Intervista a Rubelia della zona umanitaria CIVIPAZ – Meta, Colombia

Intervista a Rubelia integrante della comunità in resistenza civile CIVIPAZ del dipartimento del Meta, appoggiata dalla Commissione interecclesiale Justicia y Paz – realizzata in agosto 2007 durante la permanenza delle Brigaste di solidarietà e per la pace nelle zone Umanitarie del Meta e del Chocò

 La mia vita, come traiettoria personale, è stata un tragedia tutta la vita. Ho subito, con la mia famiglia, il primo despalazamiento all’età di 5 anni.La mia famiglia era originaria della regione del Huila ed era una famiglia Liberale.Mio padre non volle cedere alle minacce dei Conservatori, forti negli "anni della violenza", ed essi non solo cercarono di ucciderlo ma avrebbero ucciso tutta la famiglia come erano soliti operare. Un giorno mio padre venne avvisato da un conoscente di ciò che si stava preparando contro di noi; erano le 21.00 della sera e dopo poche ore, alle 5.00 di mattina, partimmo, abbandonando la casa e tutto. Portammo con noi solo due cavalli, pochi vestiti e il mangiare necessario ad affrontare i due giorni di viaggio che ci aspettavano. Lasciammo così il Huila attraversando la cordigliera andina e superando di nascosto un posto di blocco dove molta gente era stata uccisa nel tentativo di lasciare la regione. Io avevo 5 anni e questo era il mio primo desplazamiento. Arrivammo così nella regione del Guayabero, nei pressi del Rio Guayabero. Li cambiammo più volte destinazione fino a raggiungere San Juan de Arama. Mio padre non aveva studiato ma aveva imparato alcune nozioni mediche; sapeva fare iniezioni, preparava semplici medicinali naturali, ecc… non era medico ma era visto come tale. Per i conservatori e per i paramilitari al loro servizio, che allora si  chiamavano Chulavita,  mio padre era un medico della guerriglia. Per il solo fatto di aiutare la gente mio padre era ricercato per essere ucciso. Dovemmo, per questo, scappare ancora lasciando la finca che avevamo abitato in San Juan. Venimmo allora in questa regione che allora era totalmente disabitata, dominata dal bosco, popolata da animali selvatici; sto parlando del 1954, 53 anni fa, quando siamo arrivati. Le uniche "fincas" (fattorie) che esistevano erano a Medellin del Ari-Ari ed una piccola finca ancora esistente poco prima di Puerto Esperanza. Queste erano le uniche famiglie presenti nella zona arrivate, come noi ma prima di noi, come desplazados da altre regioni. Qui non esisteva niente, nient’altro, nemmeno i nomi delle "veredas" (località geografiche) che oggi conosciamo. Non c’era un paese nelle vicinanze, non c’era dove comprare una libra di sale, non circolava denaro come non c’era lavoro se non quello agricolo per la sussistenza familiare. Per comprare una libra di sale era necessario andare a San Martin a piedi attraversando tutta questa area di selva fino alle prime fincas di Medellin del Ari-Ari, poi attraversare a nuoto il rio Ari-Ari e quando le piogge lo rendevano inattraversabile fermarsi perchè non c’erano ponti. "Aggirare" il fiume cercando di viaggiare con la linea di bus significava impiegare una settimana per via delle strade malmesse e della scarsa frequenza dei bus; inoltre occorreva pagarlo e nessuno qui aveva soldi. Tutto ciò che non si produceva direttamente nel campo come il sale, lo zucchero e altri generi di prima necessità era molto difficile da conseguire. In questa regione ci installammo con mio padre. Costruimmo la finca che tutt’oggi possiedo e li crescemmo. La casa ed i campi li costruì mio padre con i miei fratelli maggiori e l’aiuto dei vicini. In quel periodo, qui, si lavorava "a mano vuelta" nel senso che una famiglia aiutava un’altra e viceversa; noi vi aiutiamo a costruire la casa e voi a raccogliere il maiz ecc… così si lavorava e si sopravviveva insieme. Così nacquero le fincas di questa regione costruite da famiglie di desplazados provenienti da altre regioni che qui, in una zona sana e quasi incontaminata, ricostruirono ciò che avevano dovuto lasciare con la forza e la violenza. Molti venivano dal Tolima, dal Cauca, dove c’era stata una repressione fortissima. Questa gente deplazada arrivava a Bogotà e li, amici, familiari compagni del sindacato o di altre organizzazione gli suggerivano di venire nell’Alto Ari-Ari, una regione libera, sana, fertile. La gente, così, comincio ad arrivare in massa. Per evitare  problemi di divisione della terra e iniquità nella ripartizione si formò un sindacato, il Frente Democratico, che si incaricò di accogliere i desplazados in arrivo e di assegnargli le terre. Così organizati si assegnò la terra ai desplazados e la regione si popolò rapidamente. In questa regione si viveva bene, in pace, senza problemi di guerra, tutti conoscevano tutti e si aiutavano. Qui molta gente continuava a rischiare la repressione ed a subire la persecuzione dei conservatori, per questa ragione eravamo sempre attenti alla gente che arrivava; chi era, da dove veniva, per quale ragione, ecc…c’era una vigilanza molto forte da parte degli abitanti che serviva ad evitare ulteriori assassinii e persecuzioni.  Io sono cresciuta in questa zona, nella finca di mio padre, e come avevamo dovuto scappare per lungo tempo e poi vivere così non ho potuto studiare. Qui non c’erano scuole, tutti venivamo da fuori, tutti eravamo desplazados. Il mio studio era la cucina, cucinare era compito mio mentre mia madre lavorava nel campo con mio padre, lavare, ecc…Da grande mi sono sposata. Ho cresciuto sei figli miei e tre che già erano di mio marito. Mio marito se ne andò quando la figlia più piccola aveva nove anni ed il maggiore quindici. Mi lasciò con tutta la famiglia. In questo periodo, sola, mi trasferii in paese, a Villavicencio, affinchè i miei figli potessero studiare visto che nella zona non c’erano scuole medie e superiori ma solo elementari. In questi anni uno dei miei figli si era sposato ed un giorno doveva accompagnare la moglie dal medico. Mio figlio aveva dovuto vendere la propria automobile e, per il viaggio, si fece prestare l’auto da un amico. In questo periodo era già presente un gruppo paramilitare nella regione, si trovava a  Pueblo Sanchez nel municipio di El Dorado, i paramilitari intimidivano e consegnavano all’esercito per essere uccisa la nostra gente per il solo fatto di essere di questa regione con l’accusa di essere della guerriglia. Per questo dissi a mio figlio di non andare dal medico, per la paura che, dovendo passare solo per Pueblo Sanchez, potesse accadere qualcosa. Mio figlio decise lo stesso di viaggiare e, nel viaggio di andata, solo, fu fatto desaparecer con tutta l’automobile .Dopo il suo assassinio cominciò la repressione contro di me e tutta la mia famiglia quando già mio marito mi aveva lasciata per un’ altra donna. Dopo aver ucciso mio figlio i paramilitari e l’esercito dicevano di dover liquidare tutta la famiglia che avrebbe potuto denunciare l’avvenuto, chiedere giustizia, fare da testimoni, ecc… . Rendendomi conto della situazione tornai dopo otto giorni alla mia finca che in questo periodo mi serviva per sostenere la famiglia a Villavicencio. Nel viaggio tentarono di uccidermi. Un uomo mi segui nel bus con l’intenzione di farmi scendere e poi uccidermi senonchè i soldati dello stesso esercito, nel vederlo sospetto dietro di me, lo arrestarono credendolo un guerrigliero che io stavo guidando nella regione. Dopo quest’episodio mi trasferii con tutti i figli a Bogotà perchè a Villavicencio eravamo ricercati ed in pericolo costante. Andammo a Bogotà dove vivemmo per quattro anni in continua tensione con il denaro ricavato dalla vendita dei capi d’allevamento. Nella regione i paramilitari continuavano ad uccidere gente in particolare persone con il mio stesso cognome, Vargas. Chiedevano i documenti e se il cognome coincideva ti facevano scendere dal bus e poi ti uccidevano.Questo fu praticamente il mio secondo desplazamiento durante il quale la finca rimase abbandonata senza che noi potessimo tornare una sola volta. Il pericolo di tornare era troppo grande e per quale delitto ? per essere la madre di un giovane assassinato. Mio figlio lo assassinarono nel 1987, fu un periodo molto duro perchè agli operativi di paramilitari ed esercito la guerriglia rispondeva con le armi cercando di difendere la gente, ci furono diversi scontri armati e la regione venne militarizzata. La gente di qui era considerata tutta collaboratrice della guerriglia e non la lasciavano neanche uscire dal territorio per fuggire, chi usciva da Lejania la fermavano, chi dal Castillo lo stesso, il viaggio era un suicidio, per mesi vivemmo chiusi nella regione senza poter decidere se restare o andarcene.Il nostro delitto era quello di essere abitanti di questa regione, dell’Alto Ari-Ari, abitanti di una zona definita rossa dal governo in cui c’era un forte radicamento delle organizzazioni della sinistra; sindacato, partito comunista, organizzazioni di donne, di giovani, e soprattutto la Union Patriotica i cui militanti sono stati perseguiti e uccisi in tutto il paese. Questo era il nostro delitto; non rispettavano bambini, donne, nessuno, bastava comprare e portare un paio di stivali per essere uccisi come guerriglieri. In questo periodo di orrenda repressione avvenne questo mio secondo desplazamiento verso Bogotà dove i miei figli proseguirono gli studi e poterono sopravvivere. Solo uno dei miei figli è stato assassinato. Dopo quattro anni di "esilio" a Bogotà decisi di tornare alla finca. La situazione si era calmata, almeno nei nostri confronti,  paramilitari ed esercito continuavano la loro repressione ma per noi la cosa sembrava calmata. Tornammo quindi alla nostra finca ed al lavoro. La "pace" durò qualche anno fino a che esercito e paramilitari tornarono di nuovo. Tornarono con l’obiettivo  dichiarato di distruggere la guerriglia ma uccisero civili, contadini, giovani, anziani che niente avevano a che fare con la guerriglia. Tentarono un’ altra volta di uccidermi, un’altro attentato sulla strada per la finca.Stavo viaggiando sul bus con un mio genero, allora nelle forze armate, un gruppo di paramilitari mi chiese i documenti e mi fece scendere cominciando a fare delle domande, sostenevano che fossi una staffetta della guerriglia. Io risposi che mio genero era della Forze Aerea e che io vivevo in casa con lui, al dirgli questo abbassarono le armi e cominciarono a investigare finchè non ci lasciarono andare entrambi. La situazione, che ci era sembrata calmata, non lo era. Continuavano a cercarmi e fui costretta ad andarmene ancora. Un terzo desplazamiento che mi riportò a Bogotà. La situazione era ancora grave con me e con tutta la gente della regione. L’ultimo desplazamiento che ho subito nella mia vita è stato quello del 2002, da cui poi è nato il processo che ci ha portato a costituire Civipaz. Nel 2002 il desplazamiento è stato ancora diverso dai precedenti; paramilitari ed esercito hanno realizzato i loro operativi con il solito obiettivo di distruggere la guerrigliama in un periodo in cui, qui, la guerriglia non c’era. Loro sapevano che la guerriglia non c’era tant’è vero che realizzarono i loro accampamenti all’interno della stessa regione. La guerriglia si era già spostata nella Serrania de La Macarena. I gruppi paramilitari rubarono tutto il bestiame della regione, oltre 5000 capi, si presentavano ad una finca ed obbligavano gli stessi proprietari a consegnare le vacche, a caricarle sui loro camion. Avanti andavano i paramilitari e qualche centinaio di metri indietro seguiva l’esercito come a "guardare le spalle", i primi rubavano il bestiame ed i secondi sorvegliavano il furto. La relazione tra Esercito e Paramilitari era di Coordinamento e Complicità. Si presentavano alle case ad intimidire la gente con l’accusa di essere collaboratori della guerriglia.C’è stato anche il caso di un giovane, lavoratore in una finca, che per non essere ucciso sotto tortura dai paramilitari si è dichiarato guerrigliero ed è stato consegnato all’esercito, condannato  e incarcerato. I Paramilitari avanzavano di finca in finca e di vereda in vereda rubando, uccidendo, torturando. Arrivavano in una finca e si fermavano 1 o 2 giorni fino a che non terminavano le scorte di cibo o avevano rubato tutto poi ripartivano e toccava ad un’altra. Restammo finchè fu possibile spostandoci di casa e di vereda per essere più sicuri. Non potemmo andarcene tutti insieme perchè non ci lasciavano passare. Non ci permisero di lasciare le terre in gruppo portando via i nostri animali e le nostre cose, volevano che tutto restasse li per rubarlo. Fummo costretti ad andarcene famiglia per famiglia senza niente, con i soli vestiti nello zaino, per strade differenti, simulando un viaggio dal medico (per esempio) dal quale saremmo tornati veramente solo dopo anni.Fummo costretti ad andarcene per non fare tutti la stessa fine: uccisi e poi vestiti da militari per essere fatti passare come guerriglieri.Nella regione furono desplazadas 18 veredas. Non c’era più nessuno. I pochissimi che non se ne andarono erano costretti a spostarsi continuamente per non farsi trovare. Erano per lo più anziani che non volevano andare in città o gente poverissima che non aveva parenti nè amici a cui rivolgersi, preferirono accettare il rischio. I Paramilitari hanno ucciso anche un vecchio di 80 anni che voleva andarsene; per loro anche lui era un guerrigliero.Tra gli ultimi ad andarsene c’era anche Lucero Henao, presidentessa della Giunta Comunale di Puerto Esperanza. Lei era da tempo impegnata per il rispetto dei diritti umani e da tempo subiva le minacce dei paramilitari. Non la lasciavano neanche uscire dal caseggiato sostenendo che si sarebbe incontrata con la guerriglia. Nonostante le minacce Lucero continuò con il suo impegno e quando veniva ucciso qualcuno lei andava, con altri abitanti, padri di famiglia,  a recuperare i corpi per seppellirli. Il suo impegno le costò la vita, Lucero è stata uccisa con suo figlio.  Per quattro anni non siamo potuti tornare nella regione e nelle nostre fincas. Molte famiglie della zona si concentrarono in Villavicencio compresa la famiglia di Reinaldo Perdomo. Reinaldo lavorava per il rispetto dei diritti umani già da tempo e quando venimmo desplazados cominciò a muoversi. Si incontrò con altra gente in Bogotà e conobbe la Comissione Interecclesiale di Justicia y Paz, con questa andò in Cacarica, nella regione del Chocò, per conoscere l’esperienza delle comunità in resistenza costituite da desplazados che avevano recuperato le proprie terre. Sulla base di queste esperienze, che avevano fatto intravedere una possibilità di ritorno, Reinaldo cominciò ad organizzare i desplazados della regione, cominciò a sviluppare l’idea di formare un’organizzazione per il ritorno collettivo alle nostre terre con la costituzione di una Zona Umanitaria  come quelle già esistenti in Cacarica. Tutti sapevamo che tornare da soli, famiglia per famiglia, avrebbe significato morire. La regione era ancora dominata dal paramilitarismo e dall’esercito che controllavano il territorio e le vie di comunicazione.Un’organizzazione era necessaria per proteggere la vita e così la costituimmo. Reinaldo Perdomo è stato praticamente il fondatore di questa esperienza, colui che ha spinto per organizzarci ed a resistere alla paura. Il processo cominciò con poca gente, poi 17 famiglie, poi circa 35, finchè anche Reinaldo venne assassinato per distruggere il suo ed il nostro lavoro. Con l’assassinio di Reinaldo la paura, che da poco stavamo superando, si impadronì di nuovo della gente; molte famiglie smisero di partecipare alle riunioni e si richiusero nel silenzio. In pochi insistevamo dicendo che restare “fermi e zitti” era la cosa peggiore e che la vita sarebbe peggiorata ancora, continuammo a lavorare per l’organizzazione e dopo un periodo di discussioni riuscimmo ad ottenere qualcosa. Con l’organizzazione che avevamo formata riuscimmo ad uscire dal silenzio e dall’abbandono, il nostro desplazamiento e le nostre rivendicazioni hanno ottenuto visibilità nazionale e internazionale, abbiamo ricevuto attenzione, solidarietà e accompagnamento di molte persone. Con queste “armi” abbiamo riaperto il cammino per tornare nella regione ancora fortemente militarizzata e controllata. Fino al nostro ritorno la regione era rimasta abbandonata come la avevamo lasciata nel 2002,la sola gente rimasta, come ho detto, era pochissima e costretta a vivevere nascosta. Prima di noi e della fondazione di Civipaz  solo poche famiglie erano tornate, mosse dalla povertà e dalla disperazione della vita in città dove il solo lavoro che trovi è quello edile, per poche ore alla settimana, malpagato, dove non hai terra per coltivare il sostentamento e se non hai soldi non mangi. Poche famiglie, così disperate, erano rientrate alla spicciolata a rischio della vita.La vita in città è stata dura per tutti noi. La mia personale fortuna è stata quella di avere una figlia a Villavicencio, una di quelle che la avevano completato gli studi e si era stabilita a vivere. Per questo ho potuto vivere da lei. Vendetti una vecchia automobile che usavo per andare alla finca e con i soldi provammo ad aprire un negozietto ma l’affitto era troppo e non riuscimmo ad andare avanti. Praticamente “ci siamo mangiati” l’automobile mentre alla finca non siamo potuti tornare per quattro anni.  Il desplazamiento ci ha costretto ad una vita dura, ancora oggi, nonostante con l’organizzazione siamo tornati nella regione ed abbiamo ottenuto solidarietà e accompagnamento abbiamo dovuto ricominciare tutto da zero.  Tutto quello che siamo riusciti a fare lo dobbiamo all’organizzazione che abbiamo formato, senza organizzarci non avremmo potuto ottenere i prestiti, le donazioni, gli aiuti alimentari l’appoggio con cui abbiamo costruito le prime case, la cucina collettiva, la scuola, praticamente tutta la comunità di Civipaz. La stessa finca, dove abbiamo costruito la Zona Umanitaria, la abbiamo comprata con denaro internazionale. Dal Governo colombiano abbiamo ricevuto solo morte e violenza. Rubelia puoi raccontarci come arrivarono i paramilitari nella tua finca e come decidesti di lasciare la regione ?  Nella mia finca, che era abbastanza grande con una casa altrettanto grande, i paramilitari formarono un loro accampamento ma  io già me ne ero andata. Prima del desplazamiento io ero presidente della Giunta Comunale de “La Cima” ed ho rischiato per questo. Quando i paramilitari sono entrati nella regione hanno preso di mira i leader, per quanto di basso livello, mandavano a chiamare i funzionari e li uccidevano, ne uccisero molti. Un giorno mandarono un giovane a chiamarmi, mi disse che i paramilitari volevano incontrare il presidente de La Cima, io il giorno stesso raccolsi alcuni vestiti e me ne andai.  Lasciai un giovane ad occuparsi della finca ma dopo quindici giorni fu costretto ad andarsene anche lui perché arrivarono i paramilitari. Il pascolo della mia finca fu utilizzato per il bestiame rubato dalle altre fincas, lo concentravano li in attesa di caricarlo sui camion e rubarlo definitivamente. Nella mia casa si fermarono circa due mesi e vi impiantarono un vero ufficio approfittando del mio generatore elettrico che gli permetteva di alimentare i computers. La mia casa divenne un centro dell’attività paramilitare, li arrivavano i camion per rubare il bestiame e quelli che portavano la paga dei paramilitari, esercito e paramilitari erano la stessa cosa, rubavano insieme, uccidevano insieme, mangiavano insieme due o tre delle nostre vacche al giorno, riscuotevano insieme dallo stesso stato.  Mi rubarono 45 galline, uccisero più di 70 vacche e qualche pecora.  Oggi Rubelia stai tornando alla tua finca ?Dopo quattro anni di abbandono oggi stiamo riuscendo pian piano a tornare. Anch’ io torno a volte alla mia finca. Dopo vari anni nel domandandosi il perché di tanta violenza ci siamo resi conto che il governo ha fatto tutto questo con un unico obiettivo; rubarci tutto e appropriarsi delle nostre terre. Questo è quello che sta succedendo in tutta la Colombia dove la terra   viene consegnata  alle multinazionali.  Nelle nostre terre le multinazionali piantano Palma Aceteira, Canna da zucchero, Maiz, per ricavarne agrocombustibili.  Ci siamo resi conto come la motivazione dichiarata di “distruggere la guerriglia” fosse una doppia trappola ed un doppio inganno. Primo perché l’esercito ed i paramilitari hanno ucciso, torturato, desplazado semplici civili in zone del paese dove sapevano benissimo che la guerriglia non era presente secondo perché la vera finalità era questa: appropriarsi della terra e consegnarla allo sfruttamento delle multinazionali. Oggi come continuano ad agire ? mandando intermediari e terze persone a fare offerte allettanti per vendere le terre. Come il lavoro agricolo è sempre più duro e meno retribuito molta gente si fa convincere a vendere. Qui non è ancora successo ma a qualche kilometro da qua già varia gente ha venduto.  La terra e le sue risorse sono il vero obiettivo dello stato e dei poteri economici. Quando noi chiedevamo al governo la formazione di una “commissione di valutazione” che appoggiasse il nostro ritorno nella regione ci hanno risposto che “non ci sono le condizioni” , che “la zona è pericolosa a causa della guerriglia”  però “le condizioni” erano buone per autorizzare una multinazionale petroliera a sfruttare il sottosuolo a pochi kilometri da noi. Quindi “le condizioni” ci sono per la petroliera, per le multinazionali della palma aceteira, per chi vuole comprare le terre, solo per noi, che abbiamo popolato per primi la regione, tagliato alberi per coltivare, costruito case, scuole e strade, non ci sono le condizioni.Ancora oggi che, dopo la costituzione della comunità stiamo lottando per la legalizzazione, l’INCODER  continua a negarcela.Il vero obiettivo del desplazamiento, quindi, era ed è questo; l’appropriazione delle nostre  terre, l’appropriazione di questa regione molto ricca di acqua, minerali, petrolio, con terreni fertili per qualsiasi coltura. In questa regione si producono circa 80-100 colture differenti e non vogliamo monocolture che sterilizzano il terreno, volgiamo conservare la varietà che c’è.Fino ad oggi nella nostra regione non è stata ancora piantata né Palma Aceteira né altre monocolture per agrocombustibili, nelle fincas comprate da terzi (di cui parlavo prima) l’unica attività produttiva  è l’allevamento; hanno portato molte vacche da fuori la regione per allevarle e venderle, probabilmente nate dai capi di bestiame che ci hanno  rubato durante il desplazamiento, e questo, per ora, è tutto ma non sappiamo cosa stanno progettando.