CONTRIBUTO “BRISOP-ITALIA” AL V° INCONTRO DEL COORDINAMENTO GUEVARISTA INTERNAZIONALISTA. Buenos Aires 11-12 febbraio 2012.

PARTE PRIMA.

 

ANALISI:

▪ attuale fase europea, con cenno ai fattori storici che l’hanno prodotta;

▪ sua proiezione in Medio Oriente

 

1. Crisi del capitalismo o crisi capitalista?

 

Una definizione quanto più possibile chiara delle cause per cui si sta consumando questa crisi economica a livello planetario è fondamentale per poter costruire percorsi di opposizione e resistenza.

In questa fase all’ acuto dissesto a livello globale delle infrastrutture del capitalismo (istituti bancari, associazioni tra stati, singoli governi e imprese) e alla loro capacità di fare sistema, non ha corrisposto un indebolimento dei regimi democratico-liberisti: l’aggressività del capitale e dei suoi più diretti beneficiari si è fatta ancor più brutale e cinica nei confronti delle classi proletarie a qualsiasi latitudine. Questa volta però la portata della crisi, nata esclusivamente all’interno delle politiche neo-liberiste, accettate o imposte in ogni angolo della Terra negli ultimi trent’anni, si è rivolta anche contro le fasce medie della popolazione dei paesi sviluppati, USA e Europa in particolare, che generalmente hanno sempre beneficiato di politiche statali di tipo assistenzialista, populista o socialdemocratico: briciole frutto dell’iniquo scambio tra Nord e Sud del mondo, benessere diffuso e paternalisticamente distribuito per giustificare l’arricchimento e il dominio di una rapace minoranza sul resto della popolazione mondiale. Un benessere che adesso in un momento di crisi economica le élite finanziarie non sono più disposte a condividere.

 

La forza del neoliberalismo sta nella capacità ideologica di fare da ponte e giustificare contemporaneamente sia il capitalismo da sfruttamento, quello dell’estrazione di plusvalore dalla forza lavoro, sia quello, inedito nelle forme, di rapina senza produzione, basato sull’espansione indefinita del debito. Il coordinamento tra le due componenti è nella realtà sempre più fitto: le corporation industriali investono massicciamente in attività finanziarie; i maggiori fondi comuni, dietro cui spesso si trovano delle banche, sono a loro volta i possessori del 50% delle azioni di società operanti in attività produttive. Ma la distinzione concettuale ha un suo fondamento, anche perché contribuisce a definire la capacità di elasticità e adattamento che il sistema ha raggiunto.

 

L’ideologia neo-liberale ha avuto la capacità di essere il cuneo che ha travolto pesantemente le condizioni di lavoro di vastissimi strati del proletariato e della piccola borghesia, attraverso una

ristrutturazione complessiva della legislazione sul lavoro e del welfare. Ciò ha significato una maggiore possibilità di estrazione del plus-valore, a danno della classe operaia, mentre ha intaccato i processi di redistribuzione di cui aveva fino a quel momento goduto la parte più bassa e numerosa della borghesia. La giustificazione “scientifica” di questa operazione a vasto raggio sarebbe l’efficienza del mercato che avrebbe permesso una migliore allocazione della forza lavoro, garantendo quello sviluppo che la stagflazione degli anni ’70, si diceva, aveva bloccato.

 

La situazione reale che si è prodotta è sotto gli occhi di tutti. Nei paesi OCSE, il 10% della popolazione che prima del 1980 concentrava il 30% del PIL, oggi arriva al 50%, mentre la parte residua è disugualmente divisa tra il rimanente 90%. Il welfare, che era l’oggettivazione sia di un certo capitalismo, sia la cristallizzazione dei rapporti tra le classi, è investito di continui pesantissimi attacchi. Le privatizzazioni servono da una parte per fare cassa, coprendo i debiti delle banche e dall’altra per esporre sempre più aspetti della vita delle persone alla speculazione finanziaria. Un debito che a ogni sua inevitabile esplosione viene contabilizzato in enormi profitti per una parte esigua della popolazione mondiale. Le banche, persa ogni loro significativa funzione di intermediari tra il risparmio e l’investimento, sono agenti moltiplicatori della redistribuzione verso l’alto della ricchezza mondiale. Le grandi imprese, sempre meno aperte all’azionariato diffuso, che va riducendosi nel corso del tempo, si alimentano direttamente attraverso forme di autofinanziamento. L’intero processo invece di configurare un momento di debolezza, una reazione alla caduta dei profitti, che in verità erano stati relativamente contenuti in tutta la fase che va dal 1960 al 1980, si svela come un consolidamento di una classe che appare ora come ora più salda che mai.

 

Considerare la crisi che sta investendo gli attori e gestori del capitale come una crisi del sistema potrebbe portare a sottovalutare la repressione, che subiscono miliardi di persone, come un colpo di coda di un corpo agonizzante. La capacità di imporre su scala globale la supremazia di organismi finanziario-economici transnazionali dimostra il contrario. Questa crisi capitalista e la possibilità di scaricarne le conseguenze più disastrose sulle popolazioni, senza veder per questo intaccata la posizione di dominio delle classi imprenditoriali-finanziarie, dimostra proprio come il capitalismo sia più forte che mai e che la crisi, lungi dall’essere considerata uno spasmo di un moribondo, è gestita da mani piuttosto salde. Sotto la minaccia di imminenti catastrofi economiche e del “terrorismo”, governi instabili e classi dirigenti oramai impresentabili giustificano leggi che vanno a colpire i diritti acquisiti dai lavoratori (salari, condizioni di lavoro, pensioni). Conseguentemente la repressione che colpisce impunemente quelle fasce della popolazione, quelle organizzazioni e quei movimenti che si pongono in netta opposizione al sistema liberista, deve essere considerato nello stesso quadro di azione.

 

Ben consapevole della propria funzione di dominatore e della possibilità, dimostrata dalla storia, di poter perdere, il capitale si adegua ai più svariati contesti politico-istituzionali, e cerca i propri emissari senza preclusione alcuna rispetto all’evenienza di utilizzare ed appoggiare qualunque schieramento politico. Anche il meno ovvio dei candidati, diventa un ottimo interlocutore, tanto che la ricerca di fidati funzionari non esclude neppure organizzazioni e soggetti di indubbio passato rivoluzionario non marxista. I governi progressisti, attualmente al potere in molti stati del continente sud-americano, ci stanno a dimostrare la capacità del capitale nel far emergere nuove élite nazionali disposte a gestire gli interessi delle oligarchie nazionali e della finanza internazionale.

 

Naturalmente l’uso spregiudicato di personaggi, ambigui politicamente ed eticamente imbarazzanti, vanno a minare la credibilità dell’intero sistema democratico-liberale. Se in una condizione di relativa stabilità economica e benessere queste figure possono essere tollerate, le stesse diventano incompatibili nel momento in cui vengono imposte alla popolazione drastiche misure di assestamento del bilancio nazionale: taglio della spesa sociale (scuola, previdenza, sanità), privatizzazioni di beni e servizi di interesse pubblico e l’iniquo aumento della tassazione a scapito di

ceti sociali più deboli. Ciò che è avvenuto in Italia con l’instaurazione di un governo tecnico può spiegare la fase di attacco del sistema bancario e finanziario internazionale di fronte alla crisi. Finito il momento di inutili teatrini parlamentari di fronte al collasso dell’Euro e il rischio di insolvenza degli stati (dei debiti contratti con le banche), alla classe politica viene imposto di farsi da parte e sostenere i nuovi manager/tecnici (il presidente del consiglio Monti ha avuto un ruolo di consulente per la Goldman Sachs) per rimettere in ordine i conti. Un vero e proprio “golpe bianco”, incruento nella forma ma nefasto nelle conseguenze sulle classi subalterne. Tutta la cricca parlamentare ha avvallato il governo tecnocrate, che dovrà applicare politiche di austerità e sul quale poi scaricare ogni responsabilità delle misure regressive – economiche, politiche e civili – alle quali i lavoratori dovranno sottostare.

 

2. Articolazione dell’attacco del capitalismo negli ultimi trent’anni.

 

Un decisivo passo a favore dell’egemonia mondiale del capitalismo è stato il crollo dell’Urss e la venuta meno, nel bene e nel male, di un’opzione praticabile alla società liberista. Agli inizi degli anni Novanta, tutto quello che per decenni è stato impossibile sconfiggere viene travolto in pochissimi mesi: già il 1 luglio 1991 veniva sciolto il Patto di Varsavia. Da quel momento lo sforzo dei “vincitori” è stato tutto teso a evidenziare l’impossibilità di una reale alternativa al modello del libero mercato: il modello uscito illeso dallo scontro ideologico del XX secolo.

 

Con la fine del socialismo reale non è venuto a mancare solo un deterrente all’espansione dell’imperialismo ad egemonia nordamericana, è avvenuto qualcosa in più: si è affermata la concezione, anche tra coloro che da sempre si erano candidati a rappresentare le lotte e gli interessi della classe proletaria, che fosse inutile opporsi al capitalismo. Eppure dopo due decenni di incontrastato dominio le politiche neo-liberiste non solo non sono state in grado di dare un’inversione di rotta alle devastazioni sociali, umane e ambientali prodotte da questo sistema di sviluppo, ma hanno reso ancor più precarie e incerte le condizioni di vita di miliardi di persone.

 

Venuta meno la paura sovietica e per mantenere una così ingiustificata supremazia il capitale ha riciclato, e ovviamente stipendiato, le più malleabili forze della sinistra istituzionale e no.

 

La definitiva svolta del Partito comunista italiano (PCI), avvenuta sempre agli inizi degli anni ’90, ma la cui genesi è retrodatabile di qualche decennio, può essere presa a paradigma delle capacità di “persuasione” della classe padronale dirigente. La svolta moderata di molti partiti è l’ulteriore passo in avanti fatto dal liberismo, ma significa anche la mutazione degli obiettivi e dei beneficiari di un grande partito di massa, che sacrifica definitivamente la propria storia, identità e conquiste sociali a favore degli interessi del capitale finanziario europeo.

 

Il nuovo ceto politico si definisce riformista, progressista, democratico, moderato e prende sempre più le distanze dal passato, finendo per rinnegare per poi condannare il proprio trascorso a sinistra. Ovviamente si tratta di soggetti che, cresciuti e formati all’ombra delle battaglie operaie degli anni ’60 e ‘ 70 e ’80, opportunisticamente decidono di non gettare il serbatoio elettorale che detengono e lo utilizzano, questa volta con il beneplacito delle organizzazioni industriali, per candidarsi alla guida dei governi dei rispettivi paesi.

 

La conquista del potere da parte di nuovi gruppi politici ha le sue condizioni e per fare ciò non devono soltanto accettare la sconfitta, ma devono sposare le dottrine liberiste, farsene portavoce e

operare affinché il libero mercato possa essere proposto e imposto come unico modello di organizzazione economico-sociale compatibile con il genere umano. La Serbia di Milosevic fu attaccata dalle forze NATO nel 1999. L’Italia con a capo un governo di centro-sinistra (il secondo nella storia repubblicana italiana) partecipò direttamente con proprie truppe e mise a disposizione le proprie basi all’aggressione militare senza mandato ONU. Per la prima volta da dopo il fascismo l’Italia portava avanti una guerra offensiva.

 

La nuova classe politica nata dalle rovine dei partiti di sinistra si propone come mediatrice e interprete dei bisogni dell’elettorato, ma poi nella realtà dei fatti è la principale affossatrice delle istanze della classe operaia. Il suo attivismo politico, una volta raggiunto il potere, marginalizza e blocca le rivendicazioni sociali considerate troppo oltranziste.

 

Negli ultimi decenni, infatti, ristretti circoli finanziario-aziendali sono di fatto i gestori dei partiti di qualsiasi colore ed hanno reso le strutture tradizionalmente rappresentatrici della classi lavoratrici da interlocutori a organismi organici allo stato borghese. Un cambio di rotta, l’abbandono delle posizioni più riformatrici, che ha finito per considerare anche le conquiste socialdemocratiche, che costituivano il vanto delle regimi democratici occidentali, come privilegi perché non più in sintonia con le nuove teorie economiche. A partire dagli anni Novanta è proprio la sinistra al potere che viene eletta dalla compagine impresaria per avviare un processo di smantellamento sociale e di privatizzazioni. Un processo devastante, che non dovrebbe lasciar più dubbi sullo recrudescenza dell’aggressività della borghesia in questi ultimi anni.

 

Con l’unificazione della Germania di Kohl (1990) l’Europa degli anni Novanta fa del libero mercato e della concorrenza gli assi intorno ai quali rilanciare lo sviluppo economico e politico del nuovo consolidamento europeo. La costruzione dell’Europa di Maastricht (del mercato unico e della moneta europea) ne circoscrive gli obiettivi. Attraverso i mercati e le borse internazionali, e mentre vengono definiti i sacrifici da imporre alle popolazioni per poter rispettare i parametri dettati dalle istituzioni europee, banche e grandi imprese si impadroniscono del nuovo colosso economico.

 

Siamo negli anni in cui lo stato si fa azienda e i partiti diventano club in mano a manager, banchieri, impresari e mercanti di ogni risma. Gli indici delle borse diventano più importanti dello stato sociale, perché definiscono la spesa ed gli investimenti pubblici.

 

Siamo nell’epoca delle privatizzazioni: beni e servizi fino ad allora proprietà e prerogativa degli stati vengono messi sul mercato. In una logica totalmente anti-stato è lo stesso stato che delega alle imprese e alle banche pezzi di sovranità e a prezzi scontati. I vari governi italiani (in questi anni destra e sinistra si alternano senza evidenti segni di discontinuità) e al pari di altri paesi europei, non prendono nessuna precauzione per impedire il passaggio del proprio debito pubblico dalle mani di piccoli creditori/risparmiatori italiani a grosse concentrazioni bancarie straniere. Cosicché le scelte politiche, le manovre finanziarie e gli investimenti pubblici finiscono per essere poste sotto tutela: supervisionate e approvate da organismi economici sovranazionali, prima di tutto devono rispondere alle esigenze (garanzie sul pagamento degli interessi) dei nuovi creditori.

 

Con la nascita di nuovi paesi in Asia e la corrispondente perdita di influenza da parte della ex-Urss, poi ex-CSI ed infine Russia, ha inizio una nuova corsa all’accaparramento di risorse e controllo di nuove aree da parte dell’imperialismo. L’allargamento della Nato all’est europeo (il processo ha inizio nel 1997 con l’adesione della repubblica Ceca, della Polonia e dell’Ungheria) e il più volte proposto scudo spaziale hanno contribuito a destabilizzare politicamente i paesi dell’Europa orientale e le loro relazioni con i vicini (per esempio tuttora tesi restano i rapporti tra Russia e Ucraina sulla questione dei gasdotti). Improbabili associazioni e improvvisati movimenti per i diritti civili, finanziati e politicamente sostenuti da compagnie, fondazioni e governi stranieri hanno dato vita a rivoluzioni colorate (Serbia nel 2000, Georgia 2003, Ucraina 2004, Kirghizistan 2005, ma anche le non riuscite Azerbaijan, Bielorussia e Mongolia tutte tra il 2004 e il 2005) per una ridefinizione filo-occidentale dell’area. La Russia, dopo un iniziale posizione attendista, con la gestione Putin è diventata molto più attenta al mercato e alle “regole” per potersi imporre. I governi a guida Putin, poco disponibili a perdere ulteriori territori, risorse e prestigio, e molto più spesso di quanto non fosse tollerato al periodo sovietico, hanno avviato una nuova politica di potenza a vocazione imperialista: la questione Cecena (iniziata già da Eltsin) e il conflitto russo-georgiano per l’Ossezia (2008) sono un chiaro esempio.

 

Diritti civili e guerra d’aggressione sono l’ossimoro con il quale Stati Uniti e gran parte dell’Europa cercano di penetrare e controllare nuove aree strategiche considerate vitali per le loro ricchezze o per la loro posizione. Negli anni Novanta la nuova metodologia liberista trova applicazione nella guerra: l’Iraq nel 1990 e poi nel 2003, la Serbia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001. È la guerra che apre la strada alla nuova democrazia; chi si oppone è uno stato canaglia e può essere bombardato e vedere le sue ricchezze saccheggiate. L’aggressione militare, giustificata da ragioni che niente hanno a che fare con la pace e i diritti umani, non è l’estrema soluzione, ma diventa un’opzione come un’altra. L’intervento contro la Libia, voluto in maniera netta dall’Inghilterra e dalla Francia esattamente all’esplodere della crisi politico-finanziaria in Europa deve leggersi in questa articolazione, così come le continua minacce di intervento contro l’Iran e il tentativo di destabilizzare la Siria.

 

2.1. Proiezione della fase europea in Medio Oriente .

 

Il sionismo, nato in seno ad una frazione della borghesia europea proto-imperialista, con la lungimirante articolazione del suo progetto funge da baluardo degli interessi imperialistici in Medio Oriente, area di interesse geostrategico fondamentale. Tale progettualità ha previsto e prevede , oltre allo sterminio del popolo palestinese, della sua resistenza, anche la cancellazione della possibilità storica di arginare le derive imperialiste. Possibilità che si era data, nelle articolazioni resistenziali del progetto del Movimento Nazionalista Arabo, nato negli anni’50 del XX secolo, al cui interno si formò poi il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e che ideologizzava un’unica nazione araba laica e aperta alle opzioni socialiste. Ovviamente gli stati nazionali più estesi e potenti dell’area, come la Siria e l’Iraq sono stati funzionali agli interessi dell’unione Sovietica nell’area e non sono stati certo immuni da derive populistiche, e da gestioni familistiche del potere, ma l’attacco e distruzione dell’Iraq e il tentativo pluridecennale di attacco alla Siria sottendono anche la distruzione di una progettualità e il monito all’impossibilità storica di praticare opzioni di contrasto al progetto imperialista.

 

Il copione dell’attacco, che si vorrebbe applicare alla Siria dopo averlo applicato all’Iraq e alla Libia è sempre lo stesso: demonizzazione del capo di Stato anche con l’ausilio di media che rispondono ad interessi precisi nell’area, come l’emittente Al Jazeera che risponde agli emiri di Qatar ed Arabia Saudita, creazione di una “opposizione” eterodiretta e palesemente manipolata, armata e gradita agli interessi occidentali. In Siria è la volta del Consiglio Nazionale Siriano, già accreditato presso le potenze imperialiste e pronto a chiedere con la “non fly zone”, l’intervento armato occidentale. Ma attaccare e distruggere la Siria significa ovviamente intaccare e far esplodere gli equilibri del fragile stato libanese, facendolo diventare protettorato sionista e arrivare all’Iran.

È realistico quindi dire che per quanto riguarda la Siria e il Medio Oriente, la partita non è ancora chiusa, anche per gli scontri inter-imperialistici che vedono la Russia e la Cina molto interessate a non far precipitare la situazione nell’area.

Per Egitto e Tunisia paesi nei quali, come già analizzato precedentemente, le rivolte popolari hanno portato alla caduta dei regimi filo-imperialisti preesistenti, resta attualmente la conferma che l’assenza di una organizzazione con un chiaro disegno teso a strategia rivoluzionaria ha portato a riassorbire le richieste popolari delegandole alle uniche formazioni partitiche organizzate, ovvero le organizzazioni di matrice islamica. Anche l’auto-rappresentazione di tali rivolte come “rivolte giovanili”, annullando qualsiasi matrice di classe, ne ha limitato il campo di azione e le potenzialità.

 

3. Capitalismo buono e capitalismo cattivo.

 

Nonostante la capacità di egemonizzare gran parte delle trasformazioni politiche ai vertici degli organismi di potere statale e transnazionale, le élite finanziarie non sono riuscite ha celare le distorsioni sociali implicite all’organizzazione capitalista della società.

 

Che il rapido aumento del divario tra ricchi e poveri, da prerogativa dei paesi poveri del sud del mondo sia diventata una tendenza generalizzata anche ai paesi economicamente più avanzati, è un dato acquisito. Malgrado siano aumentati motivi per “ribellarsi” e la globalizzazione abbia reso possibile una maggiore comunicazione delle strutture auto-organizzate e dei movimenti, tutto ciò è andato di pari passo con la perdita di identità di classe da parte dei proletari, ma anche di molte delle loro organizzazioni. La venuta meno di una visione di classe in una buona parte delle “rivolte” e dei suoi protagonisti contribuisce a rendere meno chiara una definizione del nemico. Potremmo dire quindi che la più grande vittoria del capitalismo dell’ultimo decennio non sia quella di riuscire a nascondere i risultati catastrofici per l’umanità, quanto piuttosto di farli passare come necessari per lo sviluppo liberal-democratico del mondo.

 

L’inclusione di settori appartenenti a categorie “privilegiate” di lavoratori tra le vittime delle politiche neo-liberiste ha incrementato quantitativamente il malcontento. In queste categorie vanno inseriti i dipendenti delle aziende private o degli enti gestori di servizi pubblici, oltre a impiegati e dipendenti pubblici da sempre considerati garantiti. A questi vanno aggiunte la piccola borghesia (sempre timorosa di scivolare verso il basso) e fasce di popolazione di piccoli risparmiatori e piccoli investitori, che in passato hanno effettivamente usufruito più di altri di un benessere diffuso.

 

Questo allargamento della base è stata fatta apparire come dimostrazione del carattere trasversale della crisi. Grazie a questa folle rappresentazione interclassista del dissesto economico globale sono emerse figure e leader – compatibili con le esigenze della borghesia – apparentemente al di sopra delle parti, responsabilmente patriottici ed attenti alle esigenze del mercato. Comunque, espressione delle medesime classi dirigenti, i nuovi volti si sono limitati ad operare sullo stesso tracciato dei predecessori senza evidenti strappi, avallando molto spesso la nuova dottrina neo-liberista (per esempio l’abolizione della legge Glass-Steagall, istituita al 1933 che sanciva la separazione dell’attività bancaria da quella finanziaria, fu decisa nel 1999 dal governo del presidente democratico Clinton; in Italia l’inizio del processo di precarizzazione del lavoro, l’attacco al sistema pensionistico, al sistema scolastico pubblico sono stati frutto dei governi di centro-sinistra). Inoltre il loro attivismo politico è stato indirizzato affinché i riferimenti politici e sociali della dicotomia capitalismo e anti-capitalismo venissero definitivamente azzerati a favore di un infido dualismo: capitalismo buono e capitalismo cattivo.

 

Le nuove facce pubblicamente più presentabili (Obama negli Stati Uniti, i Kirchner in Argentina oppure Monti, l’ultimo arrivato, solo per fare alcuni esempi) si sono affermate in tutti i continenti ed hanno fatto appello alle capacità di innovazione e progresso del mercato, proponendosi come salvatori della patria. Da immobiliare, bancaria e finanziaria, negli Usa la crisi si è allargata all’economia reale – industria e agricoltura – ma non è rimasto esente alcun settore economico. L’avere quindi imputato a pochi ultraliberisti insinuatisi nelle amministrazioni statali come gli unici responsabili (così ha fatto Obama nei confronti di Bush jr.), non è sufficiente a nascondere il loro vero volto di zelanti funzionari della finanza e delle banche. Obama chiama in soccorso la Federal Reserve (FED), la Banca Centrale americana, la struttura privata che emette dollari e che è quindi tra le principali responsabili della speculazione finanziaria. Dall’altra sponda dell’Atlantico la Banca Centrale Europea, anch’essa istituzione privata, offre alle banche europee quasi 500 miliardi di euro sotto forma di prestiti a tassi di favore all’1%. Con la motivazione di rilanciare l’economia reale con prestiti a favore delle famiglie e delle imprese si risolvono i problemi di liquidità degli istituti bancari. Chi emette moneta ha in mano il debito del paese; negli Stati Uniti il 40% circa della tassazione dei contribuenti serve per pagare gli interessi sul debito contratto con la FED. Ricordiamoci invece del trattamento riservato al popolo greco e alle attuali manovre per “salvare” l’Italia.

 

Ai più l’indirizzo intrapreso è evidente: gli stessi uomini da dirigenti di banche e multinazionali passano alla direzione di ministeri e governi, contribuendo alla riformulazione del nuovo ordine mondiale. Attraverso il controllo del debito pubblico, pochi gruppi finanziari e istituti bancari, ai quali è garantita l’emissione di valuta, supervisionano l’attività legislativa dei paesi: definiscono gli investimenti pubblici, incamerano i risparmi della popolazione con fondi pensione e piani assicurativi privati, requisiscono le risorse derivate dalla tassazione dei cittadini a copertura dei propri interessi e costringono i paesi a forti contrazioni della spesa pubblica.

In alcuni casi la necessità di gestire al contempo la rapina delle risorse umane e materiali della popolazione e possibili forme di malcontento diffuso viene placato utilizzando forme assistenziali che, oltre a non migliorare le condizioni materiali dei beneficiari, vanno a minare ulteriormente l’unità di classe degli sfruttati. Negli altri casi sarà il potere giudiziario ad applicare i vari livelli di repressione, potendo far uso questa volta delle nuove categorie di terrorismo e di democrazia. Non si tratta quindi solo di riorganizzazione economica del mondo, perché l’attacco portato avanti dal capitalismo in questo momento coinvolge tutte le dimensioni organizzative – sociali e lavorative – dei popoli. Siamo di fronte al tentativo di estromettere dalla storia la classe proletaria e l’attacco arriva in una fase in cui le condizioni delle organizzazioni antagoniste non sembra delle più favorevoli.

 

Questa è la rotta del capitale. Può navigare tranquillo? Parrebbe di sì. Ma l’ossessiva, e continuamente reiterata ricerca, che ancora manifesta di cancellare dalla storia e dal presente il significato di “classe”, ci suggerisce l’importanza e l’urgenza a riappropriarcene, sia a livello soggettivo che a livello organizzativo.

 

 

PARTE SECONDA.

 

IL COORDINAMETO GUEVARISTA INTERNAZIONALISTA (CGI) NELLA ESPERIENZA BRISOP: BILANCIO E PROPOSTE.

▪ ruolo del Coordinamento Guevarista Internazionalista (CGI) nel dibattito ideologico e nella realizzazione di contatti ed impegni internazionalisti nel periodo 2010-2012;

▪ proposte BRISOP per il 2012

 

4. A che risponde la costituzione del CGI.

 

L’analisi sin qui svolta ha voluto sottolineare -“dimostrare”- che, nel nostro continente, il capitale finanziario globalizzato, lungi dallo stare esalando l’ultimo respiro, è forte; forse come mai non lo è stato. E come questo, di conseguenza, proietti il suo peso nelle “rivoluzioni” nord africane, nel Vicino Oriente e nella Regione in generale, portando complesse difficoltà alle lotte di emancipazione di quei popoli.

 

Il fatto che attualmente questa forza, come già argomentato, derivi al neo-liberismo, anche e soprattutto, dall’avere avuto la capacità strategica di seppellire in un pesante sarcofago la coscienza di classe della classe operaia insieme con la forma organizzativa che la esprime (il partito comunista rivoluzionario) apre, da un lato, alla necessità del recupero della memoria-esperienza del  proletariato, all’aprire cioè quello che potremmo chiamare “fronte ideologico”, per costruire soggettività ed organizzazione rivoluzionaria; dall’altro, a quella, complementare, di gettare le fondamenta per una pratica internazionalista altrettanto coerente.

 

La costituzione del CGI risponde alla decisione di contribuire a soddisfare queste necessità.

4.1. Decisione di aprire un “fronte ideologico” e cenni di riflessione e prospettiva.

 

Come BRISOP-CGI, abbiamo assunto, in funzione di queste considerazioni, la decisione di portare e sviluppare sul territorio in maniera sistematica la battaglia ideologica (battaglia delle idee), nuovamente percepita come uno degli assi strategici dello scontro; decisione, che, fuori dal contesto materiale presente, sarebbe apparsa “assurda” appena tre anni fa. Questo è un dato di fatto, ma non vi è alcun dubbio che al superamento della “assurdità” hanno contribuito in percentuale non indifferente le relazioni, interne al CGI, con i compagni argentini del FAR e gli uruguayani dell’MRO. È appena il caso di precisare che questo imprescindibile recupero ideologico assume da noi, per le conosciute specificità con le quali si è sviluppata la lotta di classe nel nostro paese, un carattere di particolare concretezza; esemplificando estremamente, il recupero non si trasformerà nello strumento magico capace di farci vedere la realtà come vorremmo che essa fosse.

 

Chiaramente la battaglia ideologica, per assumere significato politico, deve necessariamente coinvolgere altri Gruppi, Collettivi, Movimenti e Centri Sociali della nostra regione e non solo (vedi Allegato I ed Allegato II).

 

All’interno di questa decisione, diviene così finalmente organica anche la lotta, ideologica  e culturale,  contro due distinte e separate tendenze presenti sia “nell’acqua dove stiamo attualmente nuotando”, la seconda attiva “in altre, circostanti e vicine” .

 

Con la prima intendiamo il “postmodernismo (negrismo)” che costituisce oggi un fattore di freno e di confusione -nella “teoria” e nella prassi- per il soddisfacimento di quelle accennate necessità che sono le condizioni necessarie per il superamento del capitalismo, al quale, comunque, non è ormai più interessato. Nel percorso di inserimento nell’ambito della compatibilità con il sistema capitalistico è passato dalla negazione della classe alla collaborazione di classe.

Dissolvere la fumosa ambiguità nella quale questo dato di fatto rimane nascosto, è dunque, nello specifico contesto, l’obiettivo, che, se raggiunto, libererebbe alcune energie rivoluzionarie.

 

Con la seconda intendiamo ciò che in Centro America chiamavamo “el primer escalón operativo de la CIA”, cioè quella ambigua ma conosciuta ed incensata componente della cosiddetta “società civile” denominata “organizzazione non governativa” (ONG).

In effetti, e come da noi già dimostrato, la madre di tutte le ONG altro non è che la USAID e la sua “filosofia” rimane vincolante per tutte le accezioni istituzionali di “volontariato internazionale” che, concretamente, intercetta un massiccio “internazionalismo” neo-liberista. Nella guerra senza quartiere del capitale contro i popoli, sono infatti le ONG a fare da testa di ponte per la penetrazione imperialista e la sua guerra guerreggiata..

Accanto a questi dati oggettivi ne esistono però almeno due soggettivi:

– molti giovani delle classi subalterne in Italia ed in Europa pur possedendo “ assetti” personali anticapitalisti ed antimperialisti vengono “reclutati” dalle ONG, trasformandosi così in fattori di stabilizzazione di quello stesso “sistema” che vorrebbero cambiare;

–  molti soggetti “beneficiati” dalla Cooperazione Internazionale, oltre a costatare in maniera definitiva la sua voluta inadeguatezza per toglierli dalla la miseria ed emarginazione, hanno pure verificato la politica di colonizzazione ideologica da essa praticata per disgregare la coesione dei movimenti popolari o resistenziali.

Sulla base di queste contraddizioni, la denuncia costante del ruolo delle ONG, l’indicazione di poter alimentare “dal basso” una “Cooperazione Rossa”, lo sviluppo di relazioni dialettiche con i due tipi di soggettività ora evidenziati,  si sostanziano, nello specifico contesto, nell’emersione di un’area in disputa che ha l’obiettivo di liberare “uomini e risorse” per le lotte di emancipazione popolare.

 

Come CGI dobbiamo inoltre valutare molto positivamente il fatto, legato al permanente dibattito ideologico al nostro interno, di essere riusciti a contenere e poi sconfiggere la linea politica associata a Roberto Martino, ex-dirigente FAR alla cui costruzione egli aveva senz’altro contribuito. La linea che Martino pretendeva imporre -apparentemente maturata durante la sua carcerazione (maggio 2010-maggio2011)- avrebbe stravolto i principi fondanti di questa Organizzazione marxista e leninista. Tale linea, infatti, teorizzava, per l’Argentina come per gli altri paesi del continente americano, la conquista della sovranità nazionale come il primo e più importante obiettivo strategico al quale subordinare tutta l’attività politica del FAR.

 

4.2. Aspetti di internazionalismo: i fondamenti.

 

Da sempre abbiamo sostenuto come condizione imprescindibile l’esistenza di una struttura politica che legasse concretamente le lotte territoriali, regionali o nazionali, a quelle in atto, di più vasto respiro, portate avanti dai movimenti rivoluzionari di altri paesi.

In questo senso, per le BRISOP, sono state fondamentali i legami “storici” e l’appoggio (passato e presente) derivanti dal nucleo dei VETERANI della ex-guerriglia delle FUERZAS ARMADAS REBELDES del Petén – Guatemala. Riferimento permanente di valore, morale e etica rivoluzionaria.

 

Se ancora pochi anni fa risultava “evidente” come per realizzare un contributo efficace per la lotta  anticapitalista occorresse una conseguente pratica internazionalista reale, OGGI,  l’offensiva neo-liberista ha avuto il merito di aggiungere informazione a quella “evidenza”: l’assenza di una conseguente pratica internazionalista reale è il sicuro viatico per una oggettiva collaborazione di classe con la borghesia.

 

4.2.1. Aspetti di internazionalismo: la pratica

 

La pratica d’internazionalismo realizzata dal CGI tra il 2010 ed il 2012, può così sintetizzarsi:.

 

CAMPAGNE DI SOLIDARIETÀ: con l’arresto nel maggio del 2010 di Roberto Martino, accusato dalle organizzazioni sioniste argentine di antisemitismo e terrorismo, il CGI ha assunto a livello politico ed organizzativo una Campagna Internazionale di Solidarietà per la liberazione del Segretario Generale del FPLP Ahmad Saadat e dello stesso Martino. La Campagna ha avuto risultati di visibilità e di mobilitazione positivi e può soprattutto affermarsi che, in Argentina e in Uruguay per la prima volta a livello di massa è stata conosciuta la storia e l’immagine del compagno Ahmad Saadat. Vogliamo sottolineare come anche in questa Campagna non sia mancato l’appoggio politico e morale del nucleo dei VETERANI della ex-guerriglia de la FUERZAS ARMADAS REBELDES del Petén; apoggio sempre inserito nella coerente visione dell’internazionalismo militante.

 

Il CGI continuerà la campagna per la sua liberazione sino a quando Ahmad Saadat sarà scarcerato.

 

SOLIDARIETÀ MILITANTE NEI CAMPI PROFUGHI PALESTINESI: nell’agosto del 2010 una missione del CGI ha visitato alcuni campi profughi dei rifugiati palestinesi in Libano e Siria. La solidarietà militante con la lotta del popolo palestinese e per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi, tra cui Ahmad Sadat, sono stati l’oggetto degli incontri effettuati. Altri colloqui sono stati realizzati dalla missione con i responsabili dei campi profughi visitati e hanno avuto la finalità sia di capire la posizione del FPLP, unica Organizzazione marxista tra le forze palestinesi, sulla situazione Medio Orientale, che di fissare un percorso articolato di solidarietà da sviluppare in Italia ed America Latina (i risultati si evincono dal punto 5.).

 

INCONTRI POLITICI IN GRECIA E GIORDANIA: nel settembre del 2011 -come pianificato nel IV° Incontro CGI di Montevideo- è arrivato in Europa un compagno uruguayano dell’MRO-CGI.  La sua missione ha avuto come obiettivo tre punti principali. Il primo ha riguardato la costituzione di una rete internazionale contro la repressione, un tema molto presente in Argentina, Uruguay e Cile, che ha preso il nome di Coordinamento Antirepressivo per la Libertà dei Prigionieri Politici e Sociali (CALIPPSO). Visto il peso della proposta, il compagno arrivato aveva la piena rappresentanza dell’MRO stesso in quanto suo Segretario Generale. In questa veste ha avuto incontri e riunioni in Spagna, Belgio, Germania, Olanda, Svezia, Grecia e Italia.

Il secondo punto ha messo al centro l’intercambio del CGI con alcuni gruppi e collettivi marxisti e progressisti della Grecia, tra cui Nuova Corrente di Sinistra e Syriza, sia con il fine di capire la specificità della crisi del paese che per dare continuità a questi primi contatti informativi. Il terzo punto consisteva nella consolidazione dei contatti di solidarietà politica iniziati dal CGI nel 2010 con le missioni in Libano ed in Siria. In questo contesto, nell’ottobre del 2011, si sono svolti ad Amman incontri con alcuni responsabili dei Campi profughi palestinesi in Giordania ed anche con dirigenti politici del FPLP tra i quali si trovava Leila Khaled.

In entrambe le missioni di Grecia e di Giordania sono stati presenti compagni/e delle BRISOP – CGI. In base alla necessità di coordinare iniziative assunte dalla CGI ma anche specificatamente dalle BRISOP (le quali si evincono dal punto 5. e dall’Allegato I), è stato realizzato un secondo incontro con Leila Khaled ad Amman all’inizio del 2012.

 

5. Proposte BRISOP al V Incontro CGI

 

Sulla base del nostro CONTRIBUTO nella sua generalità, e del suo punto 4. in particolare, vi sottoponiamo tre nostre proposte che ci auguriamo saranno assunte anche da voi.

 

1ª proposta: 15 maggio 2012

ORGANIZZARE A LIVELLO INTERNAZIONALE LA COMMEMORAZIONE DEL GIORNO DELLA NAKBA (Argentina, Uruguay, Guatemala, …, Italia, Grecia, …) INTERCAMBIANDO TRA NOI – DA POSTAZIONI FISSE (via skype)- DICHIARAZIONI D’APPOGGIO ALLA LOTTA DEL POPOLO PALESTINESE ED ALL’FPLP IN PARTICOLARE.

 

2ª proposta: agosto 2012

APPOGGIARE L’INIZIATIVA DELLA NOSTRA CONDANNA POLITICA AL TENTATIVO DELLA ESTREMA DESTRA ITALIANA DI GETTARE LA RESPONSABILITÀ DELLA STRAGE DI BOLOGNA (IL 02 AGOSTO 1980 IN UN ATTENTATO DINAMITARDO ALLA STAZIONE FERROVIARIA DI BOLOGNA PERIRONO 85 PERSONE E 200 FURONO FERITE) ALL’FPLP [COME MANDANTE], COSA CHE QUESTO PARTITO HA SEMPRE FERMAMENTE RIGETTATO.

IL NOSTRO OBIETTIVO È PIÙ AMPIO DELLA DIFESA “STRETTA” DELL’FPLP, CHE NATURALMENTE È IMPORTANTE PER TUTTI NOI E RESTA COMUNQUE UN OBIETTIVO.

L’OBIETTIVO, PARTENDO DALLA RESISTENZA AL FASCISMO AL NAZISMO CHE VIDE BOLOGNA COME UNA DELLE PRIME CITTÀ IN QUESTA LOTTA, È QUELLO DI FAR RIFLETTERE SUL FATTO CHE LA RESISTENZA DEI POPOLI  COSÌ AL FASCISMO COME AL GENOCIDIO IMPERIALISTA È UN DIRITTO.

L’APPOGGIO CONSISTEREBBE IN DUE O PIÙ VOSTRI INTERVENTI (MAGARI LETTI IN ITALIANO) NEI QUALI SI SOTTOLINEA L’ELEMENTARE VERITÀ DI QUESTO DIRITTO ANCHE CON ESEMPI DELLE VOSTRE LOTTE.

 

 

3ª proposta: fine 2012

VOGLIAMO PUBBLICARE UN LIBRO DA UTILIZZARE NEL FRONTE IDEOLOGICO CHE ABBIAMO TITOLATO “QUELLI DEL PLAYA GIRÓN” E -COME GIÀ SCRITTO AL DIRETTO INTERESSATO- PENSAVAMO AD UNA MEMORIA DI TONI DA INSERIRE TRA GLI ALTRI SETTE COMPAGNI ED UNA COMPAGNA (LEILA KHALED), COME POTETE VEDERE IN ALLEGATO II.

SE VOI FOSTE INTERESSATI ALLA UTILIZZAZIONE DEL LIBRO, NEL CONTESTO DETTO, FAREMMO CONVINTI LO SFORZO (abbastanza grande) DI TRADURRE IN SPAGNOLO  LE INTERVISTE E LE AUTOBIOGRAFIE IN LINGUA ITALIANA.

 

 

 

ALLEGATO I

 

APPELLO ALLE FORZE ANTIFASCISTE

 

CHIUDIAMO “Casapound!”

 

CHIARIAMO PERCHÉ IL FASCISMO È ANCORA PRESENTE!

 

SVILUPPIAMO insieme “una battaglia delle idee” per recuperare la memoria di classe!

 

Nel volantino che abbiamo distribuito durante la manifestazione del 17 dicembre a Firenze per denunciare la strage fascista e portare solidarietà alla Comunità Senegalese, precisavamo come a Pistoia “Casapound” e Questura, ognuno chiaramente con metodi suoi, ci avessero intercettato durante l’incontro dell’11 ottobre del 2009 che aveva come obiettivo l’organizzazione del contrasto sul territorio allo spiegamento delle cosiddette “ronde”, strumento paramilitare reso legittimo, questo era ed è, da una legge approvata del Parlamento dello Stato italiano.

Non per polemica, ma come riflessione critica pensiamo necessario sottolineare che il non avere compreso come l’emergenza politica prodotta dalla crisi capitalista (2007) richiedesse una reazione immediata contro i conseguenti tentativi di fascistizzazione dello Stato -per contemporaneamente rafforzare ed implementare il rigetto popolare epidermicamente mostrato a questa misura che ricordava la nascita delle squadracce fasciste degli anni ’20- vada letta come una misura del complessivo ritardo nel quale ci trovavamo e ci troviamo.

A dare la percezione concreta, purtroppo, di questo ritardo, ci ha pensato “Casapound” di Pistoia mediante un suo ideologo, il Casseri, autore materiale della strage fascista contro i lavoratori senegalesi.

 

“Casapound” VA CHIUSA!

 

Non può essere compito di questo appello elencare le innumerevoli prove, oltre alla strage che è comunque dirimente, dimostranti la pericolosità di questo gruppo fascista che a livello nazionale si chiama “Casapound”. È sufficiente, in questo contesto, solo enucleare due sui convinti assiomi che fondendo il passato con il presente lo auto-dichiarano erede attivo di quel fascismo assassino, torturatore e fuori legge che operò come vassallo del nazismo sotto la cosiddetta “Repubblica Sociale Italiana” di cui, non è il caso di dimenticarlo, Ezra Pound fu un convinto sostenitore.

I due assiomi cui ci riferivamo, pubblicamente sostenuti da “Casapound”, e che vogliamo qui citare in quanto particolarmente esemplificative, riguardano:

– la rivendicazione storica del criminale e vigliacco compito dei franchi tiratori “repubblichini” -settari uomini di Pavolini da lui lasciati a Firenze per seminare terrore e morte contro l’inerme popolazione della città- indicati da “come esempio e riferimento per la gioventù italiana”;

– la rivendicazione di rappresentare e soprattutto la volontà di organizzare, confermate le identità ideologiche e di azione con la “Repubblica di Salò”, i “fascisti del III° Millennio”.

 

L’applicazione a “Casapound” della XII Disposizione Transitoria e Finale della Costituzione Italiana che enuncia: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, è dunque assolutamente pertinente ed essa va dunque DISCIOLTA.

Negarne la chiusura sui territori dove opera, perché, come dice il sindaco di Firenze Renzi “non si può chiudere un “Centro Sociale” (!!!) se non vi è la consumazione di un reato ad esso imputabile”, È SOLO, da parte sua, un eccessivo sfoggio di colpevole ignoranza. Renzi dovrebbe sapere, appunto, che l’esistenza di organizzazioni fasciste è vietata di per sé dalla Costituzione, come sopra trascritto, restando essa la massima ed unica fonte di produzione legislativa nel nostro paese.

Negarne la chiusura sui territori dove opera, da parte delle forze istituzionalmente preposte alla repressione del fascismo, rappresenterebbe, nel contesto dei fatti accaduti, una inaccettabile violazione della Costituzione che, come dimostra l’eminente costituzionalista Costantino Mortati,

essendo essa “basata sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti”.

 

VA CHIARITA la penetrazione attuale del fascismo!

 

Se le realtà assassine fasciste come “Casapound” devono e possono essere chiuse, la presenza strutturale del fascismo in Italia ed in Europa come riferimento ideologico e politico consistente ed aggressivo -nonostante i crimini storici da esso perpetrati contro l’umanità, nonostante l’annientamento, in parte a ciò conseguente, delle sue forze militari- pone certamente problemi di scala diversa, non risolubili “attraverso” le sole Costituzioni ed i Codici penali che da essa derivano o dovrebbero derivare.

Questi problemi di scala superiore sono essenzialmente, ma non unicamente, legati a due cause apparentemente distinte.

La prima causa altro non è che il sistema capitalista. Il capitalismo, dalla sua fase imperialista in poi, produce costantemente “fascismo” cioè dà massa ad un volano politico-paramilitare che le classi dirigenti di vari paesi hanno utilizzato (e possono ancora farlo oggi) nei loro periodi di crisi delegandogli la gestione della macchina della Stato. Il superamento reale del fascismo è quindi subordinato ad una battaglia più ampia.

La seconda causa altro non è che il revisionismo storico praticato apertamente dagli ultimi anni dell’ottanta dalla “sinistra democratica” nella sua scommessa di “pacificazione nazionale” per il ricompattamento politico ed ideologico di quella borghesia italiana della quale, nella sua “vocazione di governo”, si sente ormai di far parte. Da qui inizia dunque tutto il percorso di cancellazione della memoria di classe, senza il quale non sarebbe stata possibile la strumentalizzazione delle “foibe”, la possibilità di commemorare i “repubblichini”, la “beatificazione” dei fascisti come “nuovi martiri dell’italianità”, la sopportazione di un nazionalismo guerrafondaio ed imperialista, anche questo violatore della Costituzione.

 

VA SVILUPPATA unitariamente una “battaglia delle idee”!

 

Come abbiamo prima argomentato, la decisione strategica di assumere irreversibilmente la collaborazione di classe da parte della “sinistra democratica”, è stato un fattore imprescindibile per la penetrazione ed il rafforzamento della opzione fascista nelle stesse classi subalterne. È quindi elementare come anche per chiudere “Casapound” non basti chiedere, pur nel contesto nel quale nasce il presente appello, la necessaria ed immediata applicazione della Costituzione. Occorre cioè, contemporaneamente, sviluppare da subito e sul territorio, ovunque sia possibile, una “battaglia delle idee” il cui inizio necessariamente coincide con il recupero della memoria di classe, dell’essere classe. La Resistenza al fascismo di una parte consistente delle masse popolari italiane ed europee, che attraverso di essa vedevano la possibilità del superamento del capitalismo, rimane un grande insegnamento. La Resistenza dimostra come la lotta della classe operaia per l’emancipazione politica ed economica delle classi subalterne non abbia nessuna parentela col terrorismo e sia semplicemente un diritto.

Sulla sviluppo di questa “battaglia” ci troviamo totalmente d’accordo ed assicuriamo il nostro impegno per contribuire alla definizione dei contenuti e alla partecipazione diretta.

“brigate di solidarietà e per la pace” – nel C.G.I.

 

brisop.noblogs.org                mro.nuevaradio.org      farporlaunidadyelsocialismo.blogspot.com

ALLEGATO II

 

“QUELLI del PLAYA GIRÓN”: per recuperare la memoria di classe ed il diritto all’emancipazione.

 

Come “Brigate di Solidarietà e per la Pace” abbiamo deciso di realizzare una prima pubblicazione il cui titolo, mantenuto come identificatore di “collana” nelle eventuali reiterazioni, coincide con la testata della presente pagina [“QUELLI del …”]. La pubblicazione contiene otto contributi, tra interviste e memorie auto-biografiche, di combattenti comunisti impegnati in distinti periodi storici nella lotta contro le specifiche dittature capitalistiche applicate sui propri rispettivi popoli (fascismo “classico”, sionismo, borghesie nazionali subordinate all’imperialismo). Come si dovrebbe avere evinto, il libro-collana è da noi progettato come un cronotopo “aperto” nel quale vengono via via inseriti contributi di soggettività equivalenti a quelle cui abbiamo dato voce in questa prima “immissione”.

 

PERCHÉ QUESTO TITOLO.

 

A seguito sarà brevemente giustificata la scelta del titolo. Tale scelta polarizza due fattori che, calati nella concretezza del contenuto del testo, divengono elementi di riferimento per la sua lettura critica.

Il fattore oggettivo: Playa Girón è una spiaggia cubana della Provincia di Matanzas, che è stata teatro, il 17 aprile 1961, della invasione di truppe mercenarie che dovevano riportare l’Isola sotto il totale potere delle necessità geo-strategiche dell’imperialismo statunitense e dello sfruttamento delle sue mafie criminali. Queste truppe mercenarie sono state sconfitte in sole 48 ore.

Le cause della vittoria della Rivoluzione cubana sull’invasione imperialista, la prima vittoria definitiva tra le centinaia di rivoluzioni popolari scoppiate nell’America Latina, risiedono in oggettive scelte strutturali, politiche, economiche e militari, che la direzione rivoluzionaria aveva iniziato ad implementare, a differenza di quanto accaduto per gli altri tentativi di emancipazione nazionale del Continente.

È la sottolineatura che “una rivoluzione o è socialista o è una caricatura (tragica) di rivoluzione”.

Il fattore soggettivo: Playa Girón è anche il nome di un peschereccio della flotta cubana, che oltre a svolgere il proprio specifico lavoro si trova da sempre sotto possibile attacco, dal mare e dall’aria, del terrorismo statunitense. I marinai che ci lavorano e ci vivono (“quelli del Playa Girón”) devono quindi ogni giorno affrontare questo difficile e pericoloso impegno. La loro soggettività rivoluzionaria che li mantiene al loro posto, li ha anche resi necessariamente autonomi da tutele “amministrative”; possono e debbono parlare criticamente delle loro necessità e delle loro prospettive.

È la sottolineatura che i partiti rivoluzionari altro non sono se non i conduttori del processo e che gli artefici delle rivoluzioni non possono che essere le masse popolari. Non comprendere dialetticamente questa relazione significa rompere la costruzione che può portare alla vittoria.

 

I PROTAGONISTI DEL LIBRO.

 

“L’equipaggio” a bordo, in questo primo “viaggio”, è composto da otto unità internazionaliste il cui percorso è pienamente coerente per lo sviluppo critico delle categorie associate al messaggio polarizzato nel titolo del libro.

Due Commissari Politici della “22ª Bis Brigata Vittorio Sinigaglia”, un Partigiano della “Checcucci”, il Comandante dei GAP fiorentini [periodo:1936-1944], un Commissario Politico delle “Forze Armate Ribelli” del Guatemala [periodo:1979-1996], una Compagna dirigente del “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” [periodo:1967-2012], un dirigente contadino del “Frente Sandinista de Liberación Nacional” del Nicaragua [periodo:1967-1990], un dirigente del “Forze Armate Rivoluzionarie Orientali” dell’Uruguay [periodo:1964-1990].

 

PERCHÉ QUESTO LIBRO.

 

L’offensiva capitalista che da venti anni sta intercettando tutti gli aspetti della nostra vita con una feroce accelerazione reazionaria, ha reso politicamente cieche, sorde e mute le classi subalterne, in Italia ed in Europa. La cancellazione della nostra memoria di classe, dell’essere classe, ne sono gli effetti visibili e, di fatto, concretamente misurabili.

Occorre, ne siamo convinti, sviluppare oggi, da subito sul territorio, ovunque sia possibile, una “battaglia delle idee” che denunci e dimostri, sulla base dell’attacco mortale che colpisce ORA ed irreversibilmente le masse popolari, la impossibilità di una nostra convivenza politica ed economica con il modello capitalista e che il socialismo è l’unica soluzione concreta; ma contemporaneamente occorre recuperare le basi senza le quali questa “battaglia delle idee” apparirà scritta e parlata in una lingua incomprensibile e queste basi altro non sono se non il recupero della memoria di classe, dell’essere classe.

La Resistenza al fascismo, all’imperialismo, al sionismo ed alle borghesie nazionali di una parte consistente delle masse popolari italiane, europee, e di altri Continenti -le quali attraverso Essa vedevano e vedono la possibilità del superamento della dittatura capitalistica- è stata ed è un grande insegnamento che dimostra come alla lotta sviluppata dalla classe operaia per l’emancipazione politica ed economica delle classi subalterne, non possa appiccicarsi una qualunque parentela con una qualunque “accezione di terrorismo” perché è semplicemente un diritto.

 

A questo le “Brigate di Solidarietà e per la Pace” vogliono contribuire con “QUELLI del PLAYA GIRÓN”.