Perché difendere oggi Cuba?

La discussione che cerchiamo di portare ogni volta in un’iniziativa su Cuba deve essere indirizzata a nostro avviso, su cosa sia diventato questo paese, frutto di una rivoluzione, che esiste in un momento in cui gli ideali ed i principi a cui si richiama sono classificati come defunti, se non alieni e banditi da gran parte degli stati. E’ però essenziale liberarsi da un comodo fascino per la leggendaria impresa iniziata da poche decine di uomini, che costringe la riflessione ad un passato memorabile certamente, che viene prolungato o accorciato a seconda dei riferimenti ideologici, politici e culturali a cui ognuno piace guardare, ma ci allontana dal tentativo di dare un’azzeccata valutazione sulla Cuba attuale.

Fermarsi solo a magnificare i progressi cubani nella sanità o nell’educazione oscura le difficoltà vissute dalla popolazione cubana vittima di un interminabile embargo e le contraddizioni che si manifestano inequivocabilmente sul cammino per la costruzione di un’altra società.

Checché ne dicano i critici di qualsiasi schieramento, Cuba rappresenta un caso particolare. Il collasso che ha caratterizzato i paesi del blocco sovietico negli anni ’90, non ha coinvolto l’isola caraibica nella stessa euforia per il capitalismo vincente anche se è stato indubbiamente motivo di problematicità economiche e sociali, alle quali i cubani hanno risposto molti con l’ingegno e il sacrificio e molti con capacità di adattamento, per non dire parassitismo, che il nuovo interesse turistico per l’isola ha stimolato. Evitare un totale cedimento interno e riaffermare la propria dignità nei confronti dei nemici di sempre (continuare nella denuncia in qualsiasi occasione della rinnovata aggressività statunitense su scala mondiale e dell’iniqua riorganizzazione globale delle risorse umane e materiali ad opera di organismi sovranazionali: multinazionali, Fondo Monetario Internazionale, Nato ecc.) e mantenere fermo l’esercizio della propria sovranità anche in politica estera (lanciare anatemi o minacce è più fattibile quando si possiedono o si controllano enormi risorse petrolifere o si dispone di arsenali bellici, altra cosa è denunciare le nuove forme di sfruttamento neoliberista quando il governo, che in maggior misura lo sostiene e ne trae grandi benefici, è il tuo peggior avversario e anche il tuo vicino) non può allora non basarsi su un consenso condiviso dalla maggioranza della popolazione e diventa invece inverosimile farlo discendere dalle proprietà di controllo e organizzazione della repressione del sistema-stato cubano.

In questa direzione Cuba esiste e non soltanto resiste, in quanto si espone come agente attivo nel dibattito e nel tentativo di costruzione di una società antitetica a quella proposta/imposta dal liberismo economico. E’ ovvio tuttavia, che chiunque decida di trattare la questione Cuba e di confrontarsi con questa realtà statale debba sostenere uno spazio dove ci sia sempre posto ad una critica seria dei percorsi avviati, distanziandosi da esaltazioni tardo-rivoluzionarie e invece valutare quella effettiva rete di solidarietà che i cubani sono riusciti a mantenere intorno a sé negli ultimi quindici anni. Solidarietà e appoggio ricevuto che non sono solo conseguenza di accordi governativi e trattati internazionali (il territorio cubano non ha risorse materiali in grado di determinare alleanze prettamente economiche) e di capacità strategiche della classe politica cubana, ma anche frutto di una proposizione all’esterno, soprattutto verso il centro e il sud America, di progetti e programmi di sostegno alle popolazioni, come l’invio di medici volontari in aree rurali dimenticate dalle istituzioni locali o la realizzazione del programma di alfabetizzazione Yo si puedo. Presenza e dinamismo quindi che permettono a Cuba di resistere ai tentativi di destabilizzazione provenienti dall’esterno, ma anche di esistere attraverso un consenso popolare che oltrepassa i confini geografici.

Partecipare alla campagna per la liberazione dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti, reclamare giustizia per l’uccisione di Fabio Di Celmo e richiedere l’estradizione dell’assassino-torturatore Luis Posada Carrilles non sono solamente l’ennesimo mezzo per esprimere solidarietà a Cuba, ma è la denuncia di come la categoria terrorismo sia compagna di viaggio di chi brandisce il diritto di scatenare guerre giuste e preventive e di come l’Italia ceda ancora una volta un pezzo della propria sovranità (e la vita dei suoi cittadini) agli Stati Uniti.