coalizioni socialdemocratica), che si era  stato caratterizzato alle sue origini come una forza politica con posizioni anti-imperialiste, ha dimostrato di aver assunto in pieno le linee dei governi precedenti che, senza alcuna esitazione, seguono da vicino la linea politica che segna l’imperialismo, e quindi il sionismo. Infatti, nel luglio 2008, il primo presidente uruguayano Tabaré Vázquez, Uruguay per il Frente Amplio, esegue un viaggio ufficiale in Israele, dove chiaramente afferma il suo impegno a rafforzare i legami con il governo di quel paese. Sebbene nei suoi discorsi, il Fronte Ampio mantiene una certa distanza (molto lieve)  dai partiti tradizionali, negli atti di governo ha mantenuto e rafforzato ulteriormente il legame con il governo sionista, in particolare nei settori della sicurezza. L’attuale governo di José Mujica (storico leader del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, la principale organizzazione armata della decade del 70), ha continuato e approfondito le politiche pro-imperialiste del suo predecessore Tabaré Vázquez, e ha cercato un maggiore avvicinamento anche con il governo israeliano. Anche se in qualche momento c’è stata una divergenza, come nel caso di un voto del Consiglio di sicurezza DELLE NAZIONI UNITE sulla situazione dei diritti umani in Palestina,  è stata piuttosto l’eccezione. Naturalmente, i partiti tradizionali approfittano di queste situazioni per differenziarsi e indicare chiaramente il loro totale allineamento alla politica sionista, segnando la forte influenza che la stessa ha in questi settori. Tuttavia va tenuto presente che queste differenze sono completamente secondarie, l’intero spettro politico uruguayano, che ha rappresentanza parlamentare, dalla destra più recalcitrante fino il riformismo frenteamplista, è totalmente impegnato a mantenere l’alleanza dell’Uruguay con Israele e la sua politica sionista.

L’aspetto economico

Questo non è l’aspetto centrale dell’influenza sionista nel nostro paese, ma, tuttavia, vi è una storia di accordi di natura economica che hanno rafforzato i legami politici tra i paesi. Il 23 dicembre 2009 è entrato in vigore l’accordo di libero scambio per Israele e Uruguay che è stato firmato nel 2007, insieme con gli altri membri dei paesi del Mercosur. Tra gli antecedenti di questo accordo ce ne sono diversi, tra cui possono essere menzionati  l’accordo commerciale firmato dai due paesi nel 1949, il Trattato di commercio e di navigazione, firmato nel 1958, l’accordo commerciale del 1968, l’accordo per la Promozione e protezione reciproca degli investimenti del 1998 e l’accordo quadro del commercio nel 2005.

L’aspetto ideologico

In Uruguay c’è un gran numero di istituzioni di tutti i tipi, che sono impegnati a diffondere l’ideologia del sionismo e a difendere la politica dello stato di Israele. La quantità sorprende per la sua estensione se si tiene conto della piccola dimensione dell’Uruguay e della sua popolazione.

L’elenco delle istituzioni è il seguente:

A Montevideo

Ajim Rajmonim

Amigos de Histadrut-Rabin

Amigos de Israel

Amigos Universidad de Tel Aviv

Amigos Universidad Hebrea de Jerusalem

Asociación Cultural I. L. Peretz

Asociación Deportiva Hebraica y Macabi del Uruguay

B’nai B’rith del Uruguay

Casa de Cultura Mordejai Anilevich

Centro de Segunda Generación

Centro Recordatorio del Holocausto

Comité de Entidades Femeninas Israelitas del Uruguay (Cefidu)

All’interno del paese:

Comunidad Israelita de Punta del Este y Maldonado (Cipemu)

Sociedad Israelita de Paysandú (Sipay)

Consejo Uruguayo de Mujeres Judías

Departamento de Hagshamá

Federación Juvenil Sionista

I movimenti giovanili che compongono le federazioni della gioventù Sionista

Betar

Bnay Akiva

Habonim Dror

Hanoar Hatzionit

Hashomer Hatzair

Jazit Hanoar

Macabi Tzair

Fundación Tzedaká Uruguay

Hillel House

Hogar de Ancianos Israelita

Istituzioni Educative:

Escuela Integral Hebreo Uruguaya-Instituto Ariel Hebreo Uruguayo

Instituto Yavne

Universidad ORT

Keren Kayemeth Leisrael

Maguen David Adom

Na’amat

Nativ

Organización Sionista del Uruguay

Wizo Uruguay

Tutte queste istituzioni sono raggruppati nel Comitato Centrale Israelita dell´Uruguay che mantiene una costante attività politica, realizzando una lobby all’interno del sistema politico, sia governativo che dell’opposizione parlamentare, nonché agendo attraverso i media, a difesa della politica Sionista e diffondendo la sua ideologia.

L’aspetto repressivo

In questo aspetto, il punto essenziale è che la politica di sicurezza dell’Uruguay (come tutto il resto della nostra politica) è pienamente in linea con la politica imperialista e di conseguenza anche il sionismo. I punti focali della lotta contro il terrorismo, il traffico di droga, la sicurezza interna, utilizzati pretesto per mettere a punto dei meccanismi di repressione contro qualsiasi tentativo di lotta popolare, sono quelli che guidano le azioni delle forze repressive uruguayane e, in questo senso, la cooperazione con Israele è centrale. I governi che si sono succeduti nel nostro paese hanno rafforzato l’influenza israeliana,  nell’addestramento, l’equipaggiamento e  operatività delle forze repressive uruguayane. L’attuale governo dell’Uruguay ha espresso particolare preoccupazione per istituzionalizzare la presenza di Israele in questi settori, con la firma di trattati di cooperazione e di un fluido scambio tra le più alte autorità dei governi. Nell’ottobre 2010 il ministro dell’Interno del Uruguay, Eduardo Bonomi (leader e responsabile della formazione marxista dei quadri del MLN-T nelle carceri della dittatura), ha firmato in Israele con Yitzhak Aharonovich, Ministro della Pubblica Sicurezza di questo paese un Accordo di Cooperazione su Questioni di Pubblica Sicurezza. In aggiunta alla firma dell’accordo di cooperazione, ci state le visite e incontri con la polizia, sicurezza, servizi  e industrie correzionali, un appuntamento con il Ministro della pubblica sicurezza di Israele, con il Capo della Polizia Dudi Cohen, il Capo della Polizia Penitenziaria e il direttore del carcere, tra gli altri. Nel 2011 il ministro della difesa dell’Uruguay Eleuterio Fernandez Huidobro (fondatore e leader storico del MLN-T) “ha ricevuto l’Ambasciatore Plenipotenziario dello Stato di Israele, Yossi Peled, dove si sono scambiate una visione della cooperazione nel campo della tecnologia, informazioni di intelligence, sulle grandi questioni in materia di sicurezza e di difesa (…)A questo proposito, alcuni dei temi trattati nel modulo di affrontare la lotta contro il traffico di stupefacenti, la sicurezza emisferica ( …)Durante la riunione sono state esaminate le questioni a livello globale e regionale con l’obiettivo di esplorare possibili accordi nel settore della cooperazione reciproca tra i due paesi (…)”. L’idea è chiara, cercare di istituzionalizzare pratiche che sonogià in atto e che comportano un lavoro comune molto sviluppato tra le forze di repressione  uruguayane e sionista. Ovviamente non è possibile l’accesso ai dati pubblici, ufficiali, circa i dettagli di questa “cooperazione”, ma si può dire senza il minimo timore che oggi Israele è uno dei principali, se non il principale, responsabile per l’attrezzatura e la formazione delle forze repressive uruguayane e che vi è una forte connessione tra le agenzie di intelligence dei due paesi.In sintesi, la lotta contro la barbarie sionista è internazionale. Solidarietà con il popolo palestinese e le loro organizzazioni attraverso la lotta contro il sionismo e i suoi lacchè nei nostri paesi e l’inserimento nella causa di campagne internazionali.

L’IMPERIALISMO SIONISTA IN ARGENTINA.

Comunicazione del Fronte d’Azione Rivoluzionaria dell’Argentina per l’iniziativa di solidarietà con il Prigioniero Politico Palestinese del 17 aprile in Pisa

 

L’ ingerenza sionista in Nostramerica e particolarmente nel nostro paese è da decenni, con quella dell’imperialismo yankee, di un peso sostanziale. Negli ultimi anni, sotto la direzione del governo kirchnerista, questo peso è però aumentato sia come subordinazione dei funzionari statali alle necessità sioniste che nella presenza di politici sionisti nello stesso governo argentino.

Il fatto che la campagna elettorale del 2005, vinta da NéstorKirchner, fosse stata fondamentalmente finanziata da capitali sionisti ed appoggiata da infrastrutture sioniste, marcherà in maniera evidente  le future relazioni politiche tra kirchnerismo e sionismo. Il risultato iniziale più visibile di questo matrimonio, fu l’entrata,permessa dal governo argentino,del gruppo Eskenazinella (già) Impresa Nazionale Petrolifera (YPF) privatizzata a favore del monopolio spagnolo Repsol. Il gruppo Eskenazi, sempre con l’aiuto del governo kirchnerista, ottenne in forma graduale il 25% delle azioni, che tutt’ora mantiene. È pur vero che questa situazione non resterà eternamente stabile perché la crisi economica e la terribile carenza energetica potrebbero obbligare Cristina Fernández de Kirchnera “riavvolgere” la sequenza dei fatti.

Ci sembra opportuno ricordare come la intelligenza politica del kirchnerismo sia consistita nel “leggere” adeguatamente la situazione partorita durante e dopo i fatti del 2001. Ciò gli ha permesso di mettere mano alla ricostituzione, anche attraverso la  utilizzazione di un ciclo economico favorevole, della credibilità istituzionale borghese. In questa “lettura” c’è anche l’uso spregiudicato della cooptazione di Organizzazioni e militanti popolari;una soluzione tattica portatrice, per il governo, di risultati eccellenti ed alla quale venne dato il nome di “trasversalità”. Ad essa si  affidò  il recupero della adesione popolare ad un “rinnovato” bipartitismo storico, così come si conosce in Argentina.

La soluzione tattica della “trasversalità” fu messa a punto dalla intellettualità “dura” del kirchnerismo -e qui torniamo ai suoi rapporti organici con il sionismo-   in un ricco complesso edilizio ubicato nell’elitario quartiere degli affari, Puerto Madero, della città di Buenos Aires, che non fu né affittato né comprato da NéstorKirchner, ma che gli fu semplicemente regalato da un intimo amico del suo intorno: Eduardo Elsztain. Elsztain,oltre ad essere un sionista totale, è un capitalista argentino che ha le mani in molti affari: presidente e maggiore azionario del gruppo IRSA (investimenti immobiliari, fondiari e agropastorali), padrone della catena Shopping, membro del Direttorio Endeavor, presidente della Banca Ipotecaria e tesoriere del CONSIGLIO MONDIALE EBREO.

Altro capitalista influente nel governo kirchnerista è Marcelo Mindlin, che assieme a Elsztain, è stato per dieci anni il braccio operativo in Argentina di George Soros, altro grande stratega della “trasversalità”.

L’incidenza del sionismo, come inizialmente detto, era presente anche durante la dittatura militare. Il libro di HernánDobry recentemente pubblicato -“Operazione Israele: il riarmo argentino durante la dittatura 1976-1983”- rivela una preoccupante fotografia delle relazioni tra lo Stato sionista e l’Argentina, in particolare durante la guerra delle Malvinas.

La presenza politica del sionismo con quadri suoi propri direttamente nel governo argentino è dimostrata dall’attuale ministro degli esteri HéctorTimerman “cristinista” della prima ora che fu, tra l’altro, direttore del giornale “La Tarde” che nei primi mesi della dittatura (marzo-agosto 1976) condannava l’”estremismo” e la “sovversione” appoggiando il governo golpista ed i generali fascisti come Domingo Bussi. L’identità sionista di Timerman è pubblicamente conosciuta; mai smentì l’informazione apparsa su “Clarín” che lo segnalava colonnello ad honorem del “Mossad”. Il sociologo nord americano James Petras, in una intervista del 2010, denuncia come: “Timermansia il collegamento tra il sionismo statunitense ed Israele da una parte, e la politica argentina dall’altra. Con la sua nomina prima ad ambasciatore argentino in Washington e poi a ministro degli esteri, sempre per opera della signora de Kirchner, Israele possiede ora, di fatto, un funzionario a tempo completo infiltrato in un ruolo ed in un paese entrambi strategici. Quando Timermanrivestiva la carica di ambasciatore si muoveva in maniera che sarebbe stata vergognosa per qualunque altro funzionario del suo rango, perennemente ed esclusivamente occupato con e per gli affari dei sionisti statunitensi. È un problema che prima o poi si scontrerà con le politiche della America Latina”.

Oltre ai “trattati di libero commercio” (TLC) firmati tra Israele e MERCOSUR, Argentina è un enclave privilegiato per il sionismo. Nel novembre dell’anno passato l’OSA (Organizzazione Sionista Argentina) assieme alla Delegazione di amicizia Israelo-Argentina (DAIA) realizzarono un atto pubblico in un teatro di Buenos Airessotto il titolo: “Realizzando Sionismo”. A questa iniziativa sionista parteciparono il ministro degli esteri, il sindaco Mauricio Macri (che in precedenza aveva cooptato un ex-militare dell’esercito israeliano ad una alta carica della polizia municipale) ed altri vari alti funzionari governativi. Una partecipazione più che eloquente.

Questa è la realtà che promuove la persecuzione politica e giudiziaria contro la nostra Organizzazione. In Argentina denunciare i crimini del fascismo sionista significa affrontare in scontro diretto la bestia imperialista. Dal 2009 tutte le Organizzazioni del sionismo locale “lavorano” per rendere illegale il FAR ed incarcerare i suoi militanti; chiedono per noi un castigo esemplare, perché non ci inginocchiamo ma li affrontiamo, perché sanno che la forza che ha un popolo quando decide di resistere all’oppressione imperialista è inarrestabile.

Dal Fronte di Azione Rivoluzionaria salutiamo l’attività delle BRISOP e delle altre Organizzazioni, riaffermando il nostro impegno nella lotta per la libertà di tutti i prigionieri politici che si sono opposti all’oppressione! La nostra più assoluta solidarietà con il Popolo Palestinese e con la sua indistruttibile lotta contro il colonialismo sionista!

Compagni, tutta la nostra azione continua ad essere un grido di guerra contro l’imperialismo.

Per la unità ed il socialismo

FRONTE DI AZIONE RIVOLUZIONARIA – nel Coordinamento Guevarista Internazionalista.

SINTESI DELLA INIZIATIVA DI SOLIDARIET​À CON I PRIGIONIER​I POLITICI PALESTINES​I – PISA 17 aprile 2012

L’iniziativa del “giorno della solidarietà con il prigioniero politico
palestinese” realizzata da Cobas Pubblico Impiego-Pisa, Collettivo 25
Aprile, Unione Democratica Arabo Palestinese-Toscana (UDAP),
Associazione di Amicizia Italia-Cuba del Circolo “Camilo
Cienfuegos”-Pisa, Brigate di Solidarietà e per la Pace (BRISOP), è
stata definita come il primo passo di un percorso che, sulla base
della congiuntura economica e politica che le classi subalterne vivono
quotidianamente, contribuisca alla ripresa della “battaglia delle
idee” per costruire solidarietà internazionalista, solidarietà di
classe, progetto di superamento del capitalismo. È infatti sin troppo
evidente come la strategia che il capitale finanziario globalizzato
implementa per cancellare i diritti e la libertà delle masse
lavoratrici europee sia strettamente coniugata a quella che applica
attraverso la presenza dello Stato sionista contro i popoli dell’area
Medio Orientale e specificatamente contro quello palestinese.
Queste conclusioni generali sono state sostanziate attraverso i
contributi dei distinti compagni/e presenti, che a seguito
sintetizziamo estremamente.

• Il compagno dei Cobas ha appunto focalizzato l’aspetto
contemporaneamente specifico e generale dell’iniziativa di
solidarietà, in qualche modo anche “nuova” perché prodotta dai fattori
complessivi di crisi capitalistica che conosciamo e che fissano una
situazione di potenziale forte scontro di classe. È in questo contesto
che l’iniziativa va vista come un primo passo di un articolato
percorso.

• Il compagno palestinese dell’UDAP ha sottolineato l’importanza di
produrre solidarietà con i prigionieri politici palestinesi che, in
condizioni carcerarie subumane, hanno deciso di ribellarsi
innanzitutto al silenzio che è calato sulla loro condizione e sulla
loro giusta lotta. I prigionieri politici sono di fatto riconosciuti
come avanguardie di un popolo che è a sua volta prigioniero,
prigioniero del sionismo e del contesto internazionale che lo appoggia
contro il diritto stabilito. La lotta per la libertà dei prigionieri
s’inserisce sì nella lotta per la nazione palestinese ma anche nel più
generale progetto anticapitalista ed antimperialista. Il contesto
della Regione Medio Orientale e Nordafricana è quello di nascenti
ribellioni popolari che i sionisti ed il capitale finanziario
globalizzato vogliono fermare; in questo quadro va vista la spinta
imperialista per aggredire la Siria e per questo occorre schierarsi.
Il compagno palestinese si è detto convinto della necessità di una
qualche iniziativa a favore del popolo siriano e ha indicato alcuni
passi che potrebbero essere opportuni.

• Le BRISOP hanno dichiarato la totale condivisione dell’impostazione
generale data alla iniziativa ed hanno sottolineato come occorra
impegnarsi per la riuscita della commemorazione della Naqba, attività
durante la quale si realizzerà un collegamento video-audio tra
Organizzazioni popolari dell’America Latina e i compagni palestinesi
che darà anche un senso fisico alla lotta che non ha ormai più
frontiere e che pone il problema di una società socialista. Le BRISOP
hanno inoltre affermato di concordare con la necessità di realizzare
forme di solidarietà con il popolo siriano e denunciare
contemporaneamente le insostenibili menzogne dei media italiani; su
questo tema propongono un apporto collettivo e hanno presentato una
ipotesi di appello

• Il “Camilo Cienfuegos” e “25 Aprile” hanno affermato che i tempi
sono maturi per “rimettere sul tavolo” la necessità di superamento del
capitalismo e concordano sulla necessità di schierarsi
sull’aggressione imperialista alla Siria (ben al di là del falso
problema circoscritto su Assad) ricordando che le menzogne mediatiche
focalizzate ora su questa nazione riguardano in modo ugualmente
importante anche Cuba e l’America Latina.

CONCLUDENDO I COMPAGNI/E PRESENTI ASSUMONO:

– di rafforzare l’impegno perché la commemorazione del giorno della
Naqba sia pubblicizzata quanto possibile e sia utilizzata la presenza
virtuale di Organizzazioni rivoluzionarie per iniziare uno scambio
sulle situazioni, sulle necesità e sulle prospettive;

– di sviluppare la riflessione politica ed operativa sulla costruzione
di una missione di solidarietà con il popolo siriano (in Siria) nei
prossimi mesi, focalizzando in un sit-in all’ambasciata di questa
nazione a Roma un passaggio importante per stabilirne concretamente il
percorso e gli incontri.

La chiusura della serata è stata centrata sulla

lettura di due documenti: uno del Fronte di
Azione Rivoluzionaria argentino e l’altro del Movimento Rivoluzionario
Orientale sul ruolo reazionario e criminale svolto dal sionismo contro
le lotte popolari dei rispettivi paesi

IL RUOLO DEI PROFUGHI PALESTINESI NELLA RESISTENZA. I CAMPI PROFUGHI COME FUCINA DELLA RESITENZA ANTIIMPERIALISTA AL SIONISMO

iNTERVISTA A LEILA KHALED EFFETTUATA DA UNA COMPAGNA DELLE BRISOP AD AMMAN NEL GENNAIO 2013. LEILA KHALED INTERVERRA’ VIA SKYPE ALL’INIZIATIVA DA NOI PROGRAMMATA PER IL 15 MAGGIO

IL RUOLO DEI PROFUGHI PALESTINESI NELLA RESISTENZA.

I CAMPI PROFUGHI COME FUCINA DELLA RESSITENZA ANTIIMPERIALISTA AL SIONISMO

Come dichiarato nella mia biografia (My people shall live, 1973), io
stessa sono una rifugiata palestinese. La mia famiglia viveva ad
Haifa. Fummo scacciati dalla nostra casa il 13 aprile 1948, quattro
giorni dopo il mio quarto compleanno. L’unica altra volta che ho
rivisto Haifa è quando con il compagno Salim Hissawi l’ho sorvolata
dopo aver espropriato un aereo imperialista.
Sono responsabile della questione profughi all’interno del comitato
centrale del FPLP.
Perché la questione dei rifugiati è così importante all’interno del
nostro movimento di liberazione nazionale?
I rifugiati palestinesi in tutti questi anni di lotta hanno avuto un
ruolo importante nella battaglia contro il progetto sionista. E’
naturale dato che i profughi sono lo snodo cruciale del conflitto. Il
loro ruolo è storico, politico, strategico. Una delle nostre
immodificabili rivendicazioni come PFLP è il diritto al ritorno dei
profughi nelle loro case. Perché questo avvenga è necessario lo
smantellamento del progetto sionista e della visione colonialista
occidentale. Come aveva dichiarato George Habash in una intervista: “I
profughi sono il ponte che unisce gli obiettivi tattici e strategici
del nostro movimento di liberazione nazionale, qualsiasi accordo che
non preveda il loro diritto al ritorno è destinato al fallimento”.
Quando parliamo di profughi palestinesi stiamo parlando di cinque
milioni di persone che vivono nei campi nel territorio palestinese o
dispersi all’estero nelle aree dove trovarono rifugio a partire dal
1948. Per sopperire alle necessità di una situazione che si reputava
transitoria, fu creata da parte delle Nazioni Unite una agenzia
apposita per i profughi palestinesi, l’UNRWA. I palestinesi andarono
via dalle loro case portandosi dietro le chiavi…
Presto le condizioni di vita inumane, all’interno dei campi , il
concretizzarsi quotidiano del progetto di sterminio sionista
costituirono l’humus per intere generazioni di guerriglieri. La lotta
assunse diverse forme fino dagli anni cinquanta e si strutturò in
lotta armata a partire dalla contemporanea rivoluzione palestinese nel
1965.
I campi riflettono il crimine commesso dal sionismo e
dall’imperialismo contro il popolo palestinese: quando nel 1948 la
nostra terra fu occupata, noi fummo scacciati con la forza ma rimasero
i testimoni. Lo scopo ultimo del sionismo è di cancellare qualsiasi
forma di memoria di lotta.  I campi profughi sono stati e sono al
centro degli attacchi dei sionisti perché sono la memoria vivente
della Nakba. Ben Gurion, uno dei leader sionisti disse, già nel 1948 a
proposito dei continui massacri e dell’occupazione della Palestina che
non ci sarebbe stato nessun problema con gli arabi perché: “I vecchi
moriranno e i giovani dimenticheranno”. Ma i campi profughi continuano
ad essere la fonte della resistenza, dopo quattro generazioni di
profughi e dopo numerosi tentativi, da parte dell’imperialismo di
porre fine alle rivendicazioni con piani per “risistemare” la
questione.
Dopo la conferenza di Madrid e gli accordi di Oslo è risultato chiaro
per i profughi che c’erano piani per bypassare il diritto al ritorno
sostituendolo con ridispiegamento sul territorio delle nazioni arabe
ed eventuale compensazione, per evitare l’implementazione della
risoluzione 194 delle Nazioni Unite. L’unico modo per affrontare e
sconfiggere anche queste tendenze è rafforzare la resistenza
palestinese, la lotta popolare e l’organizzazione dei profughi ovunque
essi siano, nella Palestina occupata nel 1948, nel 1967 o dispersi
all’estero.
I campi sono stati sistematicamente attaccati, direttamente dai
sionisti o dai governi reazionari arabi (l’esercito libanese ci
affrontò già nel 1973 quando la resistenza palestinese era all’apice):
ricordiamo in Libano il massacro di Sabra e Chatila, l’assedio di
Tel-al Zaatar, la distruzione di Nabatiyeh, in Palestina il massacro
al campo di Jenin nel 2002 e gli attacchi ai campi profughi nella
striscia di Gaza.
Esistono tuttavia condizioni di vita differenti nei campi profughi
all’estero. Come già detto, in Libano la situazione dei profughi
palestinesi è drammatica, gli standard di vita sono inaccettabili e da
parte del governo libanese, fino a pochi mesi fa c’era la proibizione
di effettuare più di settanta tipi di lavoro o di possedere proprietà,
il governo siriano ha invece permesso standard molto più dignitosi e
si è sempre battuto per il diritto al ritorno, rifiutandosi di
integrare i profughi palestinesi come cittadini siriani. Noi siamo
d’accordo con questa politica, l’integrazione come cittadini delle
stato in cui si trovano i profughi è la pietra tombale della
rivendicazione del diritto al ritorno. La Giordania persegue questo
obiettivo, con il beneplacito dell’Occidente e se ne sta parlando
anche in alcuni stati europei come la Germania. Noi come già detto
siamo contrari, lo status di rifugiato si trasmette e deve
trasmettersi di padre in figlio, come la memoria della lotta.
L’anno scorso il giorno della Nakba centinaia di giovani palestinesi
hanno marciato dai loro campi profughi all’estero fino alle frontiere
con lo stato sionista e decine di loro hanno pagato con la vita ma
questo sacrificio è la memoria vivente che il progetto sionista,
seppure sostenuto amplificato dalle potenze imperialiste occidentali e
lungi dall’essere vincente.
Ribadiamo che la nostra lotta non è una mera lotta di liberazione
nazionale ma una lotta senza quartiere contro i piani del colonialismo
imperialista nella nostra area, di cui il sionismo rappresenta
la faccia più atroce. In questo contesto si possono inserire la
guerra all”Iraq e il tentativo in atto di destabilizzare la Siria,
avendo come obiettivo ultimo la riduzione del Libano a colonia
sionista e l’attacco all’Iran. Ma la resistenza di un popolo non si
può cancellare, anche i sionisti possono perdere come ha dimostrato il
Libano nel 2006.
In questo contesto è molto importante la solidarietà di classe
internazionale, dobbiamo opporre un fronte di resistenza comune
all’imperialismo è importante riscrivere la nostra storia senza farla
raccontare al nemico.
Per questo la problematica della memoria della lotta di classe è
fondamentale per noi e il giorno della Nakba assume una estrema
rilevanza

Nel giorno del prigioniero politico palestinese: solidarietà internazionalista con l’FPLP! Nel giorno della NAQBA: solidarietà internazionalista con il popolo palestinese!

Nel giorno del prigioniero politico palestinese: solidarietà internazionalista con l’FPLP!

 

Nel giorno della NAQBA: solidarietà internazionalista con il popolo palestinese!

Lo Stato sionista è nato, nel maggio del 1948, da una illegittima e banditesca occupazione della terra abitata dal popolo palestinese. A questa rottura della legalità, evidente anche sotto l’aspetto del diritto internazionale, hanno poi fatto seguito l’espulsione, la persecuzione e l’eliminazione politica (e spesso fisica) di ogni singolo palestinese come tale. Tali fatti non possono essere rimossi. Quale sia oggi la politica sionista è cosa nota. Siamo di fronte alla negazione dell’esistenza del popolo palestinese e quindi dei suoi più elementari diritti: terra, casa, educazione, salute. La repressione “giudiziaria” è conseguente con questa negazione. Attraverso leggi liberticide viene criminalizzata ogni forma di dissenso e le carceri accolgono 7.000 prigionieri politici (alcuni di loro anche minorenni) che come unica possibilità di uscire dal silenzio dell’ingiusta carcerazione hanno quella di essere disposti a lasciarsi morire in sciopero della fame. Emblematico il caso del segretario generale dell’FPLP Ahmad Saa’dat, illegalmente sequestrato, sei anni fa, assieme ai suoi compagni di prigionia, dall’esercito di occupazione israeliano. La volontà politico-militare dello Stato sionista di Israele è immodificabile perché risponde alle sue stesse ragioni di sopravvivenza: gendarme sub-imperialista nell’area Mediorientale, mercenario di supporto, a livello globale, delle necessità statunitensi. Ecco perché l’unico obiettivo storicamente (e concretamente) praticabile rimane nelle nostre convinzioni quello di: Palestina Unica e Socialista! (Obiettivo ugualmente ineludibile, del resto, sotto qualunque cielo).

 

Queste evidenze, però e lo sappiamo bene, hanno una scarsa condivisione tra le soggettività appartenenti alle classi subalterne anche se esse dovrebbero, oggi, assumerle per le proprie necessità d sopravvivenza. Le cosiddette lancette dell’orologio della Storia sono state riportate indietro, con ciò cancellando gli insostituibili riferimenti di classe. Mentre prima la legittimità delle lotte dei popoli che combattevano per la propria emancipazione nazionale o sociale erano assunte in maniera convinta, idealmente e materialmente, ora il nemico è riuscito a convincere che ha diritto a combattere solo chi è armato da lui: fuori da ciò si è o terroristi o ancora meglio narcoterroristi. Mentre prima la legittimità e la possibilità di una forma istituzionale che superasse il capitalismo permettendo l’estensione della utilizzazione reale della democrazia alle masse lavoratrici era assunta e dibattuta, ora il nemico è riuscito a convincere che lo sfruttamento e la competizione tra sfruttati sono le colonne di Ercole dell’unica democrazia possibile. Le due coppie di “mentre prima” e di “ora” sono oggi, nella fase di capitalismo finanziario globalizzato nella quale siamo, ancor più interdipendenti. L’analisi di questa interdipendenza va riportata ed aggiornata nella quotidianità delle classi subalterne, indipendentemente da tutto (assieme alla pratica di lotta politica). Si tratta, da subito, di sviluppare senza soluzione di continuità, dovunque sia possibile una “battaglia delle idee” che si sostanzi di multiple componenti: quella dell’informazione e della condivisione sulle/delle lotte dei popoli per la loro emancipazione nazionale e sociale (per respingere con forza l’equazione lotte sociali = terrorismo), quella del recupero della coscienza di classe, quella della ridefinizione e assunzione di un modello sociale opposto, a partire dal suo nucleo genetico, a quello ora dominante, immodificabile e mortalmente ostile alle masse popolari. E questa battaglia va combattuta “vincendo il grande con il piccolo ed il meglio equipaggiato con il meno equipaggiato”. Ecco perché i due momenti di specifica solidarietà individuati nella intestazione di questo appello, fatti propri da noi e da altre realtà politiche, li vediamo anche come necessari fattori sinergici ad un contesto di scontro ideologico aperto, sinteticamente sopra tratteggiato, che imprescindibilmente dobbiamo riprendere. Per materializzarlo nella sua dimensione priva di frontiere, perché il capitalismo finanziario globale le ha distrutte (assieme alle specifiche forme di democrazia borghese nazionale), inizieremo durante l’iniziativa sulla Naqba, un momento di scambio e di riflessione-dibattito con la partecipazione (via skype):

della compagna Leila Khaled, attualmente in Giordania; del portavoce dei “Veteranos de las ex-Fuerzas Armadas Rebeldes” del Petén-Guatemala; del Fronte di Azione Rivoluzionario della Argentina; del Movimento Rivoluzionario Orientale dell’Uruguay.

VI INVITIAMO A PARTECIPARE ED INTERVENIRE:

• il 17 aprile 2012 alle ore 19:00 in via S. Lorenzo 38 (saletta cobas), Pisa, alla iniziativa di solidarietà internazionalista per i prigionieri politici palestinesi. Interverrà il compagno Shokri Hroub dell’UDAP. Brevi informazioni sul ruolo del Mossad in alcuni paesi del continente Latino Americano (Argentina, Uruguay, Cile, Colombia, Guatemala) saranno letti durante l’incontro.

• il 15 maggio 2012 ora e luogo da definire, alla iniziativa di solidarietà internazionalista con il popolo palestinese nel giorno della Naqba con la partecipazione (via skype) di Leila Khaled, Far Guatemala, Far Argentina, Mro Uruguay. Interverrà un compagno della UDAP.

adesioni:

UDAP – Toscana

Collettivo 25 aprile

BRISOP

cCONFEDERAZIONE COBAS PISA

ALTRI DOCUMENTI DAL V ENCUENTRO

DECLARACION DEL V ENCUENTRO GUEVARISTA SOBRE PROCESO POLITICO URUGUAYO

A siete años de la experiencia progresista en el Uruguay, no se precisa recurrir a opiniones de la
izquierda revolucionaria o el sindicalismo clasista, para definir el modelo económico, sino apelar
a las opiniones de los propios progresistas. “El gobierno del FA no tuvo cambios mayores de la
política económica de los gobiernos anteriores.”

Un modelo capitalista dependiente, neoliberal y fondomonetarista. Un modelo basado en
la inversión extranjera que profundiza el capitalismo, la dependencia y la vulnerabilidad
ante presiones de cualquier naturaleza del capital financiero internacional. El actual modelo
basado en la exportación de productos primarios, hegemonía del capital financiero, creciente
endeudamiento externo, privatizaciones del patrimonio nacional y estatal, entrega de las tierras a
los monopolios sojeros, madereros y mineros, apertura comercial indiscriminada, zonas francas,
exoneraciones tributarias a la inversión extranjera, amnistías fiscales a los agro negocios.

Esta política económica tiene su contracara de una super-explotación de la clase trabajadora,
donde el 80% de los trabajadores no superan los 12 mil pesos de promedio, donde una
cuarta parte de la canasta familiar llega a los 45 mil pesos.El salario mínimo decretado por el
progresismo de 7.200 pesos (360 dólares) son los ingresos de 400 mil trabajadores.Las jubilaciones
de los trabajadores del ayer apenas promedian 9 mil pesos (450 dólares), y sobre una PEA de
1millón y medio de trabajadores, hay 100 mil desocupados, 400 mil trabajadores en negro. El
45% de los niños vive en hogares pobres, hay un núcleo duro de pobreza que llega a las 450 mil
personas y aumentaron los asentamientos precarios, 36 de cada 100 jóvenes no completan su
ciclo básico, 5.500 familias viven del clasificado de la basura, si bien algunos indicadores sociales
mejoraron, por el período de crecimiento sostenido, sin cambiar sustancialmente las condiciones
de explotación y miseria de las mayorías.

El progresismo no solamente ha entregado la soberanía y el patrimonio nacional, sino que se
ha alineado con el imperialismo, haciéndose cómplice en el intervencionismo de Haití y Congo.
Se ha callado ante el genocidio del pueblo palestino y las invasiones criminales imperialistasa los
pueblos de Irak, Afganistán, Libia, Somalía, etc.

En definitiva estos hechos económicos, sociales y políticos prueban, sin ninguna duda, que el
progresismo es funcional al imperialismo y la oligarquía y que, a través del pacto de unidad
nacional con los partidos políticos tradicionales de la burguesía, ha traicionado el programa
histórico y las necesidades mas urgentes de los explotados.

Ante esta situación, común a toda Latinoamérica, al pueblo uruguayo, al igual que a todos los
pueblos sometidos al imperialismo, se les plantea una única alternativa, la lucha por la liberación
nacional, indisolublemente ligada a la lucha por el socialismo.

SOLIDARIDA CON EL PUEBLO DE HATI

Hati fue el primer pueblo de America que logro su independencia del colonialismo Francés.

Hoy se encuentra ocupada por tropas del minustah, formada por Chile, Argentina, Brasil, Uruguay, Paraguay, etc, haciendo de sub-contratista del imperialismo norteamericano, el relevo de las tropas norteamericanas tras las catástrofes naturales que ocurrieron tiempo atrás consolido la ocupación  Haiti debate hoy en dia su existencia como nación, este pequeño territorio americano tiene bajo su suelo grandes reservas de petróleo y gas.

También empresas  multi-nacionales de primeras marcas mundiales( Nike, Adidas, Levis, etc) reduce a trabajo esclavo a la población a gran parte de la misma, pagando salarios miserables, la pobreza exptrema y la ambruna llevan al pueblo a alimentarse con un pan elaborado de tierra mesclada con margarina.

La intención de los gobiernos progresistas, enmarcados en el U.N.A.S.U.R, juegan un papel de gendarmes respecto a la O.T.A.N.

Los gobiernos progresistas de Latino-America festejan sus fechas patrias de independencias, cuando por otro lado envían tropas a OCUPAR nuestro pueblo hermano de Haiti

Exijimos el RETIRO inmediato de las tropas de minustah junto con las tropas Norte-Americanassomo solidarios de las luchas, hacia el camino de su LIBERACION como pueblo.

FURA DE HAITI TROPAS DE OCUPACION  DE LA O.T.A.N Y U.N.A.S.U.R

 

DECLARACIÓN SOBRE LA SITUACIÓN ARGENTINA.

 

 

 

Producto de una de la mas profunda crisis de nuestro país, situación que genero una de las mayores situaciones de desocupación y pobreza, que tuvo como pico máximo en la lucha del pueblo las heroicas jornadas del 19 y 20 de diciembre, tuvo como consecuencia el fin de un modelo que significo la salida de la convertibilidad y el paso a la devaluación.

 

En ese marco y producto del viento de cola de la situación económica internacional, se reactivo la economía con un crecimiento a un promedio del 7% anual, situación que implico la generación de empleo, el mejoramiento parcial de las condiciones de vida y una política de asistencialismo por medio de insuficientes planes sociales. Pero lo que no hubo fue redistribución de la riqueza ya que los distintos sectores de la burguesía imperialista obtuvieron ganancias extraordinarias como pocas veces en la historia.

 

Por otro lado, no se soluciono ninguno de los problemas estructurales. Es decir, el 40% de la clase trabajadora esta en negro, existe un alto porcentaje de desocupación, el 70% de los jubilados cobra un cuarto de la canasta básica familiar, existe un déficit habitacional de 3,5 millones de viviendas, se deterioro considerablemente la educación y salud pública, y casi un 25% de la población vive por debajo de la línea de pobreza. Por eso, a lo largo de estos 8 años, el pueblo trabajador dio innumerables luchas en los distintos sectores: por condiciones laborales y salario, educación, salud cultura, vivienda, dando sobradas muestras de que la rica historia de lucha por la dignidad de nuestro pueblo, sigue intacta.

 

En ese marco, el fin de las condiciones internacionales que dieron aire y posibilitaron el populismo kirchnerista, traen aparejada la caída de la máscara progresista del gobierno nacional. Desde su discurso de asunción, Cristina Fernández se posiciono abiertamente (más que antes), contra todo reclamo salarial y lucha que ponga en cuestión las cuantiosas ganancias capitalistas. El intento de imponer un techo salarial, las medidas ajuste y aumentos en los servicios públicos más elementales y los despidos que se acrecentarán con la profundización de la crisis, dejan claro, si es que todavía alguien no lo vio, cuales son los intereses que defiende el actual gobierno. La sintonía fina es ajuste, represión y deterioro en las condiciones de vida para el pueblo. La protesta contra el saqueo y la depredación de las multinacionales en gran parte de nuestro país y los reclamos salariales que vienen, desde antes de la reelección presidencial, dejaron en claro que nuestro pueblo no se dejará expoliar mansamente y que los triunfos electorales no son cheques en blanco para el ajuste. Y como el gobierno sabe muy bien de esta disposición de lucha, es que la tropa propia de legisladores, incluidos aquellos reformistas “que están a la izquierda del kirchnerismo”, sancionaron la Ley antiterrorista con el objetivo de generar las estructuras legales para intentar contener las luchas del pueblo trabajador por medio de la criminalización de la protesta.

 

Esta nueva etapa, que traerá una creciente resistencia popular, nos encuentra a los luchadores y militantes revolucionarios, con la rica experiencia de las luchas sociales que llevaron a la rebelión del 2001, pero con un importante grado de dispersión en los espacios reivindicativos y fundamentalmente sin un espacio político común de los grupos y organizaciones con intenciones revolucionarias.

 

Esa experiencia de lucha y las perspectivas de mayor sufrimiento para nuestro pueblo, si no superamos la actual dispersión, nos llaman a poner en la agenda política el problema de la unidad, amplia y flexible en la lucha reivindicativa y táctica, pero fundamentalmente a dar los pasos necesarios para la unidad estratégica, entre las organizaciones que abrevamos en el marxismo y sostenemos consecuentemente la independencia de clase.

Forjar espacios de coordinación, de unidad de acción e intervención política común son las tareas que nos impone la hora.

 

Ese es el llamamiento que hacemos desde la CGI y el V° encuentro guevarista y el compromiso que asumimos para continuar en la lucha por la unidad y la revolución socialista.