MANIFESTO DELLA COOPERAZIONE ANTAGONISTA

º PERCHÉ MANIFESTO.

I "Manifesti", indipendentemente dalla loro specifica valenza, vedono in generale la luce nell’intento di mettere ordine nelle idee e nella attività politica di un numero di persone, in generale non astronomico, che individuando ed analizzando una contraddizione non risolubile nella realtà sociale -meno o più generale, meno o più complessa- che le vede attori, vogliono rendere pubblico e patente come tale contraddizione pretendono di superare; rompendo, necessariamente, con la prassi che l’ha generata e con la teoria che la giustifica.

I "Manifesti" fissano i loro fondamenti in categorie teoriche di interpretazione, dalle quali sviluppano riflessioni, indicazioni e proposte ritenute sufficienti e funzionali per indicare la direzione di superamento della contraddizione individuata.

Non casualmente, si scosta molto poco da questo schema il lavoro collettivo che presentiamo oggi: ovvero, il "Manifesto della Cooperazione Antagonista"; anche se qui le sue categorie generali di riferimento non sono esplicitate, ma sussunte. 

Il nucleo "atomico" che le supporta, comunque, parte dell’interpretazione scientifica che vede nel rapporto dialettico tra produzione economica e struttura sociale la base imprescindibile per comprendere lo sviluppo politico ed intellettuale di una società storicamente determinata, e, contemporaneamente, nel presente, per operare per la sua modificazione.

 

La realtà politica da noi considerata è quella del popolato universo conosciuto sotto il nome di "aiuto allo sviluppo"; universo formato, naturalmente, da "governanti", "stati maggiori" e "popolazione".

La contraddizione irresolubile è quella sviluppatasi, nel concreto, all’interno della sua popolazione: le ONG (Organizzazioni Non Governative).

 

º ONG E PVS: LA CONTRADDIZIONE.

Le ONG, sono organizzazioni di distinta provenienza politica e culturale (la causa della nascita la accenneremo più avanti) operanti a 360° nello spazio e nella soluzione dei distinti problemi che affliggono l’umanità. Nella loro maggioranza sono però attestati nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), occupandosi, essenzialmente con la realizzazione di progetti "ad hoc", di far capire a chi ha la fortuna di vivere laggiù, come si fa a svilupparsi.

Bisogna ormai convenire che la sorte non è stata benevola con le ONG.

Nel tempo che le ONG, nate su dichiarazioni ed obiettivi formali di grande respiro -lotta alla povertà, sviluppo, senza però chiarire cosa si debba intendere nelle attuali condizioni storiche per sviluppo e per sviluppo dei paesi poveri, giustizia sociale, giustizia tra i popoli, pace duratura a livello mondiale- crescevano e si rafforzavano, parimenti si aggravavano ed aumentavano le condizioni negative alle quali esse avevano dichiarato guerra.

Nel tempo che le ONG enunciavano i loro obiettivi -sussumendo quindi l’esistenza di un SISTEMA responsabilmente generatore di quei "mali" che denunciavano; e presentandosi conseguentemente, se non come le sue affossatrici almeno come le sue indebolitici e modificatrici- divenivano parimenti dei fattori, diretti o indiretti, di rafforzamento di tale SISTEMA.

Constatare la dialettica di questo processo -assumendolo per quello descritto dalle ONG stesse- non è certo cosa impossibile: il corpo delle ONG, nella misura in cui si rafforza quantitativamente in maniera DIPENDENTE si indebolisce in modo irreversibile sulla proponibilità, anche solo formale, del proprio progetto umanitario.

Ma, chissà, per capirci qualcosa di più, non importerebbe nemmeno scomodare la scolastica o la dialettica; ma solo ricordare che le ONG sono state "pensate" dal neoliberismo per "pompierare" -comprando, cooptando, corrompendo, dividendo- le reazioni e le ribellioni delle masse popolari del Sud del mondo contro l’applicazione violenta delle sue disastrose "ricette" economiche.

Esse, le ONG, sviluppatesi nel big-bang neoliberista, forse di tale soffio creatore nemmeno ne hanno avuto percezione, o forse, dato il momento "caldo" saturo di comprensibile, estrema confusione, lo hanno dimenticato: intanto continuano a lottare "contro".

 

º ASPETTI STRUTTURALI.

Nel Nord del mondo, capitali e tecnologie, cioè ricchezza e potere, sono concentrati nelle DECISIONI e nelle mani di pochi.

Nel Sud del mondo, su tutte le masse popolari, sono distribuite, quasi uniformemente, povertà e coercizione.

Su questa constatazione affermiamo: IL SUD FINANZIA IL NORD.

Le nostre "categorie interpretative" si confermano, su questa scala e per queste equazioni di bilancio, valide. I dati pubblici e disponibili dicono che ogni anno in qualità di "servizio" del suo debito estero, il Sud paga al Nord 230.000 milioni di dollari. Questa cifra, però, va più che raddoppiata: occorre infatti aggiungervi le migliaia di milioni derivati dai saccheggi di materie prime e di forza lavoro, dai plus-profitti incassati per le ingiuste relazioni internazionali di scambio, dalla fuga di capitali. Si arriva così alla quantificazione del totale di questo "trasferimento finanziario": più 500.000 milioni di dollari all’anno. DUNQUE È CERTO: IL SUD FINANZIA IL NORD.

NON È un mondo "arrovesciato", come alcuni dicono, pensando ad una sorta di diritto naturale per cui chi ha molto dovrebbe dare qualcosa a chi non ha nulla, e NON viceversa!

NO, non è "arrovesciato".

È semplicemente il mondo "addirizzato" del neoliberismo.

Una educazione strutturale allo sviluppo, implica necessariamente il passaggio della negazione e del superamento del sistema neoliberista.

 

º º DESCRIZIONE DI SCENARI: OVVERO, INTORNO AI CONSUMI.

Una vera dichiarazione di guerra alla miseria del Sud, vede, tra le condizioni del suo inizio, la chiusura del "rubinetto" dal quale escono i 500.000 milioni. La conseguenza quasi immediata di tale chiusura, inevitabilmente, va a polarizzare serie tensioni ANCHE all’interno delle classi subalterne del Nord, pur se noi solamente fruiamo delle gocce sterilizzate di questa gigantesca massa di ricchezza permanentemente speditaci dal Sud.

A sinergizzare strutturalmente queste tensioni, temporalmente a monte o a valle della chiusura, si stabilizzano dei cambi profondi nel modello produttivo (di merci) che inducono modifiche di pari importanza nel modello dei consumi; ad iniziare da quelli energetici. Il superamento del sistema neoliberista contiene necessariamente al suo interno queste condizioni; una strategia che non le assuma conseguentemente, sia nella lotta politica nel Nord che nella cooperazione antagonista con il Sud, risulta insostenibile e devastante nei risultati.

In un contesto totalmente distinto rispetto a quello che noi viviamo -incommensurabile anche per le nuove e distinte relazioni implementate dal neoliberismo, ma attuale come riflessione interna alle classi subalterne riguardo al problema della trasformazione degli scambi internazionali- il "Che" chiedeva ai paesi del blocco sovietico: "… lo sviluppo dei paesi che iniziano ora il cammino della liberazione, deve costare ai paesi socialisti … Crediamo che con questo spirito dobbiamo affrontare la responsabilità di aiutare i paesi dipendenti e che non si possa più parlare di sviluppare un commercio di beneficio mutuo basato nei prezzi che la legge del valore e le relazioni internazionali dello scambio ineguale … impongono ai paesi sottosviluppati. Come si può pensare ad un "beneficio mutuo" il vendere ai prezzi del mercato mondiale le materie prime che costano sudore e sofferenze senza limiti ai paesi sottosviluppati e comprare ai prezzi del mercato le macchine prodotte nelle grandi fabbriche automatizzate del presente?".

 

º NEOLIBERISMO E ONG: CONVIVENZA CHE SI TRASFORMA IN COMMENSALISMO.

Negli anni ’60 inizia ad operare ciò che oggi si conosce come "Cooperazione Internazionale Nord-Sud". Quali erano i suoi obiettivi? È ormai ammesso e archiviato che -dalla sua nascita all’implosione del blocco sovietico- "l’aiuto allo sviluppo" rispondeva essenzialmente alla strategia contro-insurrezionale su scala planetaria, giustificata come lotta al comunismo. La "Alleanza per il Progresso", messa in piedi dall’amministrazione Kennedy, ne è l’esempio più evidente.

POI, di volta in volta modificando le sue auto-definizioni, si arriva all’ultima; quella del luglio 2003: "La Cooperazione Internazionale è un’opzione strategica di associazione tra governi, società civile e settori produttivi, orientata verso il trasferimento della conoscenza scientifica, tecnologica e tecnica, educativa e culturale come base per l’ottenimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, il benessere e l’equità sociale".

In quanto il Sud finanzia il Nord con più d 500.00 milioni di dollari all’anno, diviene fondamentale capire "come" e "quanto" gli organismi internazionali politici e finanziari –Nazioni Unite, governi, FMI, BID- destinano al Sud; questo per capire la credibilità della volontà di realizzare le mete da essi univocamente stabilite: sviluppo sostenibile, benessere, equità sociale.

Vediamo il "come": il "come" è stato fissato nell’accordo tra le nazioni più ricche di trasferire ai PVS lo 0,70 % del loro Prodotto Interno Lordo (PIL); aspetti equivalenti per gli organismi internazionali finanziari. In realtà, la media di questi trasferimenti si attesta sullo 0,25 % dei PIL, e nel caso dell’Italia sullo 0,15% in media.

Vediamo il "quanto": il quanto complessivo lordo sono 60.000 milioni di dollari all’anno, dei quali solo il 20 % arrivano realmente al Sud.

Le "misure" di un fenomeno identificano la sua evoluzione e qui l’identificazione è estremamente chiara.

Il neoliberismo continua e perfeziona scientificamente la rapina a costo del Sud e predispone, di conseguenza, meccanismi di controllo sociale che sono l’equivalente di quelle contro-insurrezionali.

 

Ma il SISTEMA neoliberista, bisogna dargliene atto, oltre ad agire, teorizza: la sua soluzione per i "mali" del mondo l’ha sintetizzata alla 60ª Assemblea delle nazioni Unite del settembre scorso. Attraverso l’amministrazione statunitense, sua portabandiera ufficiale, ha ignorato ed avversato i formali e del resto inutili riferimenti alla lacrimosa volontà di eliminare guerre, disuguaglianza economica, povertà, malattie, analfabetismo e così litanïando; ponendo ed imponendo al loro posto, come soluzione strutturale, due obiettivi prioritari e poli di una stessa contraddizione:

– il primo, quello di garantire "mercati aperti"e "libero commercio" da loro postulati condizione necessaria e sufficiente per la democrazia universale, per un mondo veramente libero. Spezzando, anche e soprattutto con la forza, le eventuali resistenze di chi avesse opinioni contrarie;

– il secondo, quello di sviluppare una lotta senza pietà contro la loro accezione di "terrorismo", nemico strutturale della condizione prima enunciata.

Per dimostrare come tali obiettivi prioritari siano la ricetta giusta, si sono citati gli esempi concreti che la validerebbero: Afghanistan e Iraq. Dunque, oltre alla enunciazione teorica anche la riaffermazione del metodo: quello della guerra -di rapina e di asservimento, permanente ed illimitata- come regola delle relazioni internazionali.

Ed in questa prassi ed in questa teoria -che NON POSSONO essere sottovalutate, vista la provenienza- non sono assenti le ONG, inquadrate come "esercito civile d’intervento rapido"; dotato di un suo "stato maggiore" battezzato con il nome di "Ufficio del Coordinatore per la Ricostruzione e la Stabilizzazione" il cui funzionario responsabile è Carlos Pascual, già ambasciatore nell’Ucraina della "rivoluzione arancione".

 

É con questo SISTEMA che le ONG profittevolmente convivono; è questo SISTEMA che più o meno direttamente le ONG legittimano "annacquandogli" le contraddizioni e fornendogli "paraventi morali". Molte di loro, se non tutte, utilizzano mimetismi e messaggi "subliminali", ancorché contorti, con i quali convincere che le risorse assegnate loro -anche e soprattutto da soggetti "non amici"- verranno utilizzate per moderare e, forse, modificare, i disastrosi risultati derivati dalle misure politico-economiche neoliberiste applicate sui popoli del Sud del mondo. Ma questo curioso esercizio di dialettica cartacea non regge alla prova dei fatti. Innanzitutto, per l’evidente e totale subalternità strategica delle ONG ai propri finanziatori istituzionali, e comunque perché la scala d’intervento tra chi dovrebbe curare "i mali", cioè le ONG, e chi li produce, cioè i governi, le multinazionali e gli organismi finanziari internazionali, non è paragonabile; come dimostrato.

Non si vuota l’oceano con un secchiello, ovvero la somma di una serie i cui elementi sono tutti zero, è comunque zero. Per questo, oggi, nella realtà nella quale ci muoviamo, nemmeno ci interessa l’esistenza, o la possibilità di esistere, di eventuali -ripetiamo: eventuali- ONG "anomale".

 

º COOPERAZIONE ANTAGONISTA: LA NOSTRA PROPOSTA.

C’è molta gente, onesta, che risulta coinvolta nella indefinita prassi ONG per "l’amicizia tra i popoli e per un mondo più giusto"; tra queste persone, molte, sono vicine o addirittura si identificano con la figura del "Che" Guevara; con le lotte dei popoli indigeni del Continente Latino Americano, iniziando con gli zapatisti, per nuove relazioni tra gli uomini –a partire dalla relazione  tra donna e uomo– e tra gli uomini e la natura; con la pratica delle autogestioni produttive e distributive, come quelle messa in atto dai "piqueteros" argentini.

Ed è certo vergognoso ottenere da queste persone, attraverso la menzogna o l’ambiguità risorse, materiali e/o intellettuali, le quali, donate per rafforzare questi proposte si trasformeranno, "nel loro spostamento al Sud", in fattori di stabilizzazione del sistema che le nega.

C’è molta gente, onesta, che risulta coinvolta nella indefinita prassi ONG di "aiutare i più deboli ed i più poveri"; tra queste persone, molte, sono vicine o addirittura si identificano con Gaspar García Laviana, il sacerdote spagnolo morto combattendo in Nicaragua nelle file del Frente Sandinista de Liberación Nacional; con padre "Guadalupe", massacrato dall’esercito honduregno nel tentativo di fissare un foco guerrigliero nel Dipartimento di Olancho; con le migliaia e migliaia di "catechisti di villaggio" e le decine di sacerdoti che hanno donato la loro vita lottando a fianco delle masse popolari in Salvador e in Guatemala.

Ed è certo vergognoso ottenere da queste persone, attraverso la menzogna o l’ambiguità risorse, materiali e/o intellettuali, le quali, donate per combattere la miseria si trasformeranno, "nel loro spostamento al Sud", in fattori di stabilizzazione del sistema che la genera.

 

L’intercettazione da parte della cooperazione antagonista di quello che abbiamo chiamato universo dell’aiuto allo sviluppo, ha dunque il significato e la volontà DOVEROSI di sviluppare ora e qui da noi un percorso basato su una impostazione radicalmente diversa anche rispetto alla categoria ‘sviluppo’ che deve liberare energie. Energie da utilizzare per trasformare una indefinita prassi di appoggio verso le masse lavoratici del Sud, di indefinito aiuto "ai più deboli e ai più poveri" del Sud, in una teoria ed una prassi di solidarietà cosciente tra gli oppressi del Nord e del Sud; condizione, tra le altre, imprescindibile per contribuire davvero a combattere la reale causa dei "mali" formalmente denunciati dalle ONG: la globalizzazione neoliberista, la globalizzazione costruita dagli oppressori.

Assumendo le argomentazioni, le riflessioni e le parziali conclusioni a monte di quanto scritto e quelle degli incontri tematici di questa "due giorni", ci sembra di aver fatto chiarezza e di non aver lasciato ambiguità sul ruolo oggettivo che le ONG svolgono -indipendentemente da ciò che esse pensano di sé- nell’attuale scenario neoliberista.

 

Su questa base, noi, iniziali promotori e firmatari della presente iniziativa sviluppatasi a Lucca nei giorni 5 e 6 di novembre, assieme -per il presente momento- ai compagni guatemaltechi, argentini e colombiani con i quali siamo impegnati nell’implementazione della cooperazione antagonista,

 

DICHIARIAMO:

 

sulla lotta, oggi:

gli ultimi anni hanno visto i movimenti, in Europa e nel mondo, lottare contro il neoliberismo e la guerra permanente ed illimitata degli Stati Uniti. Il movimento ha capito che lottare nel proprio paese contro il capitalismo e l’imperialismo, non solo statunitense, significa per forza di cose unificare i propri obiettivi con quelli dei movimenti degli altri paesi.

Sopratutto in America Latina ovvero in Argentina, Brasile, Guatemala Messico, Bolivia, Colombia, si sono sviluppati veri e propri movimenti popolari che hanno creato senza dubbio una nuova atmosfera politica; richieste di cambiamento sociale profondo, praticate all’interno delle realtà organizzate di classe con l’implementazione di nuovi rapporti di produzione e di scambio. Questi movimenti popolari, in molte situazioni, hanno rotto con quei partiti politici di derivazione terzointernazionalista, che ancora fanno proprio il verticismo come metodo di agire; i movimenti si sono auto-organizzati dal basso, apportando come prassi l’orizzontalità e come strumento massimo decisionale le assemblee popolari.

Un’altra novità degli ultimi dieci anni è la rivendicazione da parte dei popoli indigeni, come tali, del soddisfacimento dei propri bisogni e diritti; unificandoli, ora, però, con chi lotta per un cambio societario strutturale ovvero una lotta comune per una vita migliore. Una novità questa che ha scompaginato, per esempio, gli schemi classici della "politica" latinoamericana in quanto, in alcuni paesi, la presenza indigena è di gran lunga la maggioranza.

Questo nuovo quadro, in cui, ripetiamo, i movimenti latinoamericani giocano un fondamentale ruolo, ha portato anche noi, componente del movimento antagonista, a rivedere quello che è sempre stato l’internazionalismo;

 

sull’internazionalismo:

sulla base delle nostre esperienze e valutazioni politiche concrete, stiamo attuando una proposta operativa che abbiamo definito con il nome di "relazioni internazionali dal basso".

Le "relazioni internazionali dal basso" si configurano come una proposta:

 

– da leggersi attraverso l’analisi critica dell’esperienza storica della sinistra e che, conseguen-temente, assume una qualche forma di riferimento schematico rispetto all’internazionalismo proletario, ripropone una versione modificata del modello di relazioni subordinate, più o meno a senso unico, più o meno mitizzate, con la realtà che sta "facendo la rivoluzione" e che va sempre e comunque acriticamente, in generale, appoggiata attraverso un capillare lavoro di solidarietà;

 

– da svilupparsi orizzontalmente e collettivamente sia sul terreno che sul piano dell’analisi e che legge nelle contraddizioni interimperialiste il motore degli accadimenti politici, economici e militari di oggi ovvero le logiche di guerra che coprono il mondo;

– da realizzarsi come forma di scambio politico reciproco su latitudini differenti, tra esperienze che pongono l’auto-organizzazione ed il contropotere sul territorio come metodo di lotta per una nuova forma di vita sociale; come collegamento tra movimenti che lottano nel proprio paese contro il capitalismo e su scala mondiale contro il neoliberismo;

– da costruirsi come percorso collettivo che tenti di dare risposte nel segno della solidarietà concreta da lavoratore a lavoratore fuori dalle strumentalizzazioni istituzionali e dagli organismi non governativi. Riguardo alla solidarietà nella sua espressione concreta, uno degli strumenti operativi attraverso il quale essa viene realizzata, è rappresentato dalle Brigate di Solidarietà e per la Pace che fanno esperienza e pratica diretta sul campo. Sono, insomma, il mezzo che entra nelle soluzioni "materiali" o comunque reali, delle priorità indicate dalla realtà antagonista del Sud:

– formazione ed appoggio diretto su alcuni assi fondamentali dell’auto-gestione (educazione, salute; arte);

– progetti mirati ed auto-finanziati nel settore della produzione e delle infrastrutture;

– confronto tra giovani nord-sud per una conoscenza comparata delle distinte realtà anche per sviluppare relazioni permanenti di solidarietà su problematiche specifiche;

– produzione di materiale di contro-informazione: documentari e saggi.

 

sui nostri referenti del Sud del mondo:

i due "spettri" che oggi si aggirano per il mondo, essenzialmente in America Latina, e che impediscono sonni tranquilli per l’applicazione delle politiche neoliberiste sono i nostri referenti. Ovvero:

 

– i movimenti popolari auto-organizzati;

 

– i popoli indigeni;

 

le cui lotte e ribellioni risultano in qualche modo sinergiche e coordinate. Proprietà, queste due ultime, costruite indirettamente ed in certo modo ineluttabilmente dalla stessa e medesima globalizzazione implementata da quello che originariamente era "il capitale monopolista yanki".

La cosa non ci meraviglia, possiamo affermare.

Ma ciò che soprattutto è per noi interessante, si trova nelle considerazioni politiche che definiscono obiettivi e metodi di queste lotte e di queste ribellioni.

PERCHÉ è quello che la storia e la lotta hanno insegnato anche a noi.

 

I due soggetti sociali prima indicati, hanno dimostrato a sé stessi attraverso l’esperienza diretta che:

 

– non sarà comunque e mai la mano invisibile del mercato a distribuire loro le risorse cui hanno diritto;

– non sarà comunque e mai il modello binomiale dei partiti, a cui si vuole far esaurire la politica, e delle elezioni, alle quali si vuol far esaurire la democrazia, a garantire loro il potere necessario a costruire una società libera dallo sfruttamento capitalistico.

PER QUESTO, ESSI, hanno assunto come unico cammino strategicamente percorribile -evidentemente con le oscillazioni specifiche di ogni situazione nazionale o regionale- quello di costruire da subito nuove forme di potere territoriale -autogestione della salute, dell’educazione, utilizzazione della terra e dei mezzi di produzione in proprietà collettiva- senza le quali è impensabile pretendere in futuro di rimpiazzare il vecchio potere politico centrale e tenerne, nel tempo, l’equivalente.

su chi ci legittima:

senza alcuna presunzione, anzi, con molta umiltà,diciamo che ci è assolutamente estranea la logica di essere legittimati a lottare contro i "mali" del sottosviluppo, da chi questi stessi "mali", derivati dallo sfruttamento, contribuisce a produrre. La nostra legittimità ad operare, ovvero la nostra decisione-diritto a cooperare con i movimenti del Sud del mondo che combattono il neoliberismo, risiede moralmente e concretamente nei legami reali e non cartacei, di solidarietà politica e materiale che noi da anni stiamo implementando con quella realtà. La presenza, qui ed oggi, dei compagni latinoamericani, ne è una dimostrazione.

 

ASSIEME AD ESSI FACCIAMO APPELLO

a chi non vuole accettare la realtà così com’è ed intende impegnarsi per combattere da protagonista la enorme miseria ed esclusione del Sud del mondo, assumendo contemporaneamente la necessità di sviluppare qui da noi una battaglia contro le cause che la generano e che interferiscono sempre più sui nostri diritti e libertà:

PERCHÉ con il suo impegno, assieme a noi, contribuisca al superamento dell’attitudine tipica della cooperazione verso i popoli del Sud, paternalistica e caritatevole; superamento che ponga la categoria della reciprocità al centro delle relazioni, comprendendo e valorizzando il grande patrimonio di resistenza, di lotte e di organizzazione che i movimenti del Sud e del Nord hanno saputo e sanno esprimere, con l’obiettivo di costruire un unico fronte che possa affrontare la globalizzazione neoliberista attraverso la globalizzazione delle lotte.

PERCHÉ con il suo impegno, assieme a noi, costruisca nelle prassi e nella teoria le condizioni di superamento delle realtà parassitarie quali sono ormai le strutture della cooperazione che assorbono il 65% delle risorse teoricamente destinate allo sviluppo, per mantenere e riprodurre i loro stessi apparati e garantire, spesso, nicchie di arricchimento e di privilegio individuali (altre quote percentuali, come se non bastasse, verranno tuttavia assorbite nel "percorso").

PERCHÉ con il suo impegno, assieme a noi, faccia assumere il criterio, di principio fondamentale, che le risorse "previste" per i paesi del Sud debbano essere assegnate direttamente alle sue realtà sociali richiedenti -eliminando tutti gli attuali passaggi di intermediazione, condizionamento e cooptazione- le quali realtà, tali risorse, gestiranno autonomamente su progetti definiti e realizzati da loro stesse.