Il nostro percorso internazionalista con l’America latina

I. PERCHÉ AMERICA LATINA: la ribellione di un Continente contro il neoliberismo.

Prima di entrare nel merito va brevemente precisata l’importanza, il peso rivoluzionario, che stanno riconfermando oggi i movimenti popolari di base meso e sud americani nella lotta sia, in generale, contro il capitalismo che, in particolare, contro l’imperialismo degli Stati Uniti.Si è parlato di riconferma, poiché  da più di trenta anni  le sub regioni del Continente Latinoamericano (Area Andina, Chiapas, Centro America, Cono Sud e così via sino alla sua saturazione geografica)  sono state di volta in volta protagoniste di lotte che le hanno viste nella prima linea dei fronti anticapitalisti ed antimperialisti; lotte che, nella quasi totalità, si sono sostanziate attraverso la forma armata e nel relativo, associato, modello di direzione. 

I.1. NUOVI SOGGETTI RIVOLUZIONARI.

Il presente, invece, ci mostra uno scenario fortemente diverso nelle forme, nel modello, “trasformato dialetticamente”, come gli stessi protagonisti dicono, dalle sconfitte; ma intatto, anzi rafforzato e propositivo, nel progetto.Due sono ora gli “spettri” che si aggirano in America Latina e che impediscono sonni tranquilli alle politiche neoliberiste che gli Stati Uniti stanno applicando nella regione:  – i movimenti popolari auto-organizzati;  

– i popoli indigeni; 

le cui lotte e ribellioni risultano in qualche modo sinergiche e coordinate. Proprietà, queste due ultime, costruite indirettamente ed in certo modo ineluttabilmente  dalla stessa e medesima globalizzazione implementata da quello che originariamente era “il capitale monopolista yanki”. La cosa non ci meraviglia, possiamo affermare.Ma ciò che soprattutto è per noi interessante, si trova nelle considerazioni politiche che definiscono obiettivi e metodi di queste lotte e di queste ribellioni.I due soggetti sociali prima indicati, dopo aver dimostrato a sé stessi  attraverso l’esperienza di lotta diretta che:          non sarà comunque e mai la mano invisibile del mercato a distribuire loro le risorse cui hanno diritto;           non sarà comunque e mai il modello di democrazia formale coincidente esclusivamente con il binomio “libere”elezioni – partiti   a garantire loro il potere politico necessario a costruire una società   libera dallo sfruttamento capitalistico;hanno assunto come unico cammino strategicamente percorribile –evidentemente con le oscillazioni specifiche di ogni situazione nazionale o regionale-  quello di costruire da subito nuove forme di potere territoriale -autogestione della salute, dell’educazione, utilizzazione della terra e dei mezzi di produzione in proprietà collettiva- senza le quali è impensabile pretendere in futuro di rimpiazzare il vecchio potere politico centrale e tenerne, nel tempo, l’equivalente.Quando “scoperte” e “soluzioni” di questo tipo, vengono assunte in realtà tanto lontane e distinte come possono essere le nostre rispetto alle loro, significa che queste “scoperte “ e “soluzioni” escono da una fase di applicabilità casuale e particolare per entrare in una agenda generale di punti comuni delle realtà antagoniste. Ecco perché ed in estrema sintesi, nel quadro della  globalizzazione capitalistica, l’obiettivo di conoscersi e scambiare –il che ed il come verranno poi analizzati nei punti succesivi- passa da una percezione di possibilità congiunturale ad una proiezione di necessità. 

I.2. MOVIMENTI POPOLARI AUTO-ORGANIZZATI E  POPOLI INDIGENI.

L’applicazione delle politiche neoliberiste ha portato il 75% della popolazione latinoamericana a vivere nella povertà. Questa catastrofe economica ha di fatto frantumato i vecchi “equilibri” sociali, polarizzando aggregazioni, scenari e forme di lotta nuovi, che si sono concretizzati in una immensa ondata di mobilitazioni popolari che ha intensificato ed internazionalizzato in tutto il Continente latinoamericano la lotta di classe. Le manifestazioni e gli scontri, inizialmente ed in generale sviluppatisi contro l’aumento dei prodotti basici,  hanno poi alzato il livello politico dei loro attacchi contro la ratifica della “Area di Libero Commercio delle Americhe” (ALCA), il modello neoliberista, la rapina dei semi autoctoni e la loro riduzione a merce brevettata con la successiva importazione degli alimenti e delle sementi transgenici, l’estorsione illegale  del debito estero (che rimonta agli anni delle dittature militari imposte dal 1964 sino alla fine degli anni ’80).Queste mobilitazioni e queste lotte, e solo per fissarne alcune, hanno  di fatto contro-arrestato o bloccato: – i tentativi di privatizzare l’energia elettrica, l’acqua ed altre risorse naturali, ed i fondi pensione in Perù, Bolivia, Paraguay, Messico;   – l’implementazione operativa del Piano Puebla-Panama e di altri programmi di infrastrutture volute dagli Stati Uniti per rapinare le risorse e controllare militarmente i territori ed i movimenti; in prospettiva per schiacciare definitivamente gli zapatisti in Messico e le FARC in Colombia;– l’implementazione dell’Operazione Aquila III, ovvero delle manovre militari congiunte degli eserciti latinoamericani in Argentina;– il tentativo di dare in concessione l’enorme giacimento di gas scoperto nell’oriente della Bolivia alle multinazionali statunitensi, decisione che è poi costata la poltrona al presidente fantoccio Sánchez de Losada, detto “el gringo”;– la costruzione di un mega-aeroporto internazionale a San Salvador Ateneo alla periferia di città del Messico, attraverso l’espropriazione di terre vicinali collettive;– i veti diretti od indiretti messi in atto dagli organismi finanziari internazionali e dai latifondisti brasiliani rispetto alla implementazione di una riforma agraria integrale. In tutto ciò, la popolazione indigena, specialmente in Bolivia, Perù, Ecuador, Guatemala e Messico, ha giocato un ruolo eccezionale; anche per la chiarezza con la quale ha utilizzato il dato di continuità storica tra colonialismo ed imperialismo; la sub regione Andina è attualmente la più incandescente. In Bolivia il 70% dei 10 milioni di abitanti si identifica con le richieste dei popoli autoctoni, che rivendicano la convocazione di un Assemblea Costituente per rifondare la nazione e riconoscere l’autodeterminazione alle 36 nazioni originarie: aymaras, guaraníes, quechuas. In particolare, il Movimento Indigena Pachacuti (MIP) assume che l’unica soluzione è quella di “cambiare il sistema capitalista con il nostro sistema comunitario, dove non vi siano né poveri né ricchi; utilizzando essenzialmente lo scambio al posto del denaro e considerando l’ambiente come la madre di tutto”. In Brasile, gli attori sociali predominanti, sono stati i contadini proletarizzati del “Movimento dei Senza Terra”. L’MST, oltre ad applicare con i fatti una riforma agraria, a consolidare fortemente le occupazioni di terreni  nelle periferie urbane, sta anche appoggiando la campagna internazionale, iniziata in Chiapas nel 2003, per smantellare  702 basi americane disseminate in 103 paesi; e sulla tendenza ad “uscire fuori” dalla propria realtà nazionale sia con lotte  di categoria che politiche, si inserisce pure la campagna contro la Coca-Cola implementata, a livello latinoamericano, in Colombia ed in Guatemala. 

I.2.1. ARGENTINA E  SVILUPPO DI REALTÁ ANTAGONISTE.

In Argentina, a ormai quattro anni dalla rivolta del 2001, la situazione del movimento piquetero, che di quella rivolta fu il protagonista, si è trasformata. Alcune componenti organizzate del movimento dei lavoratori disoccupati, infatti, si sono dissolte o sono state cooptate e assorbite dai partiti e dallo Stato. E ciò, anche e soprattutto, perché quelle realtà nate in modo spontaneo, senza esperienza di lotta alle spalle  si erano pure collocate fuori dal quadro politico e teorico che fa riferimento alle categorie marxiste d’interpretazione della lotta di classe.Una particolare area del movimento, quella che tutt’ora fa riferimento all’approccio teorico di Toni Negri e che aveva avuto, per una certa fase, una significativa capacità di espansione, risulta oggi quasi dissolta, ridotta a ristretti gruppi di studio che hanno rinunciato alla lotta politica attiva.   A livello di direzione dello Stato, l’elezione di Kirchner nel 2003 ha determinato un cambiamento della situazione politica del paese. Il nuovo governo si è mosso abilmente su due piani. Da una parte, sostanzialmente, ha continuato nelle politiche economiche e sociali neoliberiste dei governi precedenti e, per certi aspetti, ha accentuato la repressione dei movimenti sociali (lo dimostrano il numero di arresti nell’ultimo anno e la maggiore gravità dei reati contestati per le azioni di lotta). Dall’altra parte è riuscito a dare l’impressione di avere raccolto la bandiera della rivolta del 2001 e di stare realizzando le parole d’ordine di quel movimento: lotta alla corruzione della classe politica e suo ricambio; politiche economiche a sostegno dello sviluppo di un capitalismo nazionale indipendente; maggiore fermezza di fronte alle richieste del FMI e della BM;  volontà di punire i militari responsabili dei crimini commessi durante la dittatura del periodo ’76-’83.  Questa manovra gli ha permesso di determinare un cambiamento reale nell’opinione pubblica e di ricostituire un certo livello di coesione sociale e di consenso verso lo stato. In primo luogo ha riconquistato la classe media, staccandola dai movimenti popolari, ai quali si era avvicinata nel 2001. In secondo luogo ha conquistato anche settori popolari e ha potuto cooptare esponenti degli stessi movimenti organizzati. In questo modo ha creato le premesse per mettere in una posizione di isolamento le componenti più combattive e conseguenti del movimento piquetero. Una parte di questo, il Bloque Piquetero Nacional, non  ha saputo interpretare la nuova fase politica determinata dall’azione del governo e la necessità di adeguare conseguentemente la propria tattica. Ha invece continuato e continua a riproporre le stesse parole d’ordine e le stesse forme di lotta, che oltre ad essere facilmente neutralizzabili non permettono di concentrare la massa necessaria a rompere l’isolamento dei movimenti popolari auto-organizzati. 

I.2.1.1.  Movimento Teresa Rodríguez.

Altre componenti del movimento piquetero, e tra queste l’MTR, iniziale fondatore del Bloque Piquetero Nacional da cui poi si è separato, hanno dimostrato invece una capacità di tenuta e anche di crescita; sia perché hanno potuto contare sull’apporto di quadri con passate esperienze di lotta politica e sindacale, sia per aver assunto il marxismo come strumento di orientamento per una lettura strutturale della realtà, non dimenticando la storia delle esperienze dei movimenti rivoluzionari del ‘900, e sviluppando contemporaneamente una riflessione critica, specificamente sulle realtà dei paesi socialisti e dello stalinismo. L’MTR sta infatti contribuendo all’implementazione di una strategia del processo rivoluzionario che superi la “tradizione” fondata sulla conquista del potere politico centrale come premessa per la trasformazione politica e sociale; sostenendo, invece, la necessità di costruire prima, necessariamente in modo embrionale, le nuove forme di organizzazione sociale e di potere, che sostituiranno quelle esistenti.   Coerentemente a ciò, l’MTR, anche dopo un lungo dibattito al suo interno, ha cercato di riorientare la sua tattica per rispondere alla nuova fase e uscire dall’isolamento. L’MTR ha individuato:– in primo luogo, la necessità di fare una serie di passaggi politici che permettano a settori di massa di prendere coscienza delle ambiguità e falsità della politica del governo, senza dare per scontato che questo sia un processo immediato, come lo è per i militanti;– in secondo luogo, la necessità di far uscire il movimento piquetero da una posizione che, alla lunga, si rivela corporativa: cioè dal  solo incernieramento sulla lotta degli interessi dei lavoratori disoccupati, sintetizzata nelle rivendicazioni di cibo e lavoro o sussidio. E’ stato così assunto un asse d’intervento politico e pratico, per sviluppare la lotta anche sui bisogni di altri settori popolari: come l’educazione, la salute, la casa, la vivibilità dei quartieri; con il fine di evitare l’isolamento, allargare la propria base sociale e la partecipazione in generale.  – in terzo luogo, la necessità di fissare e “legalizzare” le conquiste e i risultati raggiunti con le lotte dai movimenti sociali. Per esempio, nel caso delle assemblee di quartiere -che sono dal 2001 una delle principali manifestazioni di un embrionale contropotere- fare in modo che esse lottino ed arrivino ad assumere un reale potere di controllo e di decisione sulle istituzioni locali: nelle scelte politiche degli interventi, nella gestione dei bilanci, ecc.  Altra priorità, che si presenta come una necessità storica, viene individuata nella  realizzazione di alleanze con settori di altre classi e in particolare con la classe media, con l’obiettivo, almeno, di neutralizzarla e non farle appoggiare le posizioni più reazionarie, come invece è accaduto dal ’70 al 2001.    Gli eventuali accordi generali raggiunti con  settori sociali esterni,  dovranno basarsi sulla comune volontà di costruire un nuovo “movimento storico” in Argentina e sui seguenti associati obiettivi politici: – il rispetto generalizzato dei diritti umani, intesi in senso ampio e comprendenti quelli sociali ed economici, riconosciuti dalla costituzione argentina e dai trattati internazionali;– una re-distribuzione egualitaria della ricchezza;– l’opposizione alle politiche neoliberiste;– l’affermazione della piena indipendenza economica e politica argentina, nel quadro di un’unità latinoamericana antimperialista.   Comunque la visione strategica dell’MTR, sintetizzata inizialmente, resta quella della costruzione e dell’espansione di forme di contropotere collegate a concrete esperienze di economia autogestita. Su questo piano, l’MTR ha sviluppato tutta una serie di iniziative e di progetti che possono così riassumersi:  – mense popolari ed orti collettivi per risolvere il problema dell’alimentazione;– programmi di formazione associati a progetti produttivi concreti; – produzione tessile e calzaturiera;– cooperative di costruzione;– panifici sia per la vendita che per l’auto-sostentazione.  Perché queste esperienze si consolidino e sviluppino, è necessario che  producano ricchezza e risolvano direttamente o indirettamente bisogni materiali. Da questo punto di vista una delle principali difficoltà risiede nel trovare canali di commercializzazione; un problema, questo, che non riguarda  solo le attività organizzate dall’MTR, ma anche le tante realtà di fabbriche occupate e  gestite direttamente dai lavoratori a partire dalla crisi del 2001. Oltre alla definizione di una “linea di scambio tra produttori liberi” l’MTR sta lottando  perché il governo, con un intervento legislativo, sostenga tutte le forme di economia auto-gestita parimente a ciò che fa con quelle di mercato in mano ai padroni.

I.3.  CONTRO-RISPOSTE DELLE OLIGARCHIE NAZIONALI ED IMPERIALI

Il crescere e lo svilupparsi nel Continente Latinoamericano di movimenti popolari ed indigeni antagonisti, anticapitalisti ed antimperialisti comincia a far paura. La misura di questa paura, sia da parte dell’impero che delle borghesie nazionali, ce la dà la decisione di permettere le vittorie elettorali di governi di centrosinistra con simpatie di massa o di governi comunque progressisti. Cambiare perché nulla cambi è naturalmente la “filosofia” di questa strategia imperiale. Questo è il contesto principale di lettura degli insediamenti dei governi di Lula, Kirchner, Tabaré Vázquez e di Insulza come segretario generale della Organizzazione degli Stati Americani.  In effetti, la presenza di governi come quello di Kirchner in Argentina, di Lula in Brasile, di Chávez in Venezuela, ai quali si è  aggiunto nel marzo del 2005 quello di Tabaré Vasquez in Uruguay, ha dato a molti l’impressione che si fosse aperta una nuova fase politica, caratterizzata dal superamento delle politiche neoliberiste e da una riaffermazione degli interessi nazionali contro le storiche ingerenze dell’imperialismo nordamericano. In realtà la situazione non è cambiata sostanzialmente; le dichiarazioni di questi governi non hanno riscontro in scelte coerenti, ma rispondono esclusivamente ad una necessità di consenso interno. Per segnare una vera discontinuità con il passato, sarebbe necessario che venissero prese una serie di iniziative realmente incisive: fronte comune nella rinegoziazione del debito estero, nazionalizzazione dell’energia, delle banche, ecc. Niente di tutto questo è stato fatto, né troverà mai posto nei programmi di questi governi. Lo stesso Mercosur, indicato come possibile alternativa ai Trattati di Libero Commercio voluti dagli Stati Uniti e complessivamente normati dall’ALCA, se venisse integralmente applicato, non farebbe che riprodurre, per le classi subalterne dei paesi coinvolti, gli stessi effetti negativi che i TLC genererebbero, con differenze che riguardano il solo impatto iniziale. Quanto agli Stati Uniti, essi vedono nel “teorema” ALCA e nei suoi “corollari”, i Trattati di Libero Commercio, gli strumenti che devono permettergli la realizzazione di due obiettivi interdipendenti: – il primo, è la RAPINA integrale delle risorse-paese  attraverso il modello colonizzatore neoliberista, che consiste nello sfruttare, sino al suo esaurimento,  enclavi di risorse naturali ed umane di bassissimo costo locale e di alta valorizzazione nel mercato internazionale. Un modello ben conosciuto dai popoli latinoamericani: miniere di stagno, di rame, di oro; riserve di acqua dolce per consumo umano ed irrigazione, dighe ed idrovie, terre fertili da “bruciare” per  produrre monoculture da esportazione; milioni di esseri umani sfruttati come risorse, o espulsi dalla loro terra e separati dai propri mezzi di produzione e spinti così verso un’irreversibile emarginazione sociale ed economica o  eliminati fisicamente;– il secondo, è il controllo militare, del territorio e degli autoctoni, necessario a GARANTIRE tale rapina. In questo contesto, gli Stati Uniti, oltre a trattare da sempre le masse popolari  –alle quali non è più associabile l’aggettivo “comunismo”; sforzandosi di sostituirlo con quello di “terrorismo” e sinergizzandolo quando possibile con “narcotraffico”- come le inguaribili nemiche dei loro piani e progetti, precisano che pure le rivendicazioni e le lotte messe in piedi dai popoli indigeni possono materializzarsi come una minaccia alla loro egemonia: un “asse del male” in più, insomma.Negli Stati Uniti si sta infatti lavorando per creare una “percezione” pubblica che veda nei popoli indigeni un fattore di destabilizzazione e di terrorismo con l’obiettivo di criminalizzare le loro richieste.Il Consiglio Nazionale di Intelligenza (NIC), che ha il compito di “scannerizzare” con parametri contro-insurrezionali ciò che “passa nel mondo” per 13 organismi statali, tra cui la CIA, nella sua ultima relazione annuale –“Tendenze globali 2020-Cartografia del futuro globale”- sottolinea, infatti, “l’emergenza” indigena. Non è rubare lavoro  a chi si occupa di fenomeni “paranormali”dichiarare che in prospettiva –a parità di condizioni geostrategiche- l’emergenza indigena andrà a costituire per gli Stati Uniti un bersaglio da colpire con la vecchia arte di chirurgia militare conosciuta sotto il nome di Conflitto di Bassa Intensità; naturalmente in un differente schema di Dottrina di Sicurezza Nazionale (vedi basi militari ed eserciti nazionali). Le enormi risorse che il Dipartimento di Stato mette a disposizione della  sovversione vanno in questa direzione. Non è infatti per gettare dollari dalla finestra,  che la CIA ed altri organismi equivalenti   hanno infiltrato in America Latina miglia e miglia di loro agenti: sotto copertura diplomatica, come membri o funzionari della USAID, dei Corpi di Pace, della Caritas, di CARE e delle più svariate ong nazionali o statunitensi.Questo, in realtà, vale per ogni nazione; SOLO OGGI, 29 giugno 2005, come del resto tutti i giorni, IL GOVERNO STATUNITENSE HA SPESO 1360 MILIONI DI DOLLARI, per spiare e minacciare a mano armata tutto quanto si muove fuori dalle sue grinfie.  I.3.1. FILOSOFIA DELLA REPRESSIONE OPERATIVA.Senza entrare nei particolari della mappatura della dislocazione territoriale degli eserciti nazionali e delle basi militari statunitensi -metodo efficace per derivarne le rispettive interdipendenti filosofie repressive- osserviamo che il contesto concreto in cui si muovono gli “yanki” è quello apparentemente polarizzato dalla “lotta” al terrorismo ed al narcotraffico. Visto il successo ottenuto nel far riconoscere, a tutti gli Stati del Continente Americano, tale binomio come il nemico assoluto ed immanente da combattere, essi hanno deciso di utilizzarlo per imporre bilateralmente l’entrata fisica delle loro truppe in tutti i paesi latinoamericani e caribegni, eccetto Cuba. Inizia così l’implementazione operativa di distinti piani: “Patriota”, “Colombia”, “Dignità”, “Andino”,  ciascuno dei quali supportato da almeno una grande base militare statunitense. Sono quindi date le condizioni per iniziare il riconoscimento, già in atto, operativo e strategico del territorio; fatto fondamentale per qualunque piano, in proprio, di controllo di grandi popolazioni.Il Comando Sud degli Stati Uniti, con sede in Florida, assume il profilo di Stato Maggior Generale della repressione continentale.In questo contesto vanno lette le modifiche al quadro istituzionale – legale che si stanno consumando nei distinti paesi latinoamericani, per esempio:– garantire con convegni bilaterali, l’ultimo firmato con il Paraguay, l’impunità delle truppe nordamericane per gli atti che ivi commetteranno (come le torture avvenute da poco nella base militare di Manta, in Ecuador);– definire a livello di  OSA (Organizzazione degli Stati Americani) la tri-frontiera, Paraguay, Brasile, Argentina, come zona infiltrata dal terrorismo islamico, per costruirvi un’altra mega-base;– aprire nel Salvador una “Accademia di polizia delle Americhe”, anche in funzione di  sviluppare nuovi metodi repressione urbana contro le aggregazioni giovanili; il che ribadisce il ruolo di gendarmi di supporto assegnato agli eserciti nazionali. Nonostante, infatti, in distinte conferenze internazionali realizzate dai governi latinoamericani, dal 2000 in poi, si sia tentato di vendere come esistente una nuova relazione tra “funzione degli eserciti e controllo democratico”, il posizionamento di truppa e mezzi bellici in determinati luoghi ed aree risponde alle necessità contro-insurrezionali. Specie per gli eserciti del Centro America, vero punto nevralgico “dell’orto di casa“ degli Stati Uniti. E lo spiegamento contro-insurrezionale è la prova dirimente. I.3.2. BOLIVIA COME ATTUALE PARADIGMA.In questo contesto e per quanto prima detto, appare paradigmatica la situazione boliviana; ove l’estrema radicalità del conflitto sociale in atto ha ridotto agonizzante il modello colonizzatore neoliberista. La forma nella quale si esprime il conflitto dimostra:– dal lato dei movimenti popolari, la rivendicazione di una nazionalizzazione immediata delle risorse energetiche del paese e la realizzazione di una Assemblea Costituente per aprire spazi e diritti ai popoli indigeni, come profilo più moderato;   dal lato delle oligarchie regionali, l’imposizione del denominato plebiscito “per l’autonomia” della regione orientale, in realtà una secessione, la quale ha come obiettivo l’auto-appropriazione delle risorse, che sono invece di tutto il popolo, da parte di queste minoranze. In questo conflitto si giocano importanti o meglio fondamentali interessi regionali; NON è certo un problema che possa essere sottostimato, specie da Argentina e Brasile, quella della creazione di un nuovo Stato. Uno Stato sicuramente fantoccio, avente un controllo fisico DIRETTO su risorse strategiche enormi, come le già conosciute immense riserve di gas; ed INDIRETTO  su altre: come la conca Paraguay-Paranà, Guaranì, Mato Grosso, Amazzonia, Gran Chaco. In sintesi: le riserve mondiali di acqua;  OLTRE ad avere possibilità di accesso a vie di comunicazione strategiche ed allo sfruttamento delle biodiversità.Agli Stati Uniti la creazione  del nuovo Stato nell’Oriente boliviano,  garantirebbe un nuovo enclave, come l’Iraq ed Israele, ora però nel cuore stesso del Sud America. Una sorta di ripetizione della secessione imposta nel 1903 alla Colombia con l’invenzione dello Stato di Panama, quando decisero la costruzione del canale e del suo unilaterale controllo. Un nuovo enclave nordamericano, questa volta di peso strategico immenso,  e sicuramente fattore di nuove maggiori violazioni e violenze contro i popoli latinoamericani.  

II. RELAZIONI INTERNAZIONALI DALBASSO.

Ci sembrano dunque dimostrati, diciamo così, sia la necessità della decisione di sviluppare “internazionalismo” che la scelta del “soggetto” con il quale svilupparlo.La scelta del soggetto, omologo o compatibile all’esperienza antagonista, polarizza in gran parte, esplicitamente ed implicitamente, il modello di “internazionalismo” che le relazioni reciproche bilaterali o multilaterali vanno costruendo. Non dunque un modello che assuma una qualche forma di riferimento rispetto all’internazionalismo proletario. Non una riedizione corretta del modello di relazioni più o meno subordinate, più o meno a senso unico, più o meno mitizzate con il movimento  che sta “facendo la rivoluzione” e che va appoggiato con campagne di solidarietà, che di riflesso possono darci spazio e/o visibilità.Queste categorie di assunzione negative sono parte fondante della proposta di “relazioni internazionali dal basso”.   

II.1. CONTORNO E RIFLESSIONI GENERALI.

Gli ultimi anni hanno visto i movimenti in Europa e nel mondo lottare contro il neoliberismo e la guerra permanente degli stati uniti. Il movimento ha capito che lottare nel proprio paese contro il capitalismo e l’imperialismo non solo statunitense significava per forza di cose unificare i propri obiettivi con quelli dei movimenti degli altri paesi europei nonché degli altri continenti. Sopratutto in America Latina come in Argentina, Brasile, Guatemala Messico, Bolivia Colombia si sono mobilitati veri e propri movimenti popolari che hanno creato senza dubbio una nuova  atmosfera politica; che nelle richieste di cambiamento sociale profondo praticano all’interno delle realtà organizzate di classe nuovi rapporti di produzione e di scambio. Questi movimenti popolari in molte situazioni hanno rotto con quei partiti politici terzointernazionalisti di sinistra, che ancora fanno proprio il verticismo come metodo di agire, auto organizzandosi dal basso apportando come metodo di agire l’orizzontalità e le assemblee popolari come strumento massimo decisionale.

Un’altra novità degli ultimi dieci anni è stata la rivendicazione da parte dei popoli indigeni in prima persona del soddisfacimento dei propri bisogni e diritti  unificandoli con chi lotta per un cambio societario ovvero una lotta comune per una migliore qualità della vita e dignitosa. Una novità questa che ha scompaginato gli schemi classici della politica in quanto in alcuni paesi la presenza indigena è di gran lunga una  maggioranza dei popoli. Queste nuove spinte da parte dei movimenti latinoamericani hanno portato anche noi come componente del movimento antagonista a rivedere quello che è sempre stato l’internazionalismo. In questa situazione abbiamo discusso  come attuare una proposta concreta che ci ha portato a formularla con il nome di "relazioni internazionali dal basso" un’iniziativa sviluppata orizzontalmente e collettivamente sia sul campo che sul piano dell’analisi e che vede nelle contraddizioni interimperialiste il motore degli accadimenti politici,economici e militari di oggi ovvero le logiche di guerra che coprono il mondo. “relazioni internazionali dal basso” come forma di scambio politico reciproco fra esperienze che pongono l’auto-organizzazione ed il contropotere come metodo di lotta e di nuova forma di vita sociale; un collegamento ,ovviamente , fra movimenti che lottano nel proprio paese contro il capitalismo ed il dominio del fondo monetario internazionale per una nascita e crescita di rapporti basati sull’orizzontalità e la collettivizzazione dell’incedere politico.“relazioni internazionali dal basso” che mettono a confronto le proprie esperienze di lotta che arricchirebbero le situazioni su latitudini differenti. Sviluppare cioè un percorso collettivo che tenti di dare risposte nel segno della solidarietà da lavoratore a lavoratore fuori dalle strumentalizzazioni istituzionali e dagli organismi non governativi. 

II.2. ENUCLEAZIONE DEI CARATTERI DISTINTIVI.

Ci sembra a questo punto, importante enucleare contenuti, obiettivi e metodi delle “relazioni internazionali dal basso”.Le “relazioni internazionali dal basso” si sviluppano contemporaneamente su tre momenti o piani interdipendenti, oggetto di coordinazione, di scambio e di rettifica comuni tra le parti: – il primo, potremmo definirlo come il momento resistenziale incernierato sull’anticapitalismo e sull’ antimperialismo; – il secondo, come il piano propositivo incernierato sulla pratica della costruzione di contropotere territoriale –il qui ed ora- integralmente auto-organizzato ed auto-gestito;– il terzo, come il piano di pratica e di principio della totale reciprocità finalizzata al raggiungimento di diversificati obiettivi che le realtà antagoniste, in contatto, del sud e del nord manifestano come prioritarie per le loro rispettive lotte.  Gli obiettivi, per quanto riguarda noi, sono essenzialmente quelli: – di contribuire ad una visione complessiva dei processi di contropotere in atto in questa fase;– di stabilire relazioni politiche, stabili, definite chiaramente ed orizzontali, con i soggetti che tali processi praticano;– di sviluppare un coinvolgimento giovanile attraverso il contatto e lo scambio diretto con realtà rivoluzionarie, che abbia ricadute di lotta al rientro nella nostra realtà; liberando anche energie congelate nell’associazionismo e nella cooperazione; – di produrre contro-informazione. Uno degli strumenti operativi attraverso il quale vengono in tutto o in parte realizzati gli obiettivi su indicati, è rappresentato dalle Brigate di Solidarietà e per la Pace (Brisop) che fanno esperienza e pratica diretta sul campo. Le Brisop sono anche il mezzo che entra nelle soluzioni “materiali” o comunque reali, delle priorità indicate dalla realtà antagonista del Sud:  – formazione tecnica ed appoggio diretto su alcuni assi fondamentali dell’auto-gestione (educazione, salute);– progetti auto-finanziati mirati; per esempio, nel caso della Cooperativa “Nuevo Horizonte” della ex guerriglia guatemalteca, l’acquisto e la messa in opera di una pompa ad immersione per la somministrazione di acqua potabile nelle case;– confronto tra giovani nord-sud per contribuire ad una contro-informazione che smitizzi il “sogno americano”. III. COSTRUENDO UNA COOPERAZIONE ANTAGONISTA.Come Brigate di Solidarietà e per la Pace  interne al Movimento Antagonista Toscano, diamo peso ed importanza al superamento della pratica complessiva di cooperazione rappresentata dalle tantissime ONG dipendenti dai finanziamenti e dai progetti strategici di governi e istituzioni del “nord” del mondo. Attraverso l’applicazione dei contenuti e dei metodi sintetizzati nel punto II.2. cerchiamo di contribuire a che, le tante energie giovanili presenti nell’associazionismo e nel volontariato -sfruttate, manipolate e mercificate- ma soprattutto utilizzate per conservare ciò che  esse vorrebbero eliminare –l’ingiustizia, la miseria, le malattie di cui soffrono i popoli del Sud del mondo- vengano liberate.  

III.1. È FINITA L’EPOCA DELLE ONG.

 Quando i “poveri” –i popoli del Sud del mondo- arrivano a rifiutare le “elemosine” –gli aiuti ed i programmi delle Organizzazioni Non Governative (ONG)- significa che veramente questi organismi sono arrivati al capolinea. Il 2° Vertice Continentale dei Popoli e Nazionalità Indigene tenutosi a Quito-Ecuador nel luglio del 2004, che ha visto partecipare oltre 600 portavoce di differenti popoli e paesi ( Messico, Guatemala, Honduras, Colombia, Perù, Venezuela, Brasile, Argentina) dichiarava e denunciava:… gli organismi finanziari che attuano attraverso le ONG invece di diminuire gli alti indici di povertà e rafforzare la nostra auto-determinazione e sovranità ci affossano ancora di più. I territori indigeni devono restare fuori da ogni iniziativa che risponda all’interesse del sistema economico neoliberista. Per questo decidiamo di rafforzarci e di  aderire alla campagna di boicottaggio contro gli organismi finanziari come l’FMI, il BID ed il BM, etc. quando essi promuovono, utilizzando i nostri stessi governi e le ONG, politiche e strategie contro i diritti dei popoli indigeni”. 

È il caso di riflettere, che la pratica della cooperazione allo sviluppo e l’azione delle ONG hanno assunto, negli ultimi anni, un peso notevole nella pratica e nell’immaginario, tanto da essere identificate, in una parte dell’opinione pubblica e degli stessi movimenti di opposizione, come una delle principali risposte alla realtà del neoliberismo e della guerra. Una valutazione delle premesse e dei risultati concreti di questo fenomeno porta, invece, a verificare una grande mistificazione e un sostanziale fallimento.

Miseria, fame, esclusione sociale che tre quarti dell’umanità subiscono, i cosiddetti paesi del terzo mondo, hanno cause economiche, sociali e politiche ben precise e radicate nel sistema capitalista. Dichiarare, come fanno le ONG, di volerle risolvere trasferendo (poche) risorse in quei paesi, oltre che apparire del tutto velleitario, costituisce una rimozione delle cause reali, che si dimostra in definitiva funzionale alla conservazione dell’esistente.Ci sono evidenti meccanismi che, solo per fare alcuni esempi, determinano un gigantesco trasferimento di risorse verso i paesi dominanti (USA e UE per primi): l’enorme debito estero con i relativi interessi; l’ineguale scambio commerciale (forti barriere doganali in entrata e sovvenzioni alla produzione nel Nord, apertura delle frontiere imposta al Sud, per esempio, dai Trattati di libero commercio); la liberalizzazione dei mercati, imposta con il ricatto economico e militare, cioè l’appropriazione, da parte delle multinazionali, di imprese, finanza, servizi, risorse naturali e forza lavoro a basso costo e senza diritti. A fronte di questo, le risorse destinate alla cooperazione governativa e non governativa si aggirano tra lo 0,1% e lo 0,2% del PIL dei paesi del Nord del mondo. Facendo una semplice valutazione si capisce che è come prendere 100 o 1000 con una mano e restituire 1 con l’altra: un meccanismo che può andare avanti all’infinito senza cambiare niente. E i risultati si vedono: nel 1987 le persone che vivevano con meno di un dollaro al giorno erano 100 milioni, oggi sono 1.300 milioni, nel 2020 saranno 2.000 milioni .Questo proprio nel periodo di massima espansione delle ONG, gli anni ’80 e ‘90.Entrando più nel dettaglio, una rapida considerazione merita la cooperazione governativa, direttamente gestita dai governi occidentali, e tra questi il governo italiano, nell’ambito di accordi multilaterali o bilaterali. La forma prevalente che assume questo intervento è quella del finanziamento di progetti (come infrastrutture ed altro) nei paesi del Sud, a condizione che siano realizzati da imprese dei paesi finanziatori, per esempio italiane, e utilizzino apparecchiature e servizi forniti dalle stesse: si tratta, cioè, di una forma appena mascherata di sussidi e di sostegno pubblici alle imprese, attraverso appalti all’estero, per realizzare opere che spesso non hanno nessuna utilità per le popolazioni interessate, non tengono conto dell’impatto ambientale e ancora meno delle condizioni e dei diritti dei lavoratori locali impiegati.Anche la cooperazione non governativa, gestita dalle ONG, ad una analisi più attenta, che vada al di là dell’immagine superficiale che ne viene propagandata, anche nei movimenti, mostra le sue contraddizioni e la sua sostanziale internità alle strategie dei poteri mondiali, economici e politici. In primo luogo va fortemente ridimensionato il carattere “non governativo”, cioè il grado di indipendenza, di queste organizzazioni e della loro azione. Queste dipendono, infatti, per gran parte delle loro risorse, dai finanziamenti dei governi, di istituzioni internazionali come Fondo Monetario Internazionale(FMI) e Banca Mondiale(BM) o Unione Europea (nel 50% dei progetti di cooperazione è presente la BM: sono questi che approvano e selezionano i progetti ed è a questi che devono rispondere e non certo alle popolazioni oggetto dei loro interventi. Inoltre per garantirsi finanziamenti e possibilità di intervento, devono evitare contrasti con i governi dei paesi nei quali operano, devono presentare quindi un basso profilo o rinunciare del tutto a un ruolo di denuncia politica, anche in presenza di dittature o gravi violazioni. Ma c’è da chiedersi perché i principali responsabili delle politiche neoliberiste (governi occidentali, UE, FMI, BM) abbiano da decenni scelto di finanziare dei loro presunti antagonisti, le ONG appunto. Il fatto è che quest’ultime sono state e sono parte della strategia di costruzione del modello neoliberista, uno strumento della sua affermazione, svolgendo una azione “dal basso” complementare a quella, “dall’alto”, delle istituzioni. Il loro intervento ha accompagnato e favorito i progressivi tagli delle spese pubbliche nei settori sociali di sanità, educazione, trasporti, sviluppo rurale, diffondendo una cultura antistatalista, fondata sull’esaltazione dell’iniziativa privata e della micro e auto imprenditorialità. Hanno preteso di sostituire, nella soddisfazione di essenziali bisogni sociali, i loro pochi progetti ed azioni di volontariato, all’intervento pubblico universalistico, disinnescando le potenzialità di protesta e resistenza politica. Hanno creato divisioni e competizione, per le poche risorse di cui erano portatrici, nelle società in cui sono intervenute e hanno contribuito a minare l’unità e l’indipendenza di movimenti e organizzazioni popolari. Grazie ai fondi di cui dispongono, le ONG hanno potuto cooptare nelle loro attività leader ed elementi attivi, sottraendoli ai movimenti di resistenza. Hanno agito a livello psicologico cerando una condizione di passività e di dipendenza. In sintesi hanno, cioè, svolto un ruolo di ammortizzatori tra i poteri economici e politici, nazionali e internazionali, responsabili dei disastri sociali delle politiche neoliberiste e le classi e i popoli che li hanno subiti, contribuendo a diminuirne le capacità di organizzazione e di lotta.Particolarmente grave è il ruolo svolto delle ONG in occasione delle ultime guerre. La necessità dei governi statunitensi ed europei, di giustificare e legittimare guerre di aggressione ed occupazione di paesi sovrani, come azioni umanitarie, di ripristino della democrazia e difesa dei diritti umani, ha trovato nell’intervento delle ONG uno strumento efficace e consenziente. Prima in Jugoslavia nel ’99, poi in Afghanistan e in Iraq, la giustificazione umanitaria si è fondata anche sull’avvio, dopo i massacri e le distruzioni, di  presunti quanto inefficaci programmi di ricostruzione e aiuto alle popolazioni. Programmi in cui le ONG sono pienamente coinvolte, assumendo così una funzione legittimante e un ruolo che, nelle complessive strategie politico-militari, risulta ormai complementare a quello degli eserciti.Un ulteriore aspetto, che si è affermato negli ultimi anni, anche in Italia, in modo diffuso, è la scelta di molte Organizzazioni Non Governative e no profit in genere, di assumere una linea che è stata definita di “marketing umanitario” o sociale. Si tratta di accordi commerciali, che possono assumere varie forme, tra una ONG e una impresa privata, sulla base di un interesse reciproco. Questo permette alle ONG di allargare le loro fonti di finanziamento anche ad aziende private, e, in cambio, queste hanno un ritorno in termini di maggiori profitti, legando la propria immagine e quella dei loro prodotti a obiettivi sociali. Questa scelta di tenere insieme profitto e solidarietà, sfruttatori e sfruttati, di per sé grave, ha portato a casi eclatanti, come rapporti con cosiddette "banche armate" coinvolte, cioè, nel commercio di armi (un esempio è l’accordo tra cesvi e Banca Popolare di Bergamo, tra 1998 e 2002) o con imprese specializzate in “servizi di sicurezza”, cioè, nell’addestramento ed arruolamento di mercenari, come quelli largamente presenti in Iraq (vedi l’accordo tra le ACLI e l’israeliana Logan’s LTD). Tutti questi elementi non possono che portare alla conclusione che la cooperazione allo sviluppo in tutte le sue forme e le stese ONG sono una esperienza fallimentare e da superare. Va detto chiaramente che la loro esistenza risponde ormai, solo agli interessi politici di chi le finanzia e agli interessi materiali e legati a più o meno grandi margini di potere e visibilità per chi ci lavora e, ancora di più, le dirige.L’impegno di chi non vuole accettare la realtà così com’è e intende combattere la enorme miseria ed esclusione del Sud del mondo, per essere coerente, deve assumere il carattere di una lotta che si concretizzi prima di tutto nelle nostre realtà e combatta tutti gli interessi e i poteri, dai capitali privati alle istituzioni e ai governi, che sono ne responsabili, insieme alla precarietà, allo sfruttamento, alla mancanza di diritti che viviamo anche in Europa. La necessaria proiezione internazionale di questo impegno deve rompere con l’attitudine tipica della cooperazione verso i popoli del Sud, paternalistica e caritatevole. Va invece assunto il grande patrimonio di resistenza, di lotte e di organizzazione che realtà degli altri continenti hanno saputo esprimere, per costruire relazioni tra pari, fondate sull’apporto e lo scambio reciproco; relazioni tra compagni di lotta su un unico fronte. D’altra parte questo impegno non può prevedere né ricompense né privilegi, senza diventare un fattore parassitario, come lo sono ormai le strutture della cooperazione, che assorbono il 65% delle risorse teoricamente destinate allo sviluppo, per mantenere e riprodurre i loro stessi apparati.Infine va rivendicato e imposto un criterio fondamentale: se le istituzioni del Nord intendono, per qualunque motivo, destinare dei finanziamenti allo sviluppo dei paesi del Sud, questi devono essere assegnati e gestiti direttamente dai beneficiari, su progetti scelti e realizzati da loro stessi, eliminando tutte le attuali mediazioni strumentali  e parassitarie.  

III.2. BRIGATE DI SOLIDARIETÁ E PER LA PACE IN GUATEMALA.

Già da due anni, le Brisop hanno avviato un percorso di conoscenza reciproca e solidarietà con la Cooperativa Agricola Integrale "Nuevo Horizonte" e con la "Alianza Por la Vida y la Paz", nella regione del Petén in Guatemala.

 

Nuevo Horizonte è una comunità di circa 400 persone, quasi tutti ex guerriglieri delle FAR (Forze Armate Ribelli), che dopo la firma degli Accordi di Pace del 1996, che hanno messo fine a 36 anni di guerra civile, decidono di dar vita ad un progetto di Autogestione Integrale del lavoro e della vita comunitaria: la casa, l’educazione permanente, la salute e nuovi metodi di produzione, distribuzione

e scambio. A partire dal 1998 vengono costruite case, un asilo nido, una scuola elementare, un presidio sanitario e strutture produttive collettive. I primi passi di un modello sociale alternativo a quello neoliberista, fondato sulla democrazia diretta, la solidarietà, l’eliminazione dello sfruttamento.

 

Alianza Por la Vida y la Paz è un’organizzazione di base, costituita da cooperative e comunità contadine, associazioni indigene, comitati di donne, che sviluppa le lotte sul territorio per i diritti sociali come la terra, l’educazione, la salute e contro le politiche neoliberiste, i trattati di libero commercio con gli Stati Uniti e i piani di saccheggio delle risorse e devastazione ambientale, come il Piano Puebla-Panama. L’Alianza è stata tra i promotori ed i protagonisti delle mobilitazioni dello scorso marzo a Città del Guatemala ed in tutto il paese contro l’approvazione da parte del parlamento dei Trattati di libero Commercio (CAFTA) tra Centro-America e Stati Uniti.

 

Nel 2003 e nel 2004 abbiamo sperimentato la necessità e la ricchezza di un metodo fondato sulla condivisione della vita quotidiana (le abitazioni, il cibo, il lavoro, i racconti) e sullo scambio reciproco e paritario di informazioni, di esperienze di organizzazione e autogestione.

Nella pratica materiale della solidarietà, oltre ad acquistare e mettere in funzione, attraverso un auto-finanziamento, una pompa ad immersione che garantisce l’acqua alle case della Cooperativa, abbiamo messo a disposizione le nostre capacità lavorative in una serie di interventi nel campo della sanità, dell’educazione, dell’alfabetizzazione informatica, della produzione agricola e dell’allevamento. Tutti gli interventi hanno posto l’accento sull’aspetto formativo, sul trasferimento di conoscenze e saperi ai soci-lavoratori della Cooperativa in modo da incrementare le possibilità di uno sviluppo autonomo e non la dipendenza dalle tecnologie e dai saperi ad esse collegate dal nord come troppo spesso accade con i progetti delle ONG. Con lo stesso obiettivo è stato concordato lo svolgimento di tre "borse di studio" in Italia per la formazione del responsabile del presidio medico della cooperativa e di due soci che lavorano nell’allevamento.