Cooperazione internazionale dal basso: un obbligo morale e non solo

Intervento al IV Incontro Internazionale della Rete delle Alternativa contro l’impunità e la globalizzazione del mercato "Territorio e vita", Zugliano (Ud) settembre 2008, presentato da brigate di solidarietà e per la pace – italia, cooperativa agrícola nuevo horizonte  – guatemala, movimiento teresa rodríguez – argentina, red comunitaria informativa de cuba – cuba, rete multimediale di controinformazione – palestina

Contributo al gruppo 1 UN CONTRIBUTO SU RESISTENZA ED ESPERIENZE ALTERNATIVE DI GIUSTIZIA TRA LE COMUNITÁ E  POPOLI: “cooperazione internazionale dal basso”

1. dichiarazione

sul tema della resistenza e delle esperienze alternative, uno tra i temi fatti propri dal IV° Incontro Internazionale della “RED”, le organizzazioni ed i movimenti da noi rappresentati:
– Movimento Teresa Rodríguez, come portavoce del “Bloque Piquetero Nacional”, Argentina (Roberto Martino)
– Cooperativa Agrícola Integral Nuevo Horizonte, come portavoce della “Alianza por la Vida y por la Paz”, Guatemala (Eucebio Figueroa)
– Rete Multimediale di Controinformazione Panaraba, Palestina (Beesan Edwan e Shokri Hroub)
con l’accompagnamento di:  – Rete di Informazione Comunitaria, Cuba (Carlos Rafael Diéguez), Brigate di Solidarietà e per la Pace, Italia (collettivo);

hanno voluto dare un contributo specifico, sul quale poi sviluppare un dibattito ed una eventuale percorso comune. Più esattamente, la decisione di realizzare e portare questo contributo è stata assunta, oltre che da noi, da altre sei realtà di lotta presenti al “Primo Incontro Guevarista” tenutosi a Buenos Aires (Argentina) nel dicembre del 2007. Questo contributo -frutto di un reale lavoro collettivo di tutte le realtà che compongono il nostro tavolo- sviluppa una riflessione ed una proposta, su ciò che si conosce come COOPERAZIONE; uno degli strumenti di controllo e di egemonia utilizzato contro le classi subalterne, che il Nord del mondo ha progettato e sta applicando.Per noi, le ambiguità e le contraddizioni nelle quali la COOPERAZIONE NEOLIBERALE si muove, sono ormai mature per impegnarci a costruire un percorso che la superi e la sostituisca con una RETE di organizzazioni e movimenti popolari -dotata di comuni categorie d’analisi, scelte e ricadute progettuali- che chiamiamo “cooperazione internazionale dal basso”. Essa sarà polarizzata sulle comprensioni e sugli attacchi DELLE CAUSE e NON sulla smussatura e minimizzazione degli EFFETTI.Tale cooperazione non è solo “internazionale”. Esiste, con uguale se non peggiore nocività, nelle metropoli del Nord; ne tratteremo più avanti. Per evidenti rapporti di forza, per ora, la proposta di superamento ha un senso esclusivamente sul terreno, appunto, “internazionale”; cioè nel Sud del mondo.Il superamento della cooperazione, così come essa ci viene imposta, libererà grandi energie che incrementeranno l’autonomia decisionale e l’efficacia delle lotte delle organizzazioni e movimenti popolari del Sud del mondo per la loro libertà ed i loro diritti.Più in generale, CONSIDERANDO la situazione in cui le classi subalterne europee e nord americane si trovano, pensiamo di poter dire che queste nostre lotte sono anche un contributo per la loro liberazione, per il recupero dei loro diritti, per la riappropiazione dei beni collettivi  fondamentali  espropriati dai governi e dalle  forze economiche  del Nord.2. obiettivoAbbiamo proposto questo tavolo: “cooperazione internazionale dal basso: un obbligo morale e non solo”, con l’obiettivo di fissare da subito DOVE POSSIBILE un percorso tecnico e politico che consegni i fondi stanziati dai governi del Nord del mondo per “migliorare” le condizioni di vita, nei paesi “emergenti”, direttamente ai legittimi destinatari; ovvero ai movimenti ed alle organizzazioni popolari del Sud del mondo. ► Vogliamo che l’assegnazione delle risorse, destinate a mitigare i danni che le politiche neoliberiste ci causano direttamente, sia fatta direttamente a noi senza alcun intermediario che ne intercetti una parte (equivalente in generale e come minimo al  40%).  ► Vogliamo che la scelta di dove impegnare le risorse e di come, sia una nostra responsabile ed autonoma decisione; senza intermediari che ne impongano, con diversi strumenti, una distinta finalizzazione.Queste due richieste costituiscono la prima componente strategica prioritaria ed irrinunciabile della nostra complessiva proposta. Gli intermediari di cui abbiamo parlato, questi intermediari -meglio conosciuti come ong, organizzazioni non governative- stanno ormai, e sempre più, assumendo un ruolo, subordinato ma importante, nella riproduzione del modello neoliberista, dai cui più svariati  “rappresentanti” nazionali e non, ricevono le abilitazioni ad operare e le risorse senza le quali  non esisterebbero. Pur ricevendo abilitazioni e risorse proprio da chi genera ingiustizia, sfruttamento e povertà, le ong hanno dichiarato guerra a morte contro questi “flagelli” facendone motivo della loro nascita e della loro (infinita) esistenza.I risultati di questa “guerra a morte” li vedremo in seguito; anche se possiamo indovinarne gli esiti, vista la situazione nella quale lottiamo.È insomma giunto il momento sia per denunciare questa irresolubile contraddizione, che per costruire nuovi strumenti di cooperazione. 2.1. applicazioneAbbiamo premesso al punto precedente: da subito, DOVE POSSIBILE. Quello che noi possiamo dire in base alle nostre esperienze dirette, è che le condizioni presenti per applicare da subito la nostro proposta sono soddisfatte nelle realtà di lotta dei movimenti ed organizzazioni popolari latinoamericane e palestinesi. Le realtà ed i territori dell’iniziale applicazione sono dunque per noi: America Latina e Palestina. Le esperienze di “cooperazione internazionale dal basso”  che noi abbiamo sviluppato concretamente con alcune realtà organizzate, nella maggior parte antagoniste, del Nord, ci convincono delle grandi possibilità che si aprirebbero se riuscissimo a realizzare la nostra proposta, ovvero a recuperare un qualcosa che è nostro. 2.1.1. accompagnamento tecnicoLa stragrande maggioranza delle compagne e dei compagni delle nostre organizzazioni e movimenti, non hanno ricevuto e non riceveranno lezioni di economia, di agraria, di medicina o di ingegneria in qualche Università; questo è attualmente il nostro destino. Non sottovalutiamo, conseguentemente, il sicuro presentarsi di specifiche difficoltà all’interno della realizzazione tecnica dei nostri progetti ed abbiamo definito per controllare questo svantaggio, non fondamentale ma certo importante, una strategia che sia complementare a quella politica: l’accompagnamento tecnico. Un accompagnamento  finalizzato tanto alla  copromozione e alla coprogettazione di programmi e progetti autoprodotti, quanto  alla  assistenza nell’ iter  burocratico.Con accompagnamento intendiamo, anche,  la SELEZIONE e la SCELTA, esclusivamente nostre, di una “controparte” tecnica di nostra assoluta fiducia.Essa potrà anche provenire dal paese donante, quando la sua motivazione d’intervento risieda nella condivisione generale delle nostre lotte e sia volontaria, cioè gratuita. Quando invece l’accompagnamento sia fatto da tecnici amici esterni al paese donante, le modalità di collaborazione potranno essere diverse. Ne parleremo più precisamente nel punto 5.4. di “proposta operativa”.L’accompagnamento tecnico costituisce la seconda componente strategica strutturale della nostra complessiva proposta.  3. ong: implosione annunciataPer quanti sgambetti facciano le ong, dichiarando e protestando la loro indipendenza morale e politica, resta il fatto che esse dipendono totalmente dai propri finanziatori; sia per iniziare (l’abilitazione ad “esercitare”), che per continuare (i soldi, senza i quali, lo ripetiamo, non esisterebbero). Peccato, che siano proprio i loro finanziatori a generare strutturalmente (e non per errori correggibili) i disastri che ci uccidono. Sono loro, che con un occhio molto grande e molto aperto, esplorano il teatro operativo per esportarci, appena possibile, “i parametri democratici”: secondario che questa esportazione avvenga attraverso lo scambio ineguale, i trattati di rapina, le “guerre umanitarie”, le “guerre preventive”, le azioni militari “chirurgiche” contro “il terrorismo” ed “il narcotraffico”; e così via. E sono sempre loro che cercano poi di governare, questa volta con un occhio molto piccolo e semichiuso, con diversificati STRUMENTI ad hoc, gli effetti che derivano dall’imposizione dei loro “parametri democratici”. Tra questi strumenti, si trovano a pieno titolo le ong, veri “peones” dei governi del Nord, dell’Unione Europea e delle grandi istituzioni internazionali. Bisogna riconoscere che la capacità digestiva di questi “peones” è eccezionale: nati per la promozione della pace, della giustizia, della dignità, si adattano servilmente a sincronizzare il loro intervento all’estero con una guerra annunciata (certo, meglio se “umanitaria”), o con i piani di evirazione delle lotte popolari (dividendo, cooptando, corrompendo); ma non disdegnano, in patria, occuparsi dei“centri di permanenza temporanea” (cpt) / “centri di identificazionee espulsione” (cie) e della gestione (appaltatagli dallo Stato neoliberista) del cosiddetto “sociale privato”. Lo dimostreranno con chiarezza.Ecco perché parliamo di IMPLOSIONE. 3.1. cooperazione nelle metropoli del Nord UNA NECESSARIA PREMESSA: COSA INTENDIAMO PER SOCIETA’ CIVILELa definizione più semplice che abbiamo di società civile è ricavata in negativo: con questo termine viene designato tutto ciò che non fa parte dello Stato, che non opera come lo Stato, inteso come espressione dei diritti naturali dell’individuo e di  gruppi sociali che limitano e restringono la sfera del potere politico.Conseguentemente, ne deriva una idea di “società civile” come ambito contrapposto alle istituzioni politiche dove la sfera delle relazioni private tende a circoscrivere l’ambito dello Stato, ricavandone un rapporto di alterità.In Marx – Engels, “La sacra famiglia”, la società civile è da intendersi come una delle manifestazioni della società borghese.Gramsci approfondisce il concetto fino a concepirlo come momento etico politico, in cui la classe dominante esercita la sua egemonia attraverso la formazione del consenso e la affermazione della propria ideologia.La società civile viene ad essere quindi una imposizione a livello sovrastrutturale di una etica che è propria della classe dominante.Ed è questa l’accezione che assumiamo per “società civile” in questa SezioneDagli anni ’80 ad oggi, all’interno del mondo europeo e più in generale “occidentale”, il processo di ristrutturazione capitalistica si accompagna, tramite lo smantellamento dello Stato sociale, all’affermazione di due specifici strumenti “operativi” della società civile, le organizzazioni non governative (ong) per quanto concerne le relazioni internazionali e le cooperative sociali per ciò che riguarda la situazione sociale della metropoli. Questi strumenti sono promossi e finanziati dagli apparati dominanti. 3.1.1. ong –  cooperative sociali: una perversa analogia  nel controllo dei conflitti socialiLa tesi di fondo di questa Sezione è che la funzione politica delle organizzazioni non governative (ong) e  delle cooperative sociali sia la stessa: neutralizzare le contraddizioni politiche e sociali derivanti dall’estensione del modello capitalistico.Le ong sono lo strumento di cui i sistemi economico-politici del Nord del mondo tendono a servirsi nelle aree “esterne” al mondo occidentale, laddove sussiste una opposizione ed una resistenza all’attuazione dei disegni imperialistici. Le cooperative sociali sono lo strumento con cui il capitalismo controlla le contraddizioni “interne”  nella metropoli, contraddizioni inasprite ulteriormente dai fenomeni che la globalizzazione imperialista porta con sé, in primo luogo i flussi migratori trasnazionali.Questa analogia, ong / cooperative sociali, nel ruolo di pacificatori sociali è desunto dall’osservazione critica di alcune loro essenziali caratteristiche comuni: a) entrambi dipendono economicamente da organizzazioni superiori: possono essere Comuni, Province, Enti Nazionali, Stati Nazionali, Comunità Europea, Vaticano, Banche, etc. b) entrambi definiscono il proprio operato sociale, i propri “compiti”, non in autonomia; bensì conformandosi alle finalità dei propri “finanziatori”; chi più, chi meno, ma senza mai contravvenire alle direttive di questi organismi maggiori; c) entrambi si sviluppano enormemente negli anni ’80, portando avanti la tendenza antidemocratica della sottrazione dal controllo pubblico e collettivo di sfere decisive della vita e dell’ azione politica delle popolazioni. L’apparente “deregolamentazione” del Terzo Settore in realtà è il disciplinamento politico determinato dalle forze più potenti del Mercato; d) entrambi fanno propria quella retorica di tipo coloniale che riduce i concetti di “aiuto”- “sviluppo” – “solidarietà” – “dono” a un operato che è strutturalmente eurocentrico o occidentalcentrico, in quanto funzionale al modello dominante capitalista basato sullo sfruttamento e sulla mercificazione, vera CAUSA del malessere sociale.  L’astrazione di questi concetti dai rapporti di potere e dalla politica, l’accettazione acritica della propria condizione di superiorità, relega il “sociale” nel precostituito spazio del libero mercato, che esclude a priori il conflitto con i veri responsabili della subalternità sociale e delle condizioni di miseria di quegli enormi settori di popolazione su cui questi organismi lavorano. E’ appunto la rimozione teorica e  l’eliminazione strategica del CONFLITTO, quale concetto di autodeterminazione ed emancipazione, quale pratica di auto-organizzazione degli sfruttati, quale motore di vero sviluppo per le classi subalterne, a connotare fisiologicamente queste organizzazioni. La premeditata eliminazione del conflitto, che è la premessa dell’operato delle cooperative e delle ong, è il primo passo nella direzione di una pacificazione sociale dei deboli con i più forti. Il conflitto  viene sostituito da una nuova logica  non basata sulla partecipazione politica e collettiva ma su una serie di pratiche di “sussidiarietà” e di “volontarismo” che sono di fatto riassorbite nel circuito del profitto tramite appunto Terzo Settore ed ong.  Questi organismi sono riusciti, sino ad oggi, ad intercettare ed utilizzare le potenziali energie positive e le spinte al cambiamento della società. La critica non è quindi rivolta agli operatori, alla “base”, tout-court, ma al sistema di mercificazione dei bisogni e delle pratiche di solidarietà.  Tuttavia  sono proprio le grandi resistenze che avvengono quotidianamente, dalle rivolte nei  (cpt) d’Italia a quelle dei popoli latinoamericani o mediorientali, che ci mostrano quanto questa pretesa sia messa in crisi.  3.1.2. cooperative sociali: tra laboratorio di iper-precarietà e patologizzazione della differenzaLo sviluppo delle cooperative sociali e del no-profit, in generale, è sostenuto da molti come la soluzione per conservare, se non addirittura per migliorare, i livelli di assistenza socio-sanitaria in un contesto caratterizzato da continui e reiterati tagli alla spesa sociale a fronte di un aumento della richiesta di assistenza; addirittura lo sviluppo del settore è promosso come alternativa ad ulteriori processi di smantellamento e di privatizzazione pura e semplice. Siamo di fronte ad una mistificazione della realtà, ad un capovolgimento dei meccanismi e delle scelte che hanno determinato il successo della cooperazione sociale. Considerazioni – ad esempio nel caso dell’ Italia – che non appartengono solo alla dirigenza delle associazioni cooperative (Legacoop, Confcooperative e AGCI) ma che pervadono anche ampi pezzi della sinistra radicale e di movimento: nella cooperazione sociale si vorrebbe trovare un orizzonte di sviluppo “altro” rispetto al normale sistema imprenditoriale. Un vero mito autogestionario che non trova nessun riscontro nella realtà e che non può, specie nell’attuale contesto di crescente competitività e precarizzazione, trovare spazi materiali per proporsi.Non si tratta solo del fenomeno diffuso delle cosiddette “finte cooperative” (per definizione nate con l’esclusivo scopo di utilizzare le agevolazioni normative, contrattuali, previdenziali e fiscali); il fenomeno è più profondo ed ampio. Le origini delle cooperative sociali sono legate ad una parte della sinistra fine anni ‘70 che ha trovato nell’impresa sociale una risposta alla crescente disoccupazione intellettuale: medici, assistenti sociali, psicologi trovarono nella costituzione di cooperative rivolte all’assistenza socio-sanitaria-educativa una prospettiva di lavoro e anche di impegno politico-culturale. Le storiche caratteristiche di flessibilità e disponibilità tipiche della formula cooperativistica vennero esaltate tramite l’argomento dell’alta finalità sociale dei servizi gestiti e di una presunta migliore qualità intrinseca rispetto ai servizi gestiti direttamente dall’amministrazione pubblica, per definizione statalista e burocratica. Dal ruolo iniziale, in alcuni casi sperimentale e di nicchia, le cooperative sociali si sono trasformate, senza troppi incidenti o crisi di coscienza, in ottimi strumenti del processo di privatizzazione ed esternalizzazione della sanità e dei servizi sociali pubblici, divenendone anche promotrici attive. I sindacati concertativi ed i partiti hanno promosso il sistema cooperativistico anche per interessi diretti: dalla gestione di pezzi del settore cooperativo, alla vera e propria spartizione delle commesse pubbliche.L’affidamento dei servizi pubblici alle cooperative sociali, oltre ad essere incentivato dalle leggi, rappresenta una scelta dettata non solo da elementi immediati, come il minore costo del personale, ma anche da ragioni legate alla maggior flessibilità nella gestione dell’organizzazione del lavoro e soprattutto nella possibilità, al bisogno, di dequalificare, ridurre o chiudere servizi e interventi con minori resistenze e difficoltà. A questi elementi di “razionalità” aziendalista da parte degli enti pubblici si aggiungono ragioni legate alle varie clientele e alla spartizioni degli appalti tra aree politiche.Questi elementi hanno portato alla situazione attuale: sono tante le cooperative sociali che fatturano annualmente decine di milioni di euro, hanno centinaia di soci-lavoratori e operano su tutto il territorio nazionale. Questo non significa che le piccole e medie cooperative rappresentino una alternativa; anche queste ultime sono inserite nello stesso meccanismo: singolarmente o associate in consorzi riproducono le stesse dinamiche aziendali delle più grandi, pena l’esclusione dal mercato degli appalti e la conseguente chiusura. Che non siano le dimensioni a contare lo dimostra ampiamente la realtà delle cooperative sociali di tipo B (ai sensi della legge 381/91), dedicate al reinserimento di persone svantaggiate (dal settore delle dipendenze, al carcerario e alla psichiatria). Nel lavorare nelle cooperative di tipo B, sia come operatore “normale” che come “reinserito”, si arriva a limiti inimmaginabili: orari, salari e norme legalmente, contrattualmente e completamente derogabili. L’emergere della parte oscura del lavoro nelle cooperative sociali, il livello di precarietà e di sfruttamento, la diminuzione dei salari e l’aumento della flessibilità sono spacciati come marginali degenerazioni di un sistema che per definizione sarebbe comunque solidale; le responsabilità vengono spostate sulla committenza pubblica (enti locali e aziende sanitarie in gran parte) che viene accusata di avere un rapporto “arretrato” con il settore (da semplici fornitori), mentre la cooperazione rivendicherebbe, anche per sanare le già dette distorsioni, un rapporto di autentica “sussidiarietà”.La predominanza del rapporto associativo su quello lavorativo; la non applicabilità delle norme sui diritti sindacali e di tutela dai licenziamenti; i contributi previdenziali ridotti e differenziati provincia per provincia (cosiddetto Salario Medio Convenzionale); l’istituzione di flessibilità oraria e salariale elevatissimi, la predominanza del lavoro in appalto, l’elevata frammentazione territoriale dei lavoratori; la somministrazione del lavoro a chiamata e tutte le altre tipologie contrattuali “atipiche” che già erano di fatto presenti nelle cooperative sociali: tutto ciò ha adesso  trovato -nella incalzante applicazione della riforma Biagi- la sua piena legittimità. Questa precarietà produce effetti devastanti che si riflettono non solo sulle condizioni dei lavoratori ma anche sulla qualità/quantità dei servizi sociali e sanitari affidati alle cooperative sociali e al no-profit. L’ulteriore peggioramento del rapporto tra tempi di vita e di lavoro (e già oggi rileviamo fluttuazioni di impiego da zero a più di 200 ore mensili), con la riduzione dei salari diretti e indiretti, rendono il lavoro assistenziale-educativo-riabilitativo ancora più dequalificato e demotivato. Ancora un elemento di analisi: il limite basso dei livelli di regolarità dei rapporti di lavoro in questo settore non è il classico lavoro in nero ma il rapporto di “volontariato” che non è da considerarsi come un’attività libera e gratuita; nei servizi, con il consenso formale ed informale degli stessi enti committenti, la presenza dei volontari (pagati a rimborso con pochi euro l’ora) rappresenta l’esercito industriale di riserva del no-profit, la risorsa pronta all’utilizzo per affiancare e sostituire il lavoratore, con l’apparente mantenimento dei livelli di assistenza e di qualità dichiarati.Molte volte essere impiegati in una cooperativa sociale significa non avere un vero e proprio lavoro, significa essere impegnati saltuariamente e ricevere salari ancora più intermittenti. Le cooperative si riducono così ad essere strumento di smistamento di incarichi temporanei su commissione di Comuni, Province, aziende USL e ministeri. Il lavoro nelle cooperative sociali rappresenta una delle punte più avanzate sia dei processi di precarietà regolata e “concertata” sia di quella irregolare e “sommersa”. Una condizione di precarietà e di ricattabilità che impone al lavoratore sia forme di oppressione che di ordinaria omertà, se non complicità, di fronte al manifestarsi di casi di  “malasanità” e di abusi nei confronti di utenti e soggetti svantaggiati, prime vittime dei processi di smantellamento dei servizi e dell’aziendalizzazione del socio-sanitario. Le cooperative sociali, oltre ad essere un laboratorio di iper-precarietà, permettono il perpetuarsi dell’ideologia delle classi dominanti praticando una operazione di patologizzazione della differenza.Con ciò intendiamo uno svuotamento pratico e teorico del godimento di alcuni diritti fondamentali dell’uomo che determina l’esclusione dalla categoria di cittadinanza della parte di società più sofferente per le contraddizioni generate dal sistema capitalistico: di essa se ne fa carico in maniera paternalistica e utilitaristica il Terzo Settore. Lo Stato sociale, che aveva istituzionalmente il compito di garantire diritti collettivi, è involuto in una serie di pratiche assistenziali. Nascono così proposte di un selezionato nuovo assistenzialismo clientelare a carattere caritatevole indirizzato ai “nuovi miserabili”. Questo meccanismo assistenzialista trova applicazione nella mercificazione dei diritti sociali concretizzata dal lavoro delle cooperative sociali sugli “emarginati”. In questo senso vanno le proposte che sollecitano lo sviluppo di un sistema fondato sulla carità minima garantita a coloro che vengono definiti appartenenti all’“alta marginalità”, ovvero soggetti da tenere ai margini della società perché espulsi o mai rientrati nel ciclo produttivo: tossicodipendenti, senza casa, rom, diversamente abili sottoposti a trattamenti psichiatrici. Soggetti di cui prendersi cura per generare profitto, estraendo plusvalore dalla loro condizione, evitando contestualmente di lavorare per il loro riscatto sociale o la loro autonomia. L’operato delle cooperative è volto all’erogazione di “terapie sociali” che hanno come fine il controllo delle fasce più deboli della società. Ciò rende la classe subalterna ricattabile e condizionata dal potere, ed innesca fattori che favoriscono la conflittualità orizzontale fra le varie componenti sociali,  che porta ad un regolamento al ribasso del conflitto sociale e politico. Si realizza così anche un uso strumentale del Terzo Settore finalizzato alle regole dell’efficienza capitalistica con l’utilizzo dell’economia no-profit, della cosiddetta economia sociale che si sostituisce al ruolo dello Stato sociale.

3.1.3. un esempio: la gestione del cpt di gradisca d’isonzoIl cpt di Gradisca d’Isonzo cambia gestione e forse volto: il suo attuale appalto è stato infatti vinto dal Consorzio Connecting People di Trapani, una cordata di cooperative creata ad “hoc” solo  allo scopo di garantire l’amministrazione di questo tipo di strutture.
Con il nuovo gestore si rinnovano, naturalmente, le dichiarazioni di buoni propositi per una "gestione diversa", cosa quasi obbligatoria, visto che i cpt sono famosi, in Italia e nel mondo, non per la qualità della accoglienza, ma per il suo contrario. Ciò conferma che queste realtà della cooperazione e del terzo settore hanno fornito in questi anni il sostegno ai tentativi di rendere più legittima la presenza dei cpt teorizzando una loro "umanizzazione"; tesi che si è poi tradotta negli slogan del loro "superamento", come riportato anche nel programma elettorale del Governo appena caduto.Le stesse cooperative si sono tramutate in veri e propri paladini di questa "crociata umanizzatrice", e tutto sembra indicare che vivranno anche sotto i prossimi governi.
Una "umanizzazione" che, per quanto dato capire in questi primi giorni, si fonda sul doppio binario del pugno di ferro  in guanto di velluto. «Abbiamo fatto il prezzo giusto per la gestione di questo centro. Di sicuro non abbiamo intenzione di andare in perdita. In ogni caso non abbiamo vinto per questa voce. Abbiamo vinto per l’esperienza che abbiamo accumulato nel tempo. Il prezzo ha solo aggiunto punti al nostro progetto». Connecting People, attraverso sue società, indirettamente, si occupa già dei cpt di Cagliari, Trapani e Siracusa. «A Trapani siamo entrati all’indomani dell’incendio che provocò sette morti. Da allora quel luogo è cambiato molto». Parole del portavoce Connecting People Orazio Micalizzi, catanese, presidente della cooperativa "Enghèra" , aderente anche al consorzio CTM – Altromercato, nonché personaggio molto noto negli ambienti cattolici della cooperazione.  Lo stesso Micalizzi fa capire che la poltrona più importante all’interno del cpt, quella del "responsabile", non sarà sua, ma andrà a Vittorio Isoldi, pensionato da poco, ma ex-vice  Comandante della Brigata di Cavalleria "Pozzuolo del Friuli", nonché vice comandante del contingente italiano in Libano – UNIFIL, un militare esperto e di carriera, un tempo esponente dell’UDC, che a scanso di equivoci dichiara: «Per me è una sfida interessante. Mi impegnerò per garantire il benessere degli ospiti. Bisogna pensare al loro tempo libero perché ne hanno molto. Ci vogliono però i fondi». Una scelta niente male per chi vorrebbe, ancora, nonostante tutto, vendere una immagine dei cpt come spazi di accoglienza e mette alla sua guida un militare.   “I cpt non sono strutture "riformabili" o "umanizzabili". Quelli che in passato e che ancor oggi pensano di poter intervenire in maniera "riformista" su questi centri sono degli illusi. I cpt possono funzionare solo in questo stato; l’alternativa  è smantellarli totalmente». Questo è quanto dichiarato dai movimenti antirazzisti e dalle associazioni che si battono da anni contro queste strutture. Forse ora sarà più chiaro, a molti, quanto una struttura come quella del cpt sia un corpo totalmente estraneo in un territorio di frontiera com’è il Friuli Venezia Giulia. Sicuramente sarà sempre più difficile convivere con una delle strutture detentive più grandi d’Italia, al servizio delle politiche nazionali e internazionali di contrasto e contenimento del fenomeno migratorio. (Rielaborazione libera di informazione tratte da: "Redazione Melting Pot" – Friuli Venezia Giulia) 3.2. cooperazione nel sud del mondo: il fallimento dell’aiuto allo sviluppo riconosciuto da chi lo ha  “inventato” e da chi lo “gestisce”Quando, nel 1992, il processo d’implosione della cooperazione era ancora nascosto dall’euforia neoliberista del “fine della Storia”, un conosciuto e famoso giornalista italiano, si affrettava ad argomentare nel  programma -“MIXER nel mondo”- di cui era conduttore: “l’Argentina sta uscendo dal tunnel … siamo in presenza di un miracolo argentino; dalla fine del regime militare e per tutto il periodo del governo del dottor Alfonsín l’Argentina aveva attraversato un periodo di crisi quasi inarrestabile. Oggi tutto questo è cambiato. Con l’arrivo del presidente Carlos Menem, e della sua equipe economica, la strategia fondamentale, applicata senza tentennamenti,  è stata quella della lotta all’inflazione. Sono state privatizzate tutte le aziende ed imprese in mano dello Stato: ferrovie, metallurgia,   petrolio, gas, porti, compagnia di bandiera … è vero, la cura non è stata indolore … i costi dei servizi sono aumentati, i licenziamenti sono arrivati a decine di migliaia … ma l’Argentina è uscita dalla crisi, è fuori dal tunnel.Un vero super boom; ma certo, non proprio per tutti. Le fasce più deboli, gli abitanti delle “villas miseria”, centinaia di migliaia di argentini, si trovano in una situazione molto difficile. Ma per loro, sta rimediando la Cooperazione internazionale e soprattutto quella italiana”. Il 2001 argentino si è trovato nell’incresciosa circostanza di dover smentire il conosciuto e famoso giornalista. L’implosione comincia a manifestarsi in tutta la sua evidenza e gli addetti ai lavori, cioè tutti coloro, persone ed istituzioni, che di cooperazione in qualche modo vivono, si trovano inevitabilmente nella necessità di cambiare radicalmente tono. La “critica” all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, allo scopo di poterne prolungare la vita, non può, dunque, essere più procrastinata.Vediamo alcune di queste “critiche”, sempre associate, per lo scopo prima detto, a fideistiche quanto impossibili “auto-assoluzioni”. La loro inconsistenza logica è talmente evidente che confina con il paradosso, con il ridicolo. La cosa potrebbe assumere  aspetti “divertenti” se non fossimo noi gli oggetti di queste “riflessioni”.  Tra le decine di migliaia di binomi, “critiche”/“auto-assoluzioni”, abbiamo considerato i seguenti, “partoriti” tra il 1993  ed il 2007:  – CONTRADDIZIONI STRUTTURALI E NON:● “… le ong sono in competizione per le poche risorse disponibili, in competizione per i contratti con gli organismi internazionali, in competizione per apparire sui media. Filosoficamente, siamo alla bancarotta …” (Società Civile Globale, Annuario, Oxford, 2001) ●“… la globalizzazione neoliberista produce meccanismi e processi di crescita delle povertà e delle disuguaglianze tali, per cui le politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo rappresentano un semplice palliativo ed il contributo che a esse le ong possono fornire è una mera testimonianza …le politiche economiche e finanziarie globali producono quelle conseguenze (povertà e disuguaglianze) che “l’aiuto” dovrebbe debellare …” (Giulio Marcon, 2002) ●“… i redditi dei 500 individui più ricchi del mondo è superiore a quello totale di 416 milioni dei più poveri …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) – COMMERCIO INTENAZIONALE, TRUFFE, PROFITTI, SUBALTERNITÀ:● “ … mettendo in relazione aiuti internazionali, politiche economiche e crescita del prodotto interno lordo pro-capite, in 56 paesi osservati nel periodo 1970-1993 resta dimostrato che l’aiuto ha seguito soltanto gli interessi propri dei paesi donatori …” (Banca Mondiale, AID, 1997) ● “ … si è generata una spirale perversa: si prestavano i soldi ai paesi in via di sviluppo che invece di essere spesi per lo sviluppo venivano utilizzati per l’acquisto delle eccedenze occidentali che, rivendute sul mercato interno, provocavano la distruzione dei prezzi dei prodotti agricoli autoctoni, facendo entrare in crisi tutto il sistema agro-alimentare interno. Per non ricordare la voragine del debito, che si allargava …ha una logica questa spirale perversa? … si, è quella dei profitti e degli interessi dei paesi ricchi …” (Giulio Marcon, 2002) ● “ … tutte le ong italiane hanno un problema di identità: la trasformazione “professionistica” e imprenditoriale, la dipendenza dalle istituzioni ( … dipendono per l’80%, 90% dai fondi pubblici) e la perdita di radicamento nella società civile … agli appuntamenti di politica internazionale che hanno fatto scattare la mobilitazione e la solidarietà popolare, molte ong sono arrivate tardi …non per orientare ed influenzare queste mobilitazioni …ma per ricavarne progetti da presentare ai donatori …” (Giulio Marcon, 2002) ●“… Il commercio internazionale è stato uno dei motori più poderosi della globalizzazione. Le relazioni commerciali sono cambiate: si è registrata una notevole crescita dell’esportazione manifatturiera dei paesi emergenti … Nonostante questo, le disuguaglianze strutturali sono sempre presenti ed in alcuni casi si sono addirittura ampliate …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) – IL PARADOSSO DEL NUOVO ACHILLE (COOPERAZIONE) E DELLA NUOVA TARTARUGA (POVERTÀ) ●“… Quindici anni fa, la prima “Relazione sullo Sviluppo Umano” del PNUD anticipava un decennio di progresso rapido. “Gli anni novanta” prediceva con ottimismo il documento “si profilano come il decennio dello sviluppo umano, dato che poche volte si è avuto tanta unanimità rispetto agli obiettivi reali della strategia per lo sviluppo”. Oggi, come nel 1990, vi è consenso rispetto allo sviluppo; fatto espresso con grande convinzione nelle relazioni del Progetto del Millennio del Nazioni Unite …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… Cinque anni fa, all’iniziare il nuovo millennio i governi del mondo si riunirono per fare una straordinaria promessa alle vittime della povertà mondiale. Firmarono, alle Nazioni Unite, la Dichiarazione del Millennio ovvero un compromesso solenne “per liberare i nostri simili, uomini, donne e bambini, dalle condizioni abiette e disumane dell’estrema povertà”. Da questa Dichiarazione  derivavano gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che assumevano come impegni irrinunciabili: ridurre alla metà l’estrema povertà, ridurre la mortalità infantile, garantire l’educazione a tutti i bambini e bambine del mondo, ridurre la quantità di malattie infettive e forgiare una nuova alleanza mondiale per ottenere concreti risultati. La scadenza veniva fissata nell’anno 2015 …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… Oggi non vi sono grandi motivi per essere allegri in relazioni alle mete propostesi …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… Quest’anno 2005 rappresenta, perciò, il bivio. I governi del mondo sono posti dinanzi a differenti alternative. Una di esse è approfittare l’opportunità e trasformare l’anno 2005 nell’inizio del “decennio a favore dello sviluppo”. Se si realizzano oggi gli investimenti previsti e si mettono in marcia le politiche necessarie per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio potremo ancora farcela. Però non ci resta molto tempo …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) – L’ELENCO DEI DISASTRI:●“… ogni ora che passa muoiono, a causa della povertà, più di 1200 bambini; una tragedia che non fa notizia …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… la forbice della speranza di vita … è una delle disuguaglianze più fondamentali. Oggi chi vive in Zambia ha meno probabilità di arrivare a 30 anni di un individuo che nasceva in Inghilterra nel 1840; e la forbice continua ad aprirsi …” (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… la disuguaglianza dei redditi è in crescita in quei paesi che rappresentano l’80% della popolazione mondiale. Questo tipo di disuguaglianza deriva in parte dal vincolo tra relazioni di distribuzione e livelli di povertà …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“…  in poche parole, il mondo si incammina verso un disastro in materia di sviluppo umano, un disastro annunciato in anticipo ed il cui costo si calcolerà in morti evitabili, bambini, senza educazione e opportunità perdute per ridurre la povertà …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… a partire dalla crisi alimentare derivata dagli “agro-combustibili” vi sono 10 milioni di poveri in più in America Latina …” (PNUD, 2007)   – L’AUTO-ASSOLUZIONE E L’IMPROBABILE  REDENZIONE FUTURA:● “ … la cooperazione risulta essere, in estrema sintesi, atto dovuto e nel contempo modalità da superare, strumento di cui mutare  radicalmente segno … è questo il nuovo ruolo che dovrebbe ricoprire: redistribuzione del reddito e garanzia della sicurezza sociale per tutti, in una strategia nella quale tutti sono impegnati …” (Cooperazione, Inganno per i poveri, 1993) ● “ …possibilità di riforma e rinnovamento esistono: ma questo significa rimettersi in discussione, interrogarsi apertamente, sperimentare scelte impegnative (e dolorose) di auto-riforma, aprire un conflitto all’interno …” (Giulio Marcon, 2002) ●“… l’Aiuto alla Sviluppo è una delle armi più efficienti nella guerra contro la povertà. Oggi quest’arma non è ancora usata al meglio, non è diretta in maniera efficiente e deve essere riaffilata. Riformare il sistema di assistenza internazionale è un requisito fondamentale per riprendere il giusto cammino per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“…Rendere la cooperazione internazionale più efficiente, significa contribuire ad eliminare gli ostacoli che rappresentano i conflitti armati per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e creare così le condizioni per accelerare lo sviluppo umano e raggiungere una vera sicurezza mondiale …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) ●“… quando gli storici dello sviluppo umano si guarderanno indietro, considereranno l’anno 2005 come un momento cruciale della Storia. La comunità internazionale ha l’opportunità, mai prima vista, di generare politiche e risorse che potranno trasformare i prossimi 10 anni in un vero decennio a favore dello sviluppo …”  (“Le ong ad un bivio”, Relazione sullo Sviluppo Umano, Programma delle Nazioni Unite per la Sviluppo ( PNUD), 2005) 3.2.1. incontro con due responsabili d’Area di una ong italianaDopo quanto detto, o meglio confessato, dai distinti attori della cooperazione internazionale, si sarebbe potuto immaginare una affannosa rincorsa, come profilo di minima dignità, alla chiusura delle “botteghe”, cioè dell’ultimo anello (le ong) di questa fallimentare “filiera”. Naturalmente non è così. Anzi, per quanto incredibile, tra le ong ve ne sono alcune che auto-certificano la propria vocazione alla “radicalità”. Posizione che esse ritengono dimostrata in base ad alcune incompatibilità politiche, con le istituzioni finanziatrici, che avrebbero reso impraticabili alcuni programmi di cooperazione. A Firenze ne esiste (almeno) una di questo tipo, di dimensioni medio-grandi. Interviene in Africa, America latina, Asia, Mediterraneo e Sud Est Europa.Abbiamo intervistato, nel maggio 2008, due suoi responsabili d’area (America Latina e Mediterraneo-Balcani).NODI STRATEGICI: gli aiuti pubblici devono aumentare (per quanto riguarda l’Italia si deve arrivare al 7‰ del PIL); ma anche quelli privati, che però non devono essere visti come sostitutivi di quelli istituzionali;METODO: i progetti nascono da una analisi interna alla ong; anche a fronte di situazioni specifiche sorte nel paese d’intervento ed alla relativa disponibilità di risorse. Dopo una riflessione politica, viene inviato un responsabile operativo nel luogo dove si vuole concretamente realizzare il progetto. OBIETTIVI SUL TERRENO: la permanenza delle ong deve essere incernierata sulla STABILITÀ; cioè, l’intervento deve continuare ininterrottamente, il rapporto con il “partner” non deve cessare. Per questo è necessario aumentare il personale all’estero e relative strutture d’appoggio.CORRIDOI POLITICI: è essenziale una condivisione politica con il “partner”; imprescindibile comunque anche una intesa, un rapporto con il governo e le istituzione del paese ove si interviene;FORMAZIONE IN ITALIA-EUROPA: realizza programmi di educazione allo sviluppo, all’antirazzismo, all’interculturalità e per la difesa dei diritti fondamentali.4. spiegateci Cuba, allora …Cuba è un’isola abitata da meno di 12 milioni di persone. L’odio viscerale che gli SUdA manifestano apertamente verso il legittimo governo cubano, il blocco commerciale totale che applicano contro il popolo  cubano, gli atti di terrorismo e di aggressione con i quali colpiscono il popolo cubano anche per impedire il suo sviluppo economico, SONO NOTI.La maggior parte dei governi esistenti, del Sud o del Nord, non riuscirebbe a terminare 12 mesi di amministrazione se ricevessero, da coloro che restano tra i maggiori nemici dell’umanità, un equivalente trattamento.EPPURE, il popolo ed il governo rivoluzionario cubano, non si sono limitati a resistere ma hanno raggiunto livelli di eccellenza in settori fondamentali[1]: mortalità infantile, nutrizione, aspettativa di vita, livello e qualità d’istruzione …PERCHÉ questo non succede in Messico, Guatemala, Colombia e giù, giù sino a Capo Horn “girando” poi ad est e risalendo l’Africa …PERCHÉ, limitandoci alle affermazioni del PNUD per l’America Latina, in questa regione che produce una quantità di alimenti sufficiente per una popolazione tre volte più grande di quella attuale, la denutrizione è una calamità di massa e la morte per fame è fortemente presente nella maggior parte degli Stati che la compongono.Paesi, Regioni, Continenti, dove massiccia è le presenza di ong; non dunque, sempre nell’ottica della cooperazione internazionale, situazioni “abbandonate”, ma “seguite ed accompagnate” da decenni.Allora, a maggior ragione, PERCHÉ.La risposta non si trova in una formula verbale. Ma per quanto complessa sia, essa ruota sul fatto che sono le relazioni di produzione a definire e polarizzare le relazioni di distribuzione: NON SI PUÒ DISTRIBUIRE indipendentemente da come si produce, ovvero, appunto, dalle relazioni di produzione. La distribuzione dei mezzi di consumo è, in ogni momento, un corollario delle condizioni stesse di produzione. Insomma, la ricerca di una nuova distribuzione della ricchezza a favore delle classi subalterne –eliminazione della povertà e delle crisi- ha un senso solo se si “metterà mano” alle relazioni di produzione. È quello che Cuba ha fatto e questo spiega la differenza.Esattamente per questo, Cuba, dopo la dimostrazione inequivocabile della impercorribilità del “socialismo di stato”, si trova attualmente nella condizione storica di costruire nuove e reali  relazioni di produzione socialiste; il loro raggiungimento, la loro costruzione non è però garantita da una evoluzione spontanea, già determinata. Sebbene Cuba abbia sempre contato sulle proprie forze, è questa una sfida che ci riguarda tutti direttamente. È, storicamente, un momento fondamentale della lotta, che, come classi subalterne, stiamo implementando per la nostra emancipazione. 5. proposta operativaI quattro punti che compongono questa Sezione, portatori di  efficacia ed efficienza, non sono “ingenui”. Sono l’elementare conclusione del “sillogismo della cooperazione neoliberale”, come potrebbe chiamarsi . Il classico “uovo di Colombo” che non si è voluto mettere in equilibrio statico stabile per quanto sopra analizzato. 5.1. sullo stato dell’arte della tecnologia utilizzabileLa possibilità, da parte delle nostre organizzazioni e movimenti, di un’autogestione dei fondi della cooperazione internazionale allo sviluppo non è basata SOLAMENTE sulle necessità e sulle volontà politiche di spazzare le strutturali sue contraddizioni ed ambiguità che finiscono per rafforzare le cause che essa dice di voler contrastare, MA ANCHE sullo stato dell’arte della tecnologia complessiva da noi utilizzabile, sulla maturazione dei saperi collettivi delle classi subalterne del Nord e del Sud: comunicazione a distanza in tempo reale; procedimenti di calcolo e metodi di direzione per la pianificazione autoprodotta; programmazione e controllo dei progetti; metodiche di contenimento entropico dei più svariati processi produttivi della  infrastrutturazione indispensabile, dei beni ecologici fondamentali; e inoltre  modalità di utilizzo di tecnologie appropriate, non nocive, basate sulla semplicità operativa e sulla predominanza del lavoro vivo sul lavoro morto (macchine);  difesa della biodiversità, risparmio nell’ uso di  materia ed energia; il  tutto in un contesto di esistenza e di facile acquisizione di software validato, funzionale alle gestioni più articolate e flessibili delle succitate categorie sempre associate alla realizzazione di interventi reali.  Possiamo dunque, pensando globalmente l’accompagnamento tecnico (vedi i punti 5.4.1. e 5.4.2.), accettare con convinzione la sfida delle competenze dei saperi che l’autogestione dei fondi chiaramente implica.  5.2. sulle modalità di finanziamentoLe nostre organizzazioni e movimenti popolari, invitando altre realtà in lotta ad unirsi alla costruzione di questo percorso, attraverso la presente bozza di proposta operativa: – DICHIARANO alle istituzioni finanziatrici della cooperazione internazionale di ritenere superata ed incoerente  la gestione dei fondi del cosiddetto “Aiuto Pubblico allo Sviluppo”; fondi destinati nominalmente dai governi dei paesi ricchi ai paesi cosiddetti “emergenti” allo scopo di diminuirne la povertà. Pur essendo coscienti che questi fondi non possono e non potranno eliminare il male che dicono di voler combattere, esiste però la convinzione della concreta possibilità di poterne aumentare esponenzialmente efficacia ed efficienza. L’aumento dell’efficienza passa unicamente dal riconoscere alla organizzazioni e movimenti popolari: a. il diritto alla consegna diretta, senza intermediari, dei suddetti fondi;b. il diritto alla gestione generale dei suddetti fondi in modo totale ed esclusivo;c. il diritto alla decisione di impiegare i suddetti fondi dove e come ritenuto prioritario; ovvero all’autonoma decisione di scegliere ed implementare propri progetti senza condizionamenti diretti o indiretti. – ASSUMONO la necessità di normare un procedimento di richiesta di finanziamento di cui enucleano un percorso: a. creazione di un ARCHIVIO delle organizzazioni e movimenti popolari con PERSONALITÀ GIURIDICA che aderiscono a questa proposta operativa. Ogni unità afferente realizza una sua matrice identificativa: storia, interventi progettuali realizzati, pianificazione degli interventi futuri e risultati aspettati.b. presentazione del progetto di cui si richiede il finanziamento, della matrice identificativa del movimento e di quella dell’ACCOMPAGNATORE TECNICO (vedi punto 5.4.) al possibile ente finanziatore (sede centrale e periferica).c. dichiarazione previa di accettazione di un protocollo d’intesa tra le parti coinvolte nel progetto: organizzazione o movimento; ente finanziatore; Stato di appartenenza (rispetto normative sul flusso finanziario, etc.); eventuale verifica finale sulla congruità complessiva del risultato: utilizzazione risorse finanziarie e realizzazione mete previste. d. definizione, nel medio periodo, di una “RETE della cooperazione internazionale dal basso” delle organizzazioni e movimenti popolari che facciano propria la proposta operativa al fine di maggiorare l’efficienza politico-economica delle risorse gestite (vedi punto 5.3.). 5.3. sulle categorie progettuali da implementareLe nostre organizzazioni e movimenti popolari implementeranno solamente progetti che abbiano per obiettivo l’attacco alle cause, e non agli effetti, di povertà ed emarginazione;  sempre mantenendo la valutazione reale del loro peso specifico rispetto all’obiettivo dichiarato. Per fissare le idee, tra le molte e distinte categorie progettuali, ne indichiamo alcune:  a. percorsi formativi mirati, tecnici e politici, da svilupparsi  su contenuti e metodi indicati dalla organizzazione o movimento;b. programmi auto-sostenibili, a livello di quartiere, nel settore della salute;c.  programmazione degli interventi con attenzione massima alla difesa della biodiversità e dei saperi anche produttivi  tradizionali  delle popolazioni locali rurali e urbane;  basati  sulla  sovranità territoriale ed energetica;d. produzione di alimenti per auto-consumo (sovranità alimentare) ed in generale di oggetti di valore d’uso, materiali o culturali, ANCHE per lo scambio interno alla “RETE della cooperazione internazionale dal basso” secondo le indicazioni di quella che può chiamarsi “economia guevarista”. Vogliamo sottolineare con forza, come un fattore comune, degli esempi fatti sulle possibili categorie progettuali, SIA IL RIFIUTO di utilizzare la legge del valore; il rifiuto, cioè, ad auto-costruirsi e misurarsi come una unità in più di produttori di merci, dipendente e subordinata al potere del “libero” mercato, PER, INVECE, DIVENIRE un riferimento nel percorso del superamento del salario e della produzione di merci, due delle tre imprescindibili condizioni per lo sviluppo (ed anche per il ritorno) al capitalismo. La terza condizione, la proprietà privata dei mezzi di produzione, dei beni comuni  e dei servizi comuni è, OGGI, solo “una dichiarazione legale” basata sui rapporti di forza.  5.4. sull’accompagnamento tecnico ai progettiNella presente Sezione si enunciano sinteticamente due distinti tipi di accompagnamento. Come detto nel punto 5.2., le caratteristiche e gli obiettivi che esso possiede e risolverà rispettivamente, saranno dettagliati nella richiesta di finanziamento.  5.4.1. realtà “hermanas” del NordLa nostra propria esperienza, incernierata sulle considerazioni espresse nel punto 5.1., dimostra che all’interno di organizzazioni e movimenti popolari del Nord del mondo, esistono figure con distinte competenze che possono concretamente intervenire nella risoluzioni dei problemi tecnici sorti in progetti da noi decisi e realizzati; problemi che sempre sorgono nell’implementazione di qualunque intervento. Tutti questi interventi di tecnici amici sono sempre stati slegati ed esterni ad ogni tipo di remunerazione; solo motivati sia dalla comune volontà di cambio sociale, che dalla condivisione dei nostri obiettivi e metodi.La nostra “proposta operativa” riafferma la necessità di continuare ed incrementare questa fondamentale ed insostituibile esperienza, da noi definita ACCOMPAGNAMENTO TECNICO. Nel contesto che progettiamo, ci troviamo però nella necessità di strutturarla con maggior definizione.Proponiamo che l’ACCOMPAGNAMENTO debba visibilizzarsi -in modo del tutto equivalente a quanto proposto per noi stessi- mediante la costituzione di un Archivio nel quale, oltre alle singole matrici identificative siano chiaramente specificate le relative competenze tecniche e disponibilità temporali che l’organizzazione o movimento del Nord possiede. Oltre, però, all’ACCOMPAGNAMENTO TECNICO sul terreno di operazioni, le realtà “hermanas” del Nord, svolgono un ruolo insostituibile nella metropoli per quanto riguarda la promozione e elaborazione collettiva e comune dei progetti, il loro controllo dell’iter burocratico del progetto da noi presentato, della loro promozione politica e del coordinamento generale. Sottolineiamo nuovamente, come l’ACCOMPAGNAMENTO TECNICO sia caratterizzato, aspetto fondante ed imprescindibile, dalla assenza di corresponsione monetaria per prestazioni tecniche o burocratiche. 5.4.1.1. per un nuovo volontariato rivoluzionario Al di fuori delle organizzazioni e movimenti del Nord, che assumono la necessità del cambio sociale, del superamento del modello di governo attualmente dominante, sappiamo che tante, tantissime persone, donne ed uomini, donano generosamente il loro tempo, il loro sapere perché nel Sud del mondo si possa vivere in un modo migliore. A loro diciamo: costruiamo un nuovo volontariato rivoluzionario; costruiamo da protagonisti nuove relazioni dirette tra di noi; lavoriamo per eliminare le cause -e non per rafforzarle, vostro malgrado- della povertà del Sud, che sono poi, in forme distinte, le stesse che attanagliano e rendono precaria e convulsa la vostra vita e  i nostri territori. 5.4.2. realtà “hermanas” del SudCome abbiamo detto alla fine del punto 2.1.1., non limitiamo l’accompagnamento tecnico alle realtà popolari del Nord, o a un futuro volontariato rivoluzionario. Tutto il mondo, e noi tra gli altri, conosce la solidarietà di Cuba e il suo enorme potenziale scientifico e culturale. Pensiamo che l’aiuto di tecnici e professionisti cubani, risulti per noi utilissimo; ma anche interessante, nella misura del nostro peso, al processo rivoluzionario cubano, nel contesto delle riflessioni sviluppate al punto 4.. Naturalmente per i professionisti e tecnici cubani si parlerà di remunerazione; quantità e modalità di questa saranno definite con l’istituzione cubana dalla quale essi/e provengono.


[1] Questi livelli, nel caso di Cuba di eccellenza, nel caso di altri paesi del suo contrario, sono normati dalle Nazioni Unite attraverso i cosiddetti Indicatori dello Sviluppo Umano (ISU)