IL RUOLO DEI PROFUGHI PALESTINESI NELLA RESISTENZA. I CAMPI PROFUGHI COME FUCINA DELLA RESITENZA ANTIIMPERIALISTA AL SIONISMO

iNTERVISTA A LEILA KHALED EFFETTUATA DA UNA COMPAGNA DELLE BRISOP AD AMMAN NEL GENNAIO 2013. LEILA KHALED INTERVERRA’ VIA SKYPE ALL’INIZIATIVA DA NOI PROGRAMMATA PER IL 15 MAGGIO

IL RUOLO DEI PROFUGHI PALESTINESI NELLA RESISTENZA.

I CAMPI PROFUGHI COME FUCINA DELLA RESSITENZA ANTIIMPERIALISTA AL SIONISMO

Come dichiarato nella mia biografia (My people shall live, 1973), io
stessa sono una rifugiata palestinese. La mia famiglia viveva ad
Haifa. Fummo scacciati dalla nostra casa il 13 aprile 1948, quattro
giorni dopo il mio quarto compleanno. L’unica altra volta che ho
rivisto Haifa è quando con il compagno Salim Hissawi l’ho sorvolata
dopo aver espropriato un aereo imperialista.
Sono responsabile della questione profughi all’interno del comitato
centrale del FPLP.
Perché la questione dei rifugiati è così importante all’interno del
nostro movimento di liberazione nazionale?
I rifugiati palestinesi in tutti questi anni di lotta hanno avuto un
ruolo importante nella battaglia contro il progetto sionista. E’
naturale dato che i profughi sono lo snodo cruciale del conflitto. Il
loro ruolo è storico, politico, strategico. Una delle nostre
immodificabili rivendicazioni come PFLP è il diritto al ritorno dei
profughi nelle loro case. Perché questo avvenga è necessario lo
smantellamento del progetto sionista e della visione colonialista
occidentale. Come aveva dichiarato George Habash in una intervista: “I
profughi sono il ponte che unisce gli obiettivi tattici e strategici
del nostro movimento di liberazione nazionale, qualsiasi accordo che
non preveda il loro diritto al ritorno è destinato al fallimento”.
Quando parliamo di profughi palestinesi stiamo parlando di cinque
milioni di persone che vivono nei campi nel territorio palestinese o
dispersi all’estero nelle aree dove trovarono rifugio a partire dal
1948. Per sopperire alle necessità di una situazione che si reputava
transitoria, fu creata da parte delle Nazioni Unite una agenzia
apposita per i profughi palestinesi, l’UNRWA. I palestinesi andarono
via dalle loro case portandosi dietro le chiavi…
Presto le condizioni di vita inumane, all’interno dei campi , il
concretizzarsi quotidiano del progetto di sterminio sionista
costituirono l’humus per intere generazioni di guerriglieri. La lotta
assunse diverse forme fino dagli anni cinquanta e si strutturò in
lotta armata a partire dalla contemporanea rivoluzione palestinese nel
1965.
I campi riflettono il crimine commesso dal sionismo e
dall’imperialismo contro il popolo palestinese: quando nel 1948 la
nostra terra fu occupata, noi fummo scacciati con la forza ma rimasero
i testimoni. Lo scopo ultimo del sionismo è di cancellare qualsiasi
forma di memoria di lotta.  I campi profughi sono stati e sono al
centro degli attacchi dei sionisti perché sono la memoria vivente
della Nakba. Ben Gurion, uno dei leader sionisti disse, già nel 1948 a
proposito dei continui massacri e dell’occupazione della Palestina che
non ci sarebbe stato nessun problema con gli arabi perché: “I vecchi
moriranno e i giovani dimenticheranno”. Ma i campi profughi continuano
ad essere la fonte della resistenza, dopo quattro generazioni di
profughi e dopo numerosi tentativi, da parte dell’imperialismo di
porre fine alle rivendicazioni con piani per “risistemare” la
questione.
Dopo la conferenza di Madrid e gli accordi di Oslo è risultato chiaro
per i profughi che c’erano piani per bypassare il diritto al ritorno
sostituendolo con ridispiegamento sul territorio delle nazioni arabe
ed eventuale compensazione, per evitare l’implementazione della
risoluzione 194 delle Nazioni Unite. L’unico modo per affrontare e
sconfiggere anche queste tendenze è rafforzare la resistenza
palestinese, la lotta popolare e l’organizzazione dei profughi ovunque
essi siano, nella Palestina occupata nel 1948, nel 1967 o dispersi
all’estero.
I campi sono stati sistematicamente attaccati, direttamente dai
sionisti o dai governi reazionari arabi (l’esercito libanese ci
affrontò già nel 1973 quando la resistenza palestinese era all’apice):
ricordiamo in Libano il massacro di Sabra e Chatila, l’assedio di
Tel-al Zaatar, la distruzione di Nabatiyeh, in Palestina il massacro
al campo di Jenin nel 2002 e gli attacchi ai campi profughi nella
striscia di Gaza.
Esistono tuttavia condizioni di vita differenti nei campi profughi
all’estero. Come già detto, in Libano la situazione dei profughi
palestinesi è drammatica, gli standard di vita sono inaccettabili e da
parte del governo libanese, fino a pochi mesi fa c’era la proibizione
di effettuare più di settanta tipi di lavoro o di possedere proprietà,
il governo siriano ha invece permesso standard molto più dignitosi e
si è sempre battuto per il diritto al ritorno, rifiutandosi di
integrare i profughi palestinesi come cittadini siriani. Noi siamo
d’accordo con questa politica, l’integrazione come cittadini delle
stato in cui si trovano i profughi è la pietra tombale della
rivendicazione del diritto al ritorno. La Giordania persegue questo
obiettivo, con il beneplacito dell’Occidente e se ne sta parlando
anche in alcuni stati europei come la Germania. Noi come già detto
siamo contrari, lo status di rifugiato si trasmette e deve
trasmettersi di padre in figlio, come la memoria della lotta.
L’anno scorso il giorno della Nakba centinaia di giovani palestinesi
hanno marciato dai loro campi profughi all’estero fino alle frontiere
con lo stato sionista e decine di loro hanno pagato con la vita ma
questo sacrificio è la memoria vivente che il progetto sionista,
seppure sostenuto amplificato dalle potenze imperialiste occidentali e
lungi dall’essere vincente.
Ribadiamo che la nostra lotta non è una mera lotta di liberazione
nazionale ma una lotta senza quartiere contro i piani del colonialismo
imperialista nella nostra area, di cui il sionismo rappresenta
la faccia più atroce. In questo contesto si possono inserire la
guerra all”Iraq e il tentativo in atto di destabilizzare la Siria,
avendo come obiettivo ultimo la riduzione del Libano a colonia
sionista e l’attacco all’Iran. Ma la resistenza di un popolo non si
può cancellare, anche i sionisti possono perdere come ha dimostrato il
Libano nel 2006.
In questo contesto è molto importante la solidarietà di classe
internazionale, dobbiamo opporre un fronte di resistenza comune
all’imperialismo è importante riscrivere la nostra storia senza farla
raccontare al nemico.
Per questo la problematica della memoria della lotta di classe è
fondamentale per noi e il giorno della Nakba assume una estrema
rilevanza