Intervento delle Brisop sugli agrocombustibili al III incontro della Rete delle alternative

III. ENCUENTRO INTERNACIONAL "TERRITORIO Y VIDA" 22,23,24 DE JUNIO DE 2007, OVIEDO, ASTURIAS

AGRO – COMBUSTIBLES, EXPLOTACION MINERA, MERCANTILIZACION TERRITORIAL Y MEMORIA COLECTIVA

RED DE ALTERNATIVAS A LA IMPUNIDAD Y LA GLOBALIZACION DEL MERCADO

MESA: GLOBALIZACION DEL MERCADO Y RESISTENCIAS Panel 1: Agronegocios y agrocombustibles

BRISOP (Brigate di Solidarietà e per la Pace), Toscana, Italia

LA COMBUSTIONE DELLE BIOMASSE NEL CONFLITTO CITTÀ – CAMPAGNA

"L’ecologia, si sa, è liberazione finché parte dal principio che al banchetto della vita debbano partecipare tutti,con gli stessi diritti e gli stessi limiti. Ma che porta necessariamente ad un universo concentrazionario se l’imperativo per scongiurare l’ecocatastrofe diventa quello di riservare le risorse terrestri pressoché esclusivamente ai privilegiati."

Dario Paccino – "La trappola della scienza" – 1978

Nel processo di sottomissione alle dinamiche della valorizzazione capitalistica di un numero sempre più vasto di beni naturali e nel quadro della messa in valore delle energie rinnovabili, da alcuni anni l’ interesse economico della metropoli si è rivolto alla combustione delle biomasse.
Il contributo delle Brisop in questa sezione dell’ Encuentro "Agronegocios y Agrocombustibles", intende fornire un primo quadro certamente non esaustivo del tema della combustione delle biomasse in Italia, collocare tale tema nell’ ambito del dis/ordine energetico e sociale della metropoli capitalistica ivi compresa la guerra preventiva e permanente, proiettare la combustione delle biomasse nel conflitto città – campagna, nelle nuove condizioni nelle quali oggi esso si svolge.

1 – Siamo entrati nell’epoca della scarsità relativa dei combustibili fossili, esito del lungo processo di sfruttamento di natura (materia, energia, biodiversità) e uomo; uno sfruttamento ormai esteso a tutto il pianeta.

Il capitalismo e la sua forma sociale e territoriale più caratteristica – la metropoli – si trovano di fronte alla necessità di risolvere in tempi rapidi il problema degli approvvigionamenti di energia.

Fin dalla "crisi" energetica dei primi anni ’70 del secolo passato, il capitalismo mondiale si è orientato verso una tendenziale differenziazione delle fonti energetiche alternative ai combustibili fossili.

La strategia integrata che ne è conseguita ha puntato sul gas naturale, sul nucleare (fino a quando un forte ed esteso movimento conflittuale non lo ha bloccato) e successivamente su un ampio ventaglio di energie rinnovabili : solare termico e fotovoltaico, eolico, centrali idroelettriche, geotermia.

" Riserve energetiche mondiali quasi al limite, dipendenza estrema degli Stati Uniti dalle importazioni, picco della produzione di petrolio che si avvicina alla soglia di "sicurezza". Per gli U.S.A. tutto questo significa doversi assicurare un approvvigionamento…………del petrolio. Questo include intraprendere guerre per ottenerlo……………………… Punto centrale del piano degli USA è innanzitutto quello di controllare ad ogni costo e ovunque le "risorse" essenziali, iniziando dal petrolio là dove la maggior parte di esso è localizzata: nel Medio Oriente e in Asia Centrale" (Stephen Lendman, Global Research, June 6, 2007).
Così mentre con la guerra permanente, il capitalismo tenta di garantirsi il flusso di fonti fossili, contemporaneamente si studiano nuove basi energetiche facendo apparentemente proprie, come spesso è successo in passato, richieste di associazioni, gruppi, movimenti, orientandole però al mantenimento del Nuovo Ordine Mondiale e alla crescita dei profitti.

In realtà il capitalismo mai potrebbe seriamente mettere in atto modalità produttive e riproduttive "ecologiche", o utilizzare materia, energia e informazione biologica in modo coerente con le leggi della natura e con le relazioni ecologiche: risparmio energetico per quanto riguarda i cicli produttivi e i trasporti, o una nuova organizzazione degli insediamenti umani, delle costruzioni e della produzione allungando il ciclo di vita delle merci, così da ridurre lo spreco di materia- energia.

Al contrario l’ economia capitalistica e il consumismo del Nord hanno bisogno di produrre sempre nuove merci, riducendo al minimo il loro ciclo di vita.

Per questo devono tenere sotto controllo regioni e popoli in modo che non raggiungano i livelli di produzione e di consumo del Nord, pena la crisi energetica e il collasso del pianeta.

E’ naturalmente ovvio, infatti, che in un sistema basato sullo sfruttamento di uomo e natura, il ciclo della riproduzione non è dettato dalla Natura ma dai ritmi sociali ed economici imposti dal libero mercato.

In questo quadro, nasce l’ interesse per le fonti di energia rinnovabili, ed in particolare per tutto ciò che ha origine organica e si riproduce in maniera ciclica, come le biomasse.

2 – L’ AFFARE COMBUSTIONE DELLE BIOMASSE – USI ENERGETICI DELLE BIOMASSE

Come è noto con il termine biomasse si indicano una quantità di materiali estremamente eterogenei. Materiali di origine biologica e quindi legati alla chimica del Carbonio.

Dal punto di vista dei nuovi scenari energetici, degli interessi del libero mercato e delle grosse corporazioni multinazionali, il sistema economico-energetico si sta sempre più indirizzando verso colture energetiche. Vale a dire verso la selezione delle specie più adatte ad essere utilizzate – con turni di 5/6 anni – per la produzione di energia termica.

Qui da noi – in Europa e in Italia – la corsa alla combustione delle biomasse è partita con qualche ritardo rispetto alle iniziative del capitalismo internazionale e delle multinazionali in America Latina.

Al momento – sempre all’interno delle strategie energetiche e alimentari delle grandi corporazioni e degli Stati egemoni – lo sfruttamento delle biomasse è caratterizzato soprattutto dallo sviluppo:

– della filiera legno-energia (materiale vegetale prodotto da tagli del bosco e da residui delle lavorazioni agricole; sfalci delle manutenzioni forestali; residui di lavorazioni del legno)

– della riconversione delle colture agricole verso produzioni Non Food;

– della combustione dei rifiuti domestici ed industriali biodegradabili (ivi compresi quelli agricoli) in inceneritori o in centrali termiche (cocombustione).

E’ meno importante invece la produzione di biocombustibili (biodisel, ec. ) o almeno non c’è stato recentemente alcun incremento.

Fa eccezione il biogas prodotto dalla trasformazione chimica del materiale organico nelle discariche per rifiuti o in digestori anaerobici.

Per quanto riguarda l’ impiantistica abbiamo a che fare con :

– inceneritori per rifiuti, anche se camuffati;

– impianti di teleriscaldamento a cogenerazione ( ivi compresi anche gli inceneritori ).

Il No del movimento alla combustione delle biomasse poggia su alcuni dati di fatto non smentibili:

– il biocarburante ha un bilancio energetico in perdita poiché necessita di circa il 50% in più di energia di quella ottenuta;

– l’ impiego di suolo agricolo per produrre biomasse da bruciare è energeticamente assurdo e moralmente inaccettabile (scambia cibo con energia);

– inoltre se le scorte di biomassa non vengono ricostruite, non si può sostenere che le biomasse sono una fonte rinnovabile;

– infine la combustione delle biomasse in centrali o in inceneritori produce effetti dannosi sulla salute umana (polveri fini e ultrafini, sostanze nocive in particolare se nella biomassa vi sono prodotti chimici dannosi…..).

L’ utilizzo delle biomasse è accettabile come cibo, come materiale compostabile – compost – per aumentare la fertilità del suolo e scongiurare la desertificazione (frazione organica dei rifiuti, reflui ecc.).

Gli usi energetici delle biomasse che si stanno diffondendo a scala planetaria possono essere visti come l’ultimo, in ordine di tempo, sfruttamento delle aree rurali e delle società contadine da parte del sistema economico della metropoli. Dentro quel conflitto di interessi città/campagna che ha segnato per larga parte la storia umana e l’intera storia del capitalismo.

2.1. COLTURE NON FOOD

Le mobilitazioni delle popolazioni, delle realtà di base, dei comitati e del movimento in generale contro la coltivazione dedicata di specie erbacee e legnose da bruciare per ottenere calore e quindi energia meccanica o elettrica è particolarmente sensibile.

In Italia, al momento, cominciano sperimentazioni delle colture alternative a quelle alimentari, ma siamo ancora ad uno stadio iniziale.

Il nostro NO in particolare riferito alla situazione internazionale e a quanto sta avvenendo in altre parti del mondo (America Latina, ad esempio) circa le produzioni agricole Non Food.

La preoccupazione del movimento in generale e del movimento contadino e rurale in particolare, riguarda anche il fatto che la strategia Non Food comporta una ristrutturazione nei modi di produzione e nei rapporti di uso del territorio.

Ad esempio, per poter soddisfare le esigenze tecniche e produttive, il capitalismo agrario e quello energetico hanno la necessità di attuare una ricomposizione fondiaria superando la frammentazione proprietaria, di estendere l’ abolizione dei demani civici, di alienare i demani pubblici ai privati, di eliminare le piccole aziende contadine. Ed è quello che sta avvenendo anche con l’appoggio delle amministrazioni locali (vedi Regione Toscana).

2.2. BIOMASSE/RIFIUTI

La Comunità Europea e gli stati nazionali danno incentivi finanziari per l’ energia elettrica prodotta dalla combustione dei rifiuti biodegradabili, .assecondando così gli interessi delle corporazioni impiantistiche ed energetiche, ormai privatizzate.

Il processo di combustione negli inceneritori dei rifiuti – biodegradabili o non biodegradabili – è molto inquinante e dannoso, perché vengono bruciati materiali eterogenei che impediscono di conoscere le sostanze rilasciate come scorie e fumi. Inoltre si formano composti nocivi e cancerogeni, come le diossine e i furani i cui precursori chimici sono nei rifiuti (plastiche e legno…); metalli pesanti (cadmio, mercurio….) , tutte sostanze nocive che entrano nella catena alimentare. Le polveri fini ed ultrafini: PM 10, PM 2,5 P.M. o,1 rilasciate entrano nei polmoni e nel sangue e vanno a far danni.

In Italia ha prevalso una interpretazione delle normative europee che estende il campo degli incentivi alla combustione dei rifiuti, in quanto vengono concessi incentivi finanziari anche all’ incenerimento dei rifiuti non biodegradabili, in aperta violazione delle norme comunitarie ( CIP 6, Certificati Verdi).

Bisogna aggiungere che gli abitanti pagano di tasca propria, attraverso la bolletta elettrica e la tariffa rifiuti, buona parte del servizio di gestione dei rifiuti.

Sono in corso estese e forti lotte per bloccare questi incentivi e l’ incenerimento dei rifiuti.

Sfruttando gli incentivi europei e i precedenti contributi statali gli inceneritori diventano remunerativi, mentre senza incentivi sarebbero in perdita.

In questo quadro diventa di fondamentale importanza per le corporazioni inceneritoriste ed energetiche la combustione e l’ incenerimento delle biomasse incorporate nella parte biodegradabile dei rifiuti, perché permette di continuare ad avere incentivi per l’ incenerimento che altrimenti non sarebbe remunerativo.

3 – IL CONFLITTO CITTA’- CAMPAGNA

Le politiche agricole e alimentari neoliberiste disegnate dai grandi organismi internazionali determinano le condizioni di scambio e regolano i rapporti di produzione e di proprietà a esclusivo vantaggio dell’ industria.

I processi di privatizzazione e di messa a valore dei beni comuni hanno conseguenze evidenti in tutto il comparto dell’agroalimentare. La più evidente è la difficoltà dell’agricoltura su base contadina e della produzione destinata al consumo locale: è aumentata la povertà, specialmente nelle zone rurali; i terreni e l’acqua sono inquinati e degradati; ci sono state perdite irreparabili di diversità biologica e distruzione di habitat.

La liberalizzazione del commercio lascia nelle mani delle forze del mercato (le poderose imprese transnazionali) le decisioni riguardo a ciò e a come si producono e si commercializzano gli alimenti.

I governi ricchi continuano a sovvenzionare fortemente l’agricoltura d’esportazione nei loro paesi, destinano la maggior parte delle risorse ai più grossi produttori. La maggior parte dei soldi dei contribuenti sono consegnate a grandi imprese, grandi produttori, grandi commercianti e catene minori – che sviluppano pratiche agricole e commerciali insostenibili – invece che ai piccoli produttori che producono principalmente per il mercato interno, spesso con pratiche più sostenibili.

Queste politiche di impulso alle esportazioni hanno dato origine a prezzi di mercato per i prodotti che sono molto più bassi dei costi di produzione. Questo aumenta e sviluppa la pratica del dumping e permette che le imprese multinazionali comprino prodotti agricoli a prezzi molto più bassi, per venderli poi a prezzi molto più alti a consumatori tanto del Sud come del Nord. Le forti sovvenzioni agricole dei paesi ricchi sono in realtà sovvenzioni all’industria agroalimentare, ai grandi commercianti, e a una minoranza di grandi produttori.

Il cosiddetto "mercato mondiale" di prodotti agricoli in realtà non esiste. Ciò che esiste, prima di tutto, è il commercio di eccedenze di cereali e prodotti di latte e carni immessi sul mercato internazionale principalmente dall’Unione Europea, Stati Uniti e altri membri del cosiddetto gruppo CAIRNS o paesi agroesportatori. A parte ciò, il commercio internazionale di prodotti agricoli coinvolge solamente un10% dell’insieme totale della produzione agricola mondiale, e costituisce fondamentalmente uno scambio fra multinazionali degli USA, UE e alcuni paesi industrializzati. I cosiddetti prezzi del mercato mondiale sono molto instabili e non hanno nessuna relazione con i costi di produzione. Questi prezzi sono molto bassi a causa del dumping e mai potranno essere un riferimento adeguato o conveniente per la produzione agricola.

Se il profitto viene dalle esportazioni, la grande industria per sua natura non è portata a garantire la biodiversità ma si dirige inevitabilmente sulla monocoltura. Questo processo è accompagnato e integrato dalla privatizzazione dei beni comuni, della terra, dell’acqua e del cibo in genere; attraverso ad esempio la proprietà privata dei semi.

Ad esempio, in Italia e in Toscana l’acqua e la terra sono al centro di un processo di privatizzazione che proprio in questi anni sta prendendo forma: la terra entra nel circuito dei grandi interessi in parte attraverso la svendita dei terreni demaniali in parte attraverso il cambio di destinazione d’uso che rende i terreni agricoli edificabili grazie ad amministratori compiacenti che li lasciano in mano agli speculatori. La privatizzazione dell’acqua è già in stato avanzato, le strade intraprese sono diverse ma la filosofia di fondo è la stessa: un bene primario viene trattato come tutte le altre merci, il valore d’uso viene subordinato al valore di scambio, non più acqua da bere ma acqua da vendere a chi la può comprare.

L’agricoltura e l’alimentazione sono fondamentali per tutti i popoli, sia in termini di produzione e disponibilità di quantità sufficienti di alimenti nutrienti e sicuri, sia in quanto pilastri di comunità, culture e ambienti rurali e urbani salubri.

La Sovranità Alimentare è il diritto di chi lavora la terra a produrre : quindi al reddito e al salario, a scegliere cosa e come e produrre, ad esercitare in autonomia la responsabilità sociale ed etica di condurre la gestione della terra. Ed è anche il diritto di tutti i cittadini ad un cibo sano, garantito (quindi ad un prezzo economico sostenibile socialmente), diversificato e ad un territorio  tutelato, valorizzato ed ambientalmente salubre. E’ il diritto di ogni popolo a definire le proprie politiche agrarie e alimentari, proteggere e regolare la produzione agraria nazionale e il mercato locale e decidere in che misura vogliono essere autosufficienti senza rovesciare le loro eccedenze in paesi terzi. La sovranità alimentare non nega il commercio internazionale, piuttosto difende l’opzione di formulare quelle politiche e pratiche commerciali che servano ai diritti della popolazione. Anche in Italia a partire dal 1999 sono nate nuove esperienze e forme di lotta sulla questione agraria e rurale. Il modello era quello di via Campesina contro il Wto, lo sfruttamento dei contadini e per conquistare l’alternativa alla globalizzazione neoliberista. Le diverse esperienze confluiscono poi nel Foro Contadino Altragricoltura che partecipa da protagonista all’organizzazione delle mobilitazioni contro il G8 di Genova del 2001. Di questo movimento fanno parte contadini, braccianti, tecnici, allevatori e cittadini  impegnati a promuovere e attuare la Sovranità Alimentare, un percorso di base fatto dai lavoratori della terra in collegamento con esperienze analoghe in tutte le parti del mondo. Esperienze concrete di un "altro modello possibile" di agricoltura che sottrae di fatto terre all’industria e alla privatizzazione.

L’industria agricola – a questo è stata ridotta oggi l’agricoltura nel Nord e in vaste regioni del Sud – riesce a garantire la produttività delle coltivazioni solo con l’immissione nei campi di quantità crescenti di energia fossile (flusso di energia supplementare rispetto a quella solare): macchine agricole, concimazione fertilizzanti chimici di sintesi, irrigazione, antiparassitari, selezione genetica, OMG.

In ogni caso l’industria agricola non è stata in grado di invertire l’impoverimento del Sud e la fame di molte popolazioni della Terra.

Nel sud del mondo negli anni 90 sono morti di fame 15 milioni di persone e 500 milioni sono malnutrite (Fao).

In realtà questo processo di industrializzazione (rivoluzione verde) è andato a vantaggio dei capitalisti proprietari di terra, delle multinazionali chimiche e di quelle agroalimentari.

"Secondo quanto affermano gli studi di Gianpietro e Pinmental l’industrializzazione dell’agricoltura (la rivoluzione verde) ha aumentato in media di 50 volte il flusso di energia rispetto all’ agricoltura tradizionale, pertanto il sistema agricolo, per esempio degli Stati Uniti, consuma 10 volte più energia di quella prodotta sotto forma di cibo o , se si vuole, che utilizza più energia fossile di quella che deriva dalla radiazione solare. Considerando solo la produzione di fertilizzanti, va detto che servono circa due tonnellate di petrolio in energia per produrre per produrre e spargere una tonnellata di concime azotato….".

Anche in Italia il rapporto tra energia ricavata dal raccolto (output) e l’energia necessaria a produrlo (input) era in molti casi inferiore ad uno ed è ragionevole pensare che tale rapporto sia peggiorato nel corso degli ultimi 25 anni. (Enea 1979/79).

Una agricoltura organica e coerente con i cicli naturali dovrebbe riportare al suolo i materia organica e sali minerali, riciclando sostanze naturali senza ricorrere a prodotti della chimica di sintesi: tecnologie appropriate, blocco delle produzioni nocive: centrali termoelettriche, inceneritori, ciclo chimico, traffico, centrali atomiche.

3.1. Conflitto di interessi tra città e campagna

C’è una costitutiva differenza tra l’ economia contadina tradizionale e l’ economia capitalistica della città e tra le rispettive concezioni di giustizia sociale.

Nel corso della storia le comunità contadine e l’ economia del villaggio hanno sedimentato alcuni caratteri che lungi da poter essere assunti come modello nella situazione attuale, possono tuttavia costituire dei segnavia per il cammino della trasformazione sociale.

Principi semplici che nascono dalla lotta contro un ambiente naturale ostile.

Solo il lavoro ha un valore, esso è il criterio centrale per la suddivisione del reddito all’ interno della comunità contadina tradizionale.

La filosofia del villaggio contadino è: opportunità uguale per tutti.

L’economia del villaggio contadino garantisce a tutti la possibilità di lavorare: è inconcepibile che non esista la possibilità di lavorare per ottenere il minimo per sopravvivere. Nell’economia contadina è impensabile la precarietà.

D’altra parte, stando a Marx, il conflitto tra città e campagna costituisce il cardine di tutta la storia.

Nell’ economia delle società capitalistiche la distribuzione e l’uso delle risorse umane sono regolate dal principio della produttività marginale, secondo il quale la domanda effettiva di beni di consumo, è soddisfatta utilizzando il minor numero possibile di lavoratori (Lavora chi ha il merito).

Quando i proprietari terrieri (in particolare in Inghilterra e nell’Europa orientale) diventarono capitalisti è nella campagna che compare la prima vera disoccupazione di massa, insieme alla espropriazione delle terre, a principiare da quelle collettive.

Una espropriazione delle terre che si ripete anche oggi in modo violento, basti pensare alla Columbia, la cui popolazione ha pagato e paga con migliaia di vite umane il prezzo della imposizione della coltivazione della palma da olio, utilizzato per il biodisel e delle infrastrutture necessarie per il trasporto.

Mentre l’economia capitalistica tende a soddisfare la domanda effettiva di beni di consumo utilizzando il minor numero possibile di lavoratori, l’economia contadina tende invece a garantire il lavoro a quanti più abitanti possibili.

L’ idea dell’economia capitalistica – e della città – è ancora oggi quella di: assorbire il surplus di forza lavoro agricola nell’ industria; impedire a chi rimane a lavorare la terra di aumentare il consumo medio di cibo.

Oggi siamo immersi in un rinnovato conflitto esteso a scala planetaria tra città e campagna.

Per un verso, tra la città – la metropoli – che vuole raccogliere quanto più cibo possibile, e la campagna – il Sud – che muore di fame. Per l’altro verso, tra il bisogno di materia-energia della metropoli energivora che scarica sull’intero pianeta nocività, e resistenze della campagna.

Si compie così una duplice espropriazione/depredazione di cibo e di energia (sia fossile che rinnovabile). L’uso energetico delle biomasse collega queste due depredazioni: cibo ed energia, rendendo ancora più artificiale l’agricoltura ormai diventata una industria meccanizzata, chimicizzata, sporca, invasa da OGM e biotecnologie. Una agricoltura senza terra e una terra senza contadini.

Questa la promessa di progresso che il capitalismo è riuscito a realizzare!

La costruzione di un radicalmente nuovo rapporto campagna – città e il progetto di una nuova alleanza tra lotte nella metropoli e lotte contadine-rurali, è forse un compito che ci compete.

Questo sembra essere il tempo. Questa è almeno la speranza di tutte e di tutti noi.

 

 

 

 

 

 

ALLEGATO 1

In Italia sono in atto i seguenti programmi nazionali:

PROGRAMMA NAZIONALE ENERGIA RINNOVABILE DA BIOMASSE (P.N.E.R.B.), 1998 finalizzato alla riduzione dell’uso di fonti fossili con previsione produzione 8-10 Mtep di energia da biomasse agro-forestali e zootecniche entro il 2012

PROGRAMMA NAZIONALE VALORIZZAZIONE BIOMASSE AGRICOLE E FORESTALI (P.N.V.B.A.F.), 1999 che ha come obiettivo lo sviluppo di filiere AGROENERGETICHE per ottenere biocombustibili solidi destinati ad usi elettrici e termici e biocombustibili per autotrazione e riscaldamento.

PROBIO (PROGRAMMA NAZIONALE BIOCOMBUSTIBILI), 2000, progetti regionali e interregionali a carattere dimostrativo

REGIONE TOSCANA

Recentemente l’UE ha inteso dare nuovo impulso all’uso energetico delle biomasse agroforestali attraverso il BIOMASS ACTION PLAN (COM 2005 628) prevedendo misure che incentivano l’uso di biomasse in impianti di cogenerazione e la produzione di biocombustibili.

Per promuovere l’uso di questo insieme di fonti energetiche la regione Toscana ha attivato una serie di iniziative.

Progetto Bioenergy Farm per realizzare impianti dimostrativi di coltivazione e trasformazione energetica di biomasse.

Progetto interregionale Woodland Energy: messa punto di filiere economicamente sostenibili e facilmente replicabili; realizzazione di impianti termici; messa a punto di strumenti informativi sulla filiera legno-energia;

progetto Activia con Legambiente sulle colture NON FOOD in Toscana, attività di formazione (Agrienergie).

Obiettivi:

– sviluppo filiera legno-energia come filiera corta locale;

– favorire la riconversione delle tradizionali colture agricole in colture NON FOOD con finalità produzione di energia

– tutto questo nell’ ambito di dell’ azione di supporto all’ innovazione e alla competitività del settore agricolo (piano di Sviluppo Rurale)

– realizzazione di impianti di teleriscaldamento a cogenerazione a biomasse, di potenza nominale non superiore a 500 kw termici e a 200 kw elettrici.

Nel Programma regionale si prevede l’utilizzo delle seguenti tipologie di biomasse combustibili:

1. materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;

2. materiale vegetale prodotto da trattamento meccanico di coltivazioni agricole dedicate e di legno vergine (segatura, trucioli, tondello, granulati, cascami)

3. materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, di manutenzione forestale e potatura;

4. materiale vegetale prodotto da lavorazioni meccaniche di prodotti agricoli.

Sono stati realizzati o sono in via di realizzazione 5 impianti pilota: Camporgiano (Lu) Cetica (Ar) Monticiano e Casole d’elsa (Si) Loro Ciuffenna (Ar)

Inoltre è stato avviato un impianto pilota di teleriscaldamento a biomasse a Rincine, Londa(Fi)

TRE ESEMPI DI PROGRAMMI DI COMBUSTIONE DI BIOMASSE IN TOSCANA

A- Borgo S. Lorenzo (Fi). Si tratta di un impianto che brucerà cippato di legno. Per ottenere il legname dai boschi dei monti Appennini per ottenere calore per riscaldare attraverso il teleriscaldamento una zona industriale;

B – Progetto della Società privata SECA in progetto in località Montegemoli, Piombino (Li) che intende utilizzare biomasse di origine vegetale estere, provenienti da Brasile e Malesia. Il progetto approvato è stato successivamente sospeso per le proteste di ambientalisti e popolazione che, pur con il limite di NON opporsi in toto alla combustione delle Biomasse, ma chiedono di bruciare biomasse locali (ciclo corto).

C – Inceneritore/Cogeneratore con teleriscaldamento proposto dalla Società Biogenera s.r.l. (Consiag SPA, Comune di cadenzano, Quadrifoglio SPA) che sorgerà a Cadenzano nell’ interland di Firenze e che brucerà anche la parte biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali. Potenza termica 6 Mw.