E’ finita l’epoca delle ONG Lucca 5 e 6 novembre – Gli interventi

 O.N.G. IN PALESTINA: TRA “PACE E GUERRA”

Intervento di: una compagna dello Spazio Antagonista “Newroz” di Pisa

Nel quadro regionale del Medio Oriente arabo, la società palestinese si è sempre distinta storicamente per la vitalità della rete associativa che costituiva una base di resistenza all’occupazione insieme a forme tradizionali di organizzazione come la famiglia, la moschea, la chiesa o la comunità di villaggio. Questa rete dava risposta prima di tutto ai bisogni materiali della popolazione soprattutto nel campo della salute e della scuola. Era contemporaneamente un fattore di mobilitazione sociale e politica, che contribuiva a preservare l’identità nazionale dei territori occupati. Molte associazioni erano legate alle fazioni politiche dell’Olp, che tentava di assumere il controllo dei sindacati, delle organizzazioni femminili o di quelle studentesche. Quando, dopo la repressione israeliana della primavera del 1982, i Palestinesi hanno visto allontanarsi la prospettiva di un’ imminente nascita dello Stato, l’azione si è spostata dal terreno strettamente politico verso quello dell’impegno sociale. È a questo punto che sono nati i comitati popolari di lavoro volontario, che hanno cambiato la natura stessa del militantismo nazionalista e ne hanno allargato la base, impegnandosi nella gestione delle città, nell’assistenza medica o giuridica ai più poveri, nella creazione di cooperative domestiche o di centri di pianificazione familiare. La rete di comitati popolari ha costituito in realtà contemporaneamente, un serbatoio di reclutamento per le fazioni politiche, e lo strumento di una mobilitazione sociale di massa che ha trionfato poi con l’Intifada. Queste strutture organizzative hanno costituito il quadro di riferimento della rivolta nel 1988-1989, imponendo strategie inedite di lotta e forme alternative di sviluppo socio-economico. All’interno di questa strutturazione, le donne palestinesi hanno avuto un ruolo fondamentale: sono state, per esempio le promotrici della campagna di boicottaggio del 1987 contro i prodotti israeliani nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che tanta eco ha avuto tra i compagni europei. L’iniziativa sembrava presentare enormi difficoltà a causa della mancanza di industria palestinese locale; per convincere le famiglie palestinesi a boicottare i prodotti israeliani, era necessario fornire loro fonti alternative di reddito e di prodotti. Così le donne palestinesi hanno cominciato a creare delle industrie per la produzione di formaggio, di marmellata, per la cottura del pane e hanno istituito dei giardini comunitari: in tal modo potevano non soltanto incoraggiare l’iniziativa di boicottaggio, ma anche sviluppare l’infrastruttura-base per un’economia palestinese. Gli “accordi di Oslo” firmati nel 1993 hanno formalmente posto fine alla prima Intifada , e hanno avuto lo scopo di essere un potente agente di pacificazione/controllo del conflitto. All’indomani della firma tutti gli aiuti internazionali si sono riorientati massicciamente verso i servizi dell’Autorità nazionale. In un contesto di uno “Stato” formatosi all’interno di un sistema capitalistico, una ventità senza confini, senza continuità territoriale, priva di economia ed infrastrutture, con tassi di disoccupazione altissimi, impegnata solo nello sviluppo degli apparati repressivi per soddisfare il delirio securitario di Israele, si è assistito al dilagare delle ONG. Secondo uno studio della metà del 1996, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza operano circa 1000 ONG. Sul piano dei finanziamenti, una ricerca condotta nel 1997 su un significativo campione di ONG ha mostrato che il 31% di queste dipendeva totalmente o quasi da finanziamenti stranieri, il 16% dichiarava che gli aiuti stranieri erano una componente fondamentale del loro bilancio, il 18% affermava di dipendere da finanziamenti locali, il 5% da finanziamenti governativi, il 27% da investimenti privati e il 3% dai contributi dei loro membri. Ovviamente tutti gli aiuti sono subordinati all’ accettazione di alcuni diktat: tutte le ONG che accettano finanziamenti stranieri (U.S.A., U.E. e Giappone i partner principali) devono firmare una “certificazione riguardante il finanziamento del terrorismo”, in cui si impegnano a “non fornire sostegno materiale né risorse a qualunque individuo o ente che sostenga, pianifichi, sponsorizzi, o sia stato coinvolto in attività terroristiche”. Il testo si basa sull’Executive Order 13224, che elenca i gruppi che gli Stati Uniti giudicano “legati per certo al terrorismo”, con i quali chiede a chi usufruisce dei finanziamenti di non collaborare. Sono esclusi dalla certificazione le medicine e gli oggetti di culto. Nell’elenco c’è Hamas, Jihad islamica palestinese, le Brigate dei martiri di al Aqsa, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il Fronte democratico per la liberazione della Palestinese: tutte le organizzazioni della resistenza palestinese. Ciò ha determinato e determina una depoliticizzazione ed una professionalizzazione delle forma della politica: centinaia di persone sono state impiegate per lo più nello «sviluppo delle risorse umane». Anche le attività delle ONG sono state strettamente vincolate a richieste esterne: non è possibile fare cenno, nello statuto di una ONG, a questioni legate alla lotta di liberazione nazionale, ma ci si può concentrare solo su situazione specifiche. Si assiste anche ad odiose operazioni di colonialismo culturale, come l’imposizione di laboratori sulla democrazia, sulla creazione di leadership politica etc. (il tutto ovviamente con lessico specifico inglese, per cui i laboratori sono “workshop”, la parola chiave è “empowerment”…) senza affrontare i problemi legati alla struttura familistica e patriarcale della società palestinese accentuata ovviamente da cinquantasette anni di occupazione militare. Ovviamente esiste tuttora una rete di strutture che continuano a lavorare al di fuori di questa logica privilegiando i criteri dell’autorganizzazione e dell’autogestione, e avendo come paradigma teorico l’anticapitalismo, che noi, come coordinamento di solidarietà con l’Intifada, sosteniamo. Si parla in particolare dell’Unione del comitati delle donne palestinesi (UPWC, fondato nel 1982) e dell’Unione dei comitati dei lavoratori della salute (UHWC, fondato durante la prima Intifada e attivo nella striscia di Gaza) che non hanno smantellato il portato politico della prima Intifada, che rifuggono le donazioni vincolate, che si basano su rapporti paritari con le strutture di compagni dell’estero, che portano avanti una resistenza quotidiana permettendo agli asili nido e alle scuole per l’infanzia (non garantiti dall’Autorità Nazionale), agli ospedali dei campi profughi di funzionare per tutti e tutte, fornendo prestazioni gratuite o comunque modulate rispetto al reddito, veicolando dei contenuti educativi non autoritari. Sono questi i progetti che ci siamo impegnati e impegnate a sostenere,certi e certe che sono articolazioni importantissime di una resistenza popolare che si è tentato di pacificare con ogni mezzo.

COS’E’ L’UNIONE DEI COMITATI DELLE DONNE PALESTINESI UPWC

I- Organizzazione interna:

l’ UPWC lavora attivamente per costruire una società palestinese progressista e democratica che combatta qualsiasi tipo di discriminazione e sia in grado di garantire per le donne una reale parità e una reale uguaglianza in tutti i settori della società.

I.1- Chi siamo:

L’UPWC è un’ organizzazione sociale e progressista di donne ed una delle forze più attive all’interno del movimento delle donne palestinesi. L’UPWC segue gli stessi principi democratici dell’ Unione Generale delle Donne Palestinesi (GUPW) attiva a livello nazionale, considera la costituzione nazionale del OLP come riferimento politico e si riconosce inoltre nel programma del Consiglio Nazionale adottato dall’OLP per essere la linea politica rappresentativa del popolo palestinese in tutto il mondo (compresi i profughi).

I.2 – Chi ne fa parte

Ogni donna palestinese può diventare membra dell’unione appena compiuti 16 anni se d’accordo con la visione, i programmi e le regole interne dell’UPWC, che sono basate su principi democratici.

I.3 – Obiettivi strategici

Uguaglianza di genere sia nei diritti che nei doveri che implica un grosso sforzo per cambiare la visione tradizionale della donna e ottenere gli stessi diritti per uomini e donne nel rispetto della legge e dei costumi sociali. Mobilitare le donne nel processo di liberazione nazionale nella prospettiva di uno stato palesitnese indipendente e democratico. Sostenere e sviluppare la lotta delle donne per una piena cittadinanza. Mobilitare le donne alla partecipazione democratica nei processi di decisione nazionali. Costituzione di un coordinamento tra le diverse organizzazioni femminili per la costruzione di un movimento unito delle donne palestinesi.

I.4 – Obiettivi a medio termine

Prendere parte alle attività nazionali e supportare le donne rifugiate ed i prigionieri politici per dare loro diritti e libertà politico sociali. Provvedere ai bisogni primari delle donne e al loro benessere sociale per rafforzarle. Incrementare il livello di partecipazione femminile nel processo produttivo. Aiutare le donne ad avere accesso alle risorse della società e a manterne il controllo. Cambiare la classica icona della donna costruita dai media. Collaborare con altre realtà per abolire ciò che legalmente apre la porta alla discriminazione contro le donne, creando inoltre apposite campagne per il miglioramento delle condizioni individuali e sociali sia per la società in generale che per la donna in particolare. Campagne incentrate sui diritti della donna e altre problematiche relative alla loro situazione all’interno della società. Lottare perchè la donna conquisti la sua vitale partecipazione nella vita politica. Creare un coordinamento di integrazione femminile a livello locale, arabo ed internazionale. Rafforzare la capacità istituzionale per attivare la partecipazione popolare su basi nazionali, democratiche e pogressiste.

II – Gerarchia e direttivi decisionali.

II.1 – Consiglio Generale

E’ il più alto direttivo decisionale dell’UPWC include rappresentanti elette in diverse aree geografiche ed altre figure professionali. Le elezioni avvengono periodicamente (ogni due anni) e le decisioni vengono prese da una maggioranza assoluta.

II.2 – Ufficio esecutivo

E’ il più alto referente esecutivo dell’unione per tutto il periodo compreso tra una conferenza e l’altra. Decide con l’Unione attività giornaliere e pratiche, le sue membre rappresentano l’UPWC in tutti gli incontri femministi e nazionali e sono elette direttamente dal consiglio generale sulla base di un voto segreto, le sue priorità sono decise in accordo con i bisogni dell’Unione nelle diverse aree geografiche per finanziare progetti come asili e attività nel campo pedagogico e sociale e dell’iso dei media

II.3 – Comitati locali

Eletti da membre di ogni regione sia su referenze professionali che geografiche comprende i più alti referenti esecutivi dell’area per gli obiettivi dell’UPWC, si riunisce periodicamente, di norma una volta al mese.

II.4 – Comitati di zona

E’ un comitato di 10 o più membre che pratica un’attivita collettiva sia nei villaggi che nei campi profughi. formano il corpo amministrativo dell’area. Si incontrano periodicamente e basano il loro programma sulla politica generale, i principi e le visioni dell’unione prendendo in considerazione le priorità derivate dai punti sopra menzionati.

III – Attività

III.1- Profughe e prigioniere politiche

Occuparsi dell’attivita nazionale e supportare le donne porfughe e prigioniere politiche per garantire i loro diritti politico sociali. Fare pressioni sugli organi responsabili di seguire la questione dei profughi (UNRWA) allo stesso tempo lavorare per estendere la definizione di profugo estendendo così gli inalienabili diritti collegati. Restituire alle donne profughe i diritti negati. Attività come conferenze stampa, supporti legali per il rilascio delle progioniere politiche dalle carceri d’occupazione. Supportare le prigioniere politiche nella loro battaglie contro l’amministrazione delle carceri, che nega loro i più elemntari diritti umani e creare forze che provvedano ai loro bisogni primari. Riabilitare le pirigioniere rilasciate per il loro rinserimento nella società ed aiutarle ad essere reinserite nel processo produttivo e nella vita sociale (considerando che le prigioniere politiche possono essere respinte dalla famiglia e dalla società, specialmente le più giovani).

III.2 – Servizi sociali di base per le donne

Costruire asili ed infermerie per bambini per ridurre il lavoro domestico e di cura dei figli tradizionalmente assegnato alla donna, dandole l’oppurtunità di lavorare riuscendo ad avere soddisfazioni esterne all’ambiernte familiare con riflessi positivi per il loro status dentro la famiglia. Dare supporti materiali e finanziari alle famiglie bisognose attraverso un programma di aiuto per bambini e famiglie possibile con un supporto generale di gruppi internazionali ed individui. Fare pressioni sulle istituzioni dei servizi sociali (ministero degli affari sociali e della salute) per incrementare il sostegno dato alle donne e alle famiglie povere specie considerando la prolungata economia di guerra. Incoraggiare e supportare le iniziative che organizzino le giovani donne per combattere l’arretratezza. E’ prioritario il protagonismo delle giovani donne. coordinamenti con gli organi di prevenzione sanitaria per migliorare la condizione sanitaria di donne e bambini, con l’attivazione di corsi informativi sulla gravidanza, il pronto soccorso, la nutrizione e gli infortuni e dare la possibilità di fare visite gratuite nei centri di salute.

III.3 – Media

Dare all’UPWC un ruolo mediatico per cambiare l’icona classica della donna nella società. Attivare ricerche sociali sulla sofferenza delle donne palestinesi dovuta alla vita sotto l’occupazione e la colonizzazione israeliana. Creare un sito internet dell’UPWC.

III.4 – Pari opportunità

Innalzare il livello partecipativo delle donne nel processo produttivo. Fare pressione sugli organi ed i gruppi concernenti per le pari opportunità delle donne sul lavoro, sia a livello privato che governativo. Coordinarsi con gli organi preposti a provvedere ai bisogni dei contadini e creare fondi monetari. Creare centri di formazione professionale sulla base delle attitudini individuali per l’inserimento lavorativo.

III.5- Partecipazione politica delle donne

Contribuire con le organizzazioni sociali e delle donne a migliorare e/ o creare le leggi che aboliscano la discriminazione contro le donne specialmente nel diritto familiare. Migliorare la legge sulle ore lavorative connessa ai diritti di genere e alla maternità Creare dibattiti nelle aree rurali sul rapporto fra le donne ed i diritti di partecipazione politica Sostenere il lavoro delle donne per ottenere i loro diritti nonostante la crisi occupazionale. Frare pressioni sugli organi ufficiali per assicurare la partecipazione delle donne a livello nazionale attraverso Consigli locali e Organi rappresentativi. Preparare le donne a ricoprire le cariche nei suddetti organi. Fare pressioni per eliminare gli ostacoli che impediscono la partecipoazione delle donne ai livelli piu’ alti. Rafforzare il coordinamento con altre organizzazioni di donne per adottare una visione comune e per lavorare insieme. Confrontarsi con le autorità Israeliane d’occupazione, colonie e polizia. Coordinarsi e lavorare con i movimenti di donne dei paesi arabi ed i movimenti di donne nel mondo.

6- Capacità di mobilitazione del UPWC

Attivare relazioni e integrare le diverse componenti del UPWC stessa e rafforzare le relazioni fra queste componenti interne e i movimenti delle donne dal basso. Sviluppare le attività amministrative e finanziarie seguite dall’ UPWC. Prendere parte all’Intifada attraverso azioni che si concentrano sui settori considerati strategici dall’ UPWC ( luoghi, servizi necessari, e il loro impatto sulla vita delle donne ). Rinforzare la democraticità nei processi decisionali. Rinforzare il concetto di lavoro sociale nelle realtà dell’UPWC.