PALESTINA: UN PAESE CHE FA CONCRETAMENTE CAPIRE IL RUOLO DELLE O.N.G. NELLE LOTTE POPOLARI DEL SUD DEL MONDO.
(Stefania Costantini)
Nel quadro regionale del Medio Oriente arabo, la società palestinese si è sempre distinta storicamente per la vitalità della rete associativa che costituiva una base di resistenza all’occupazione insieme a forme tradizionali di organizzazione come la famiglia, la moschea, la chiesa o la comunità di villaggio. Questa rete dava risposta prima di tutto ai bisogni materiali della popolazione soprattutto nel campo della salute e della scuola.
Era contemporaneamente un fattore di mobilitazione sociale e politica, che contribuiva a preservare l’identità nazionale dei territori occupati.
Molte associazioni erano legate alle fazioni politiche dell’Olp, che tentava di assumere il controllo dei sindacati, delle organizzazioni femminili o di quelle studentesche.
Dopo la sconfitta del 1982 sono nati i comitati popolari di lavoro volontario, che hanno cambiato la natura stessa del militantismo nazionalista e ne hanno allargato la base, impegnandosi nella gestione delle città, nell’assistenza medica o giuridica ai più poveri, nella creazione di cooperative domestiche o di centri di pianificazione familiare. La rete di comitati popolari ha costituito in realtà contemporaneamente un serbatoio di reclutamento per le fazioni politiche e lo strumento di una mobilitazione sociale di massa che ha trionfato poi con l’Intifada.
Queste strutture organizzative hanno costituito il quadro di riferimento dell’Intifada nel 1988-1989, imponendo strategie inedite di lotta . All’interno di questa strutturazione, le donne palestinesi hanno avuto un ruolo fondamentale: sono state, per esempio le promotrici della campagna di boicottaggio del 1987 contro i prodotti israeliani nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che tanta eco ha avuto in Europa. L’iniziativa sembrava presentare enormi difficoltà a causa della mancanza di industria palestinese locale; per convincere le famiglie palestinesi a boicottare i prodotti israeliani, era necessario fornire loro fonti alternative di reddito e di prodotti. Così le donne palestinesi hanno cominciato a creare delle cooperative per la produzione di beni di consumo primari: in tal modo potevano non soltanto incoraggiare l’iniziativa di boicottaggi, ma anche sviluppare l’ infrastruttura-base per un’economia palestinese. Inoltre durante la prima Intifada, le donne palestinesi hanno condotto una campagna per riaprire le scuole (che erano state chiuse dall’esercito israeliano). Durante questa campagna, le madri palestinesi fondarono clandestinamente delle comunità scolastiche che i loro bambini potevano frequentare.
Formalmente la prima Intifada si è conclusa con la firma degli "accordi di Oslo" nel 1993 che hanno di fatto avuto lo scopo di essere un potente agente di pacificazione/controllo del conflitto, inseriti com’erano nella nuova strategia nel dominio imperialista statunitense nel Medio Oriente, anticipata dalla "dottrina Carter dei diritti umani", seguita dalla "dottrina Reagan della "democratizzazione globale".
In un contesto di quello che veniva definito "Stato palestinese" formatosi all’interno di un sistema capitalistico, una entità senza confini, senza continuità territoriale, priva di economia ed infrastrutture, con tassi di disoccupazione altissimi, impegnata solo nello sviluppo degli apparati repressivi per soddisfare il delirio securitario di Israele, si è assistito al dilagare delle ONG.
Secondo uno studio della metà del 1996, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza operavano e operano circa 1000 ONG. Sul piano dei finanziamenti, una ricerca condotta nel 1997 su un significativo campione di ONG ha mostrato che il 31% di queste dipendeva totalmente o quasi da finanziamenti stranieri, il 16% dichiarava che gli aiuti stranieri erano una componente fondamentale del loro bilancio, il 18% affermava di dipendere da finanziamenti locali, il 5% da finanziamenti governativi, il 27% da investimenti privati e il 3% dai contributi dei loro membri.
I dati aggiornati al 2005 (fonte: Middle East Report) parlano di 1200 O.N.G, 200 delle quali a direzione straniera, 400 locali ed raccolte nell’organizzazione Unione Generale delle Organizzazioni Caritatevoli, 90 raccolte nel Network palestinese delle organizzazioni non governative, e un paio di centinaia raccolte in 4 Unioni.
Appena due anni dopo la firma degli accordi, le più grandi agenzie di donatori internazionali hanno spostato i loro pacchetti di aiuti verso "programmi di assistenza allo sviluppo".
L’USAID è stato l’organismo che ha dichiarato più esplicitamente i suoi obiettivi politici: sulla questione dell’aiuto ai palestinesi si riferisce che un funzionario dell’USAID abbia detto: «per ragioni politiche, è interesse del nostro governo coordinare gli aiuti con Israele. La linea dell’ambasciata è che vengano garantiti gli interessi di Israele e che i funzionari israeliani vengano coinvolti nel processo decisionale» (Jerusalem Media & Communication Centre, Mortgaging Self-reliance, Foreign Aid and Development in Palestine, Phase 2 Report, Gerusalemme, novembre 1997).
Secondo i registri dell’organizzazione, tra il 1992 e il 2003 è stato erogato alla Palestina dieci miliardi di dollari che ha reso l’USAID il più grande donatore bilaterale verso il popolo palestinese. Fino al 2005 si poteva trovare la sua firma su 52 contratti riguardanti creazione di lavoro, giovani, diritti delle donne, allocazione di risorse, assistenza finanziaria e altre decine di iniziative sussidiari. Inoltre si alcune tra le più prestigiose O.N.G. hanno ricevuto soldi dall’organizzazione legata direttamente alla C.I.A., National Endowment for Democracy (NED). Altri donatori (U.E. e Giappone i partner principali) hanno finanziato progetti su temi relativi alla "democrazia", gestiti dalle ON.G., che tendono a focalizzarsi sui diritti individuali più che sui diritti collettivi o sull’organizzazione della popolazione intorno a questioni da essa ritenute importanti.
Ovviamente tutti gli aiuti sono subordinati all’accettazione di alcuni diktat: tutte le ONG che accettano finanziamenti governativi stranieri devono firmare una "certificazione riguardante il finanziamento del terrorismo", in cui si impegnano a "non fornire sostegno materiale né risorse a qualunque individuo o ente che sostenga, pianifichi, sponsorizzi, o sia stato coinvolto in attività terroristiche". Il testo si basa sull’Executive Order 13224, che elenca i gruppi che gli Stati Uniti giudicano "legati per certo al terrorismo", con i quali chiede a chi usufruisce dei finanziamenti di non collaborare. Sono esclusi dalla certificazione le medicine e gli oggetti di culto. Nell’elenco c’è Hamas, Jihad islamica palestinese, le Brigate dei martiri di al Aqsa, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il Fronte democratico per la liberazione della Palestina: tutte le organizzazioni della resistenza palestinese.
Con Oslo si è voluta smantellare l’articolazione resistenziale della prima Intifada: l’industria internazionale degli aiuti è stata assolutamente strumentale nel far spostare il contesto di lotta palestinese dalla resistenza all’occupazione alla "costruzione della pace", decontestualizzando la realtà dell’occupazione militare. Ciò ha determinato e determina una depoliticizzazione ed una professionalizzazione delle forma della politica: centinaia di persone sono state impiegate per lo più nello «sviluppo delle risorse umane».
Il personale è stato perlopiù reclutato tra le elitès culturali e dirigenziali della prima Intifada, costituendo una ulteriore frattura con la popolazione e una cooptazione delle intelligenze nazionali nonchè il prevalere di una linea individualista a discapito delle lotte collettive.
Il paradigma della globalizzazione capitalistica che ha come naturale conseguenza la proposizione della privatizzazione come soluzione a problemi sociali ha permesso la delega alle organizzazioni non governative della risoluzione di problematiche sociali legate allo sviluppo capitalistico, come l’educazione primaria e la disoccupazione femminile.
L’articolazione interna di questa arma nei paesi a capitalismo avanzato si chiama "terzo settore" e presenta le medesime peculiarità.
Il paradigma liberale che pervade l’industria internazionale delle ONG non include e non permetta che vengano incluse priorità di liberazione nazionale tra gli obiettivi. Così l’intervento delle O.N.G. è stato fatto da una prospettiva strettamente umanitaria, senza riconoscere che il popolo palestinese è un popolo occupato e che la mancanza di infrastrutture statali è in effetti il risultato diretto dell’occupazione straniera. Quindi, le iniziative delle ONG hanno rivolto la loro attenzione sui sintomi e non sulle cause.
Questo problema è particolarmente pronunciato all’interno delle organizzazioni internazionali delle donne. Le donne delle organizzazioni internazionali danno finanziamenti per maggiori diritti alle donne palestinesi e per le questioni inerenti la parità tra i sessi senza riconoscere il legame fra il patriarcato palestinese e l’occupazione israeliana.
Ovviamente esiste tuttora una rete di strutture che continuano a lavorare al di fuori di questa logica privilegiando i criteri dell’autorganizzazione e dell’autogestione, e avendo come paradigma teorico l’anticapitalismo.
Si parla in particolare dell’Unione del comitati delle donne palestinesi (UPWC, fondato nel 1982) e dell’Unione dei comitati dei lavoratori della salute (UHWC, fondato durante la prima Intifada e attivo in West Bank e nella Striscia di Gaza) che non hanno smantellato il portato politico della prima Intifada, che rifuggono le donazioni vincolate e che portano avanti una resistenza quotidiana permettendo agli asili nido e alle scuole per l’infanzia (non garantiti dall’Autorità Nazionale), agli ospedali dei campi profughi di funzionare per tutti e tutte, fornendo prestazioni gratuite o comunque modulate rispetto al reddito, veicolando dei contenuti educativi non autoritari, potenziando e garantendo diritti fondamentali come quello all’istruzione e alla salute.
Sono questi i progetti che ci siamo impegnati e impegnate a sostenere,certi e certe che sono articolazioni importantissime di una resistenza popolare che si è tentato di pacificare con ogni mezzo.
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