Dall’ esperienza di scambio e solidarietà che abbiamo condiviso con le Comunità in Resistenza Civile della Colombia dei dipartimenti del Chocò e del Meta nell’Agosto 2007 nasce il film-documentario ed il diario di viaggio e lotta comune.
"LA RESIEMBRA. COLOMBIA: LE COMUNITA’ IN RESISTENZA CIVILE", Un DVD di 60 minuti circa.
Un video pensato, girato, sceneggiato, montato e distribuito dalle: BRIGATE DI SOLIDARIETA’ E PER LA PACE (BRISOP).
Per ricevere il DVD a 8 euro + spese di spedizione brisop@inventati.org
La Colombia costituisce un’eccezione nell’attuale panorama dei Paesi latinoamericani. E’ caratterizzata infatti dalla presenza di diverse e significative organizzazioni guerrigliere che da decenni portano avanti una lotta per determinare un cambio sociale che veda affermarsi gli interessi delle classi popolari contro lo strapotere di un’oligarchia che da sempre ha controllato il Paese e le sue risorse e che metta fine alla pesante ingerenza politica ed economica straniera e in particolare degli Stati Uniti. Una lotta che nessuna politica repressiva è riuscita, al momento, a sconfiggere o a far ripiegare su diverse opzioni strategiche, come invece è accaduto in ogni altro Paese dell’America Latina.
Sul piano istituzionale lo Stato colombiano è formalmente una piena democrazia e come tale è riconosciuto a livello internazionale. La Costituzione prevede libertà civili, politiche e sindacali, libere elezioni e un sistema giudiziario fondato sullo stato di diritto. Nella realtà però nessuna di queste garanzie è operante, tutti i governi hanno applicato ed applicano politiche contro insurrezionali, analoghe a quelle che quasi tutti gli altri Paesi latinoamericani hanno vissuto, ma in una fase precedente, che significano una feroce repressione che da decenni insanguina la Colombia, colpendo ogni organizzazione popolare ed ogni opposizione. In concreto questo vuol dire migliaia di quadri sindacali, leader contadini ed esponenti politici assassinati ogni anno, migliaia di desaparecidos, massacri su larga scala di popolazione civile, circa quattro milioni di sfollati e profughi interni. Oggi in Colombia, organizzarsi in sindacati e movimenti, lottare per i propri diritti e opporsi alle politiche dei governi significa mettere direttamente in gioco la propria vita.In questo quadro lo Stato ha sviluppato, in modo sistematico dalla fine degli anni ’80, la strategia del paramilitarismo. Ha cioè organizzato, finanziato e diretto strutture paramilitari, raccolte alla fine sotto la sigla di Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), per affiancare gli apparati “legali”, esercito e polizia, nella repressione e nel controllo del territorio e per affidare loro il lavoro sporco e le azioni più cruente e feroci. In cambio ha garantito la piena impunità per qualunque tipo di delitto e soprattutto la possibilità di gestire il narcotraffico ed altri affari molto redditizi. Tutte queste politiche dei governi colombiani hanno goduto del sostegno politico, economico e militare degli Stati Uniti, la cui ingerenza nel Paese ha raggiunto il massimo livello con il dispiegamento a partire dal 1998 del Plan Colombia.Tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, diverse operazioni congiunte dell’esercito e delle formazioni paramilitari hanno investito alcuni dipartimenti del Paese, tra questi in particolare il Chocó e il Meta. Operando con una ferocia straordinaria, minacce, esecuzioni mirate, desapariciones e massacri, hanno perseguito l’obiettivo di allontanare da quei territori tutta la popolazione contadina residente, costringendola a rifugiarsi nelle città. La motivazione ufficiale di queste operazioni è stata quella solita di combattere la guerriglia, nonostante che alcune delle zone coinvolte non vedessero da tempo una presenza guerrigliera. Come si vedrà i progetti e gli interessi reali dietro questo massiccio processo di sfollamento forzato erano soprattutto altri. Città=baraccopoli, favelas, ecc… Le ragioni di queste politiche di terrore e di allontanamento forzato della popolazione, non rispondono solo ad una strategia contro insurrezionale, alla volontà di fare terra bruciata per tagliare i legami sociali e quindi le condizioni di sopravvivenza e riproduzione della guerriglia. In realtà risulta chiarissimo che lo Stato colombiano, i governi succedutisi negli ultimi dieci anni, hanno perseguito l’obiettivo di garantire al capitale nazionale e straniero l’appropriazione di immense risorse. Il dipartimento del Chocó, nel nord ovest del Paese, è stata una delle regioni colombiane che ha subito con maggiore violenza l’impatto di questa scelta. E’, infatti, un’area ricchissima di terre fertili, di acqua, di minerali preziosi, di biodiversità e si trova in una posizione strategica di corridoio tra oceano Atlantico e oceano Pacifico e tra Centro e Sud America. A partire dal 1997, con la così detta “Operación Génesis”, e con successive ondate che proseguono ancora oggi, l’esercito, in particolare la Brigata 17, e le formazioni paramilitari hanno prodotto decine di migliaia di profughi interni e le terre così liberate sono state consegnate a imprese nazionali e multinazionali. Centinaia di migliaia di ettari sottratti alla produzione contadina per impiantare coltivazioni estensive di banane o di palma africana, allevamento su grande scala, estrazione mineraria, sfruttamento del legname pregiato, delle acque e di qualunque altra risorsa che possa dare profitti. Nel quadro generale del dipartimento Chocó va sottolineata la specificità dei territori dei bacini dei fiumi Curvaradó e Jiguamiandó, svuotati con la violenza dei loro abitanti e legittimi proprietari e illegalmente assegnati a grandi imprese come Urapalma, Palmura, Agropalma. Queste imprese su oltre ventimila ettari di terra hanno sviluppato la monocoltura della palma africana o “da olio”, dal cui frutto si ottiene il biodiesel, cancellando tutto ciò che esisteva prima: Paesi, strade, coltivazioni e grandi estensioni di foresta tropicale umida. Tutta l’area appare oggi come un grande “deserto verde”, un deserto dal quale sono sparite le grandi varietà di vita animale e vegetale che rendevano la zona uno dei polmoni dell’America Latina e in cui si sono prodotti mutamenti climatici, impoverimento delle risorse idriche, massicciamente utilizzate per l’irrigazione, e un gravissimo inquinamento dei terreni e dei fiumi per l’impiego indiscriminato di fertilizzanti e diserbanti.Si tratta di un caso esemplare, di una situazione che si sta diffondendo in molti altri paesi dell’America Latina ma anche dell’Asia e dell’Africa, risultato della nuova frontiera delle politiche energetiche del capitale multinazionale e dei paesi imperialisti, per continuare ad alimentare gli insostenibili consumi di Stati Uniti ed Europa: la parziale sostituzione dei combustibili fossili con i cosiddetti bio o agro combustibili, biodisel ed etanolo ottenuti dal frutto della palma africana come dal mais o dalla soia. Dietro la facciata di risorsa energetica pulita e rinnovabile, alternativa al petrolio e in grado di frenare l’effetto serra, gli agro combustibili prodotti su larga scala hanno già dimostrato di avere in realtà conseguenze sociali e ambientali devastanti: espropriazione della terra ai contadini; sottrazione delle terre alla produzione di alimenti; monocolture a forte impatto ambientale ed energetico; deforestazione e distruzione di biodiversità. Le popolazioni sfollate non sono rimaste in silenzio, da alcuni anni hanno cominciato un processo di presa di coscienza, di organizzazione e di rivendicazione che ha dato vita all’esperienza delle Comunità in Resistenza Civile, radicata ormai non solo nel Chocó ma in diversi dipartimenti del Paese. E’ un processo di lotta che combinando l’azione diretta, l’azione legale e l’appoggio internazionale, mette al centro la riappropriazione delle terre e delle risorse sottratte e la denuncia dei crimini subiti e dei loro responsabili per avere giustizia e riparazione integrale. E’ un processo segnato da sanguinosi tentativi di repressione e conseguentemente reso possibile dall’alto grado di determinazione, coraggio e sacrificio dei suoi protagonisti. E’ una lotta che, pur conservando elementi di fragilità e disomogeneità, dimostra però di essere in grado di rimettere in moto percorsi di organizzazione e di partecipazione di massa, proprio quelli che la politica del terrorismo di stato cerca, riuscendoci in parte, di cancellare. Sembra inoltre in grado di espandersi con altre decine di famiglie e di persone che, spinte dell’esempio delle comunità che hanno già intrapreso questa strada, prendono l’iniziativa, rompendo con anni di paura e di silenzio.Le Comunità ritornano nei territori dai quali sono state scacciate e danno vita a insediamenti delimitati e segnalati come Zone Umanitarie. Le Zone Umanitarie sono la forma di protezione dalla continua minaccia militare e paramilitare che le comunità hanno inventato per poter resistere nel territorio. Sono dichiarate come aree di esclusiva presenza di popolazione civile, nelle quali si vieta l’ingresso a qualunque attore armato (esercito, paramilitari e guerriglia) per evitare che il governo possa utilizzare la scusa del conflitto con la guerriglia per intervenire contro la popolazione.Le Comunità inoltre cercano di avere nelle Zone una costante presenza di accompagnanti internazionali come ulteriore elemento di difesa dalla repressione.L’esperienza delle Comunità in Resistenza Civile si configura come processo di riappropriazione di terra e di risorse, in primo luogo, ma anche di un tessuto sociale e culturale che lo sfollamento aveva spezzato. Su questa base la loro lotta sta riuscendo ad intralciare concretamente interessi e progetti dell’oligarchia colombiana e delle multinazionali, rifiutando le forme di sfruttamento delle risorse e delle persone proprie del modello neoliberista. Le Comunità stanno affermando nella pratica l’esistenza di beni comuni come terra, biodiversità, acqua, ecc. che non possono essere sottoposti a sfruttamento e appropriazione privata. Sulla base delle necessità imposte dalla lotta, l’esperienza dell’autorganizzazione e la necessaria autonomia dalle istituzioni dello Stato colombiano, hanno dato vita a relazioni sociali oggettivamente contrapposte e alternative a quelle capitalistiche: modi di gestire produzione e risorse fondati sulla solidarietà e la cooperazione, processi decisionali basati sull’assemblea e la democrazia diretta e, in alcuni casi, la capacità di autogestione dell’istruzione e della sanità. Si tratta, in sintesi, di un’importante esperienza di contropotere sul territorio che combina pratiche di autorganizzazione, capacità di resistenza e costruzione di alternativa, un coraggioso esempio di presa di parola da parte di soggetti che i poteri del capitalismo vorrebbero muti strumenti di profitto.Nell’analizzare la realtà delle Comunità in Resistenza Civile è necessario sottolineare il ruolo importantissimo che ha svolto e svolge l’organizzazione Justicia y Paz. La Commissione Interecclesiale Justicia y Paz è una realtà composta di laici e di ecclesiastici di base, ispirata alla Teologia della liberazione, nata alla fine degli anni ’90 come organizzazione di difesa dei diritti umani, per documentare e denunciare, di fronte alla giustizia nazionale e internazionale, i crimini commessi dall’esercito e dai paramilitari colombiani. Justicia y Paz ha avuto una funzione di supporto per gli sfollati ed ha aiutato le comunità che hanno deciso di ritornare e recuperare le proprie terre nell’organizzarsi e nell’individuare una strategia efficace. Tutt’oggi garantisce una presenza permanente di suoi membri nelle Zone Umanitarie, assicura un supporto legale ed è un importante tramite per le relazioni internazionali. Nell’insieme svolge un ruolo di coordinamento dell’intero processo a livello nazionale.
Nell’agosto del 2007, nel momento e nel luogo in cui sono state effettuate le interviste, si è realizzato un ulteriore avanzamento nella riappropriazione della terra. Gli integranti della Zona Umanitaria di Caño Claro e della Zona di Biodiversità di Cetino, nel dipartimento del Chocó, hanno recuperato una porzione di territorio illegalmente appropriato da alcune grandi imprese e seminato con palma africana. Nonostante ripetuti tentativi di intimidazione e di repressione hanno liberato dalle palme circa cinquanta ettari e su questi terreni hanno dato inizio alla semina delle colture necessarie all’alimentazione delle comunità: mais, riso, yucca, ecc. Questa azione si è realizzata con l’attiva e solidale partecipazione delle Comunità in Resistenza Civile di altre aree, tra cui CAVIDA, La Balsita, El Tesoro, El Guamo, ecc. dimostrando come ogni singola componente si senta parte di un processo complessivo fondato sull’appoggio reciproco.
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