11 agosto 1944: FIRENZE SI LIBERA DAI FASCISTI! PER RICORDARLO PUBBLICHIAMO DUE CONTRIBUTII di “VITTORIO” e “GIANNI” PARTIGIANI DELLA 22ª bis BRIGATA “VITTORIO SINIGAGLIA”, LA PRIMA A PASSARE L’ARNO PER CACCIARE I FASCISTI. Non è tempo perso commemorare l’oggi di 67 anni fa. Le relazioni capitaliste producono fisiologicamente e senza soluzioni di continuità del “fascismo”. La sua presenza latente è sempre stata, è e sarà resa di volta in volta concreta in specifici momenti di scontro politico del nostro paese in funzione delle necessità interne ed internazionali delle classi dirigenti italiane. Chi si richiama al fascismo non guarda al passato ma al presente. Si candida, cioè, pubblicamente per conquisastare un peso politico nell’assolvere il ruolo che le vecchie squadracce hanno storicamente avuto: garantire, attraverso la repressione politica, economica e fisica delle classi subalterne, il potere a chi non è più in grado di esercitarlo. Il fascismo è illegale e va combattuto in ogni sua manifestazione e giustificazione: il XII punto delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione va comunque applicato. Per ricordare “l’11 agosto” pubblichiamo due contributi di partigiani combattenti della “Vittorio Sinigaglia”. Il primo, inedito, è in versione integrale. Del secondo, già conosciuto, presentiamo alcune parti. Per confronti, dibattiti, iniziative (anche utilizzando il documentario “memoria viva”) su temi legati alla Resistenza diamo la nostra totale disponibilità. Firenze 11 luglio 2011 – “brigate di solidarietà e per la pace” nel Coordinamento Guevarista Internazionalista FAR – Argentina e MRO – Uruguay

rammenti di lotta di “VITTORIO” – MARIO GORINI

Questa relazione sulla 22ª bis Brigata “Vittorio Sinigaglia”, scritta da “Vittorio” nelle soste permesse dai combattimenti nel luglio del 1944, è stata donata dalla sua famiglia alle “Brigate di Solidarietà e per la Pace” con l’idea che questo nostro contributo sulla Resistenza a Firenze serva di stimolo alla lotta da riprendere oggi.                                           Mario Gorini (l910-1971) era al 20 agosto del 1944 Commissario Politico di Brigata.

.“ … dei 150 elementi nazionali che compongono la Formazione solo cinque risultano a noi esterni: uno appartiene al Partito d’Azione e quattro sono senza partito.Tutti gli altri sono comunisti o simpatizzanti. In tali condizioni si è proceduto a formare tre Cellule ternarie al Comando ed alle Squadre Servizi e cinque e sei Cellule nella Iª e IIª Compagnia rispettivamente. I compiti delle Cellule della Brigata si possono così sintetizzare:                                                      1. Controllo sulla disciplina e sull’agire degli uomini.                                                                      2. Politicizzazione e preparazione individuale attraverso contatti personali.                                 3. Costituzione di una organizzazione capace di funzionare in futuro anche dopo lo scioglimento della Brigata.………..”                                                                                            (dalla relazione di “Vittorio” sulla Brigata)

 

“VITTORIO” nell’agosto del 1944.

 

RELAZIONE SULLA BRIGATA “V. SINIGAGLIA” – luglio 1944

 

I. COMPOSIZIONE SOCIALE DELLA FORMAZIONE.

Da una analisi degli elementi che componevano la Formazione alla data del 20 maggio, la percentuale dei coloni risultava prevalente su quella degli artigiani; minore appariva quella degli operai ed ancora più bassa quella degli studenti ed intellettuali.                                 Circa due mesi dopo, cioè in data 15 luglio, le percentuali prima riferite si erano così modificate: operai 33%; artigiani 33%; studenti ed intellettuali 20%; coloni 7%, impiegati 7%. Evidente l’ importante mutamento: forte diminuzione dei coloni ed aumento degli operai che insieme agli artigiani passano al primo posto. Altro fenomeno importante è il notevole afflusso di studenti ed intellettuali, la cui proporzione -tenuto conto della relativa esiguità di tale gruppo nella composizione sociale totale della popolazione- ci appare forte. Tali dati ci permettono di fare alcune considerazioni:

1. Sulla componente contadina:                                                                                                   per  quanto riguarda i coloni, la loro presenza nella Formazione era motivata, nella grande maggioranza dei casi, dalla necessità immediata di sfuggire alla chiamata alle armi e non da una chiara coscienza di lotta. Mancava per tanto ad essi quel saldo vincolo politico e morale che è indispensabile per sopportare per lungo tempo i pericoli ed i disagi propri della vita partigiana. Questo apparve ancora più chiaro con l’approssimarsi della stagione della mietitura e degli altri lavori agricoli, che suscitò nei coloni presenti -quasi tutti originari di località poste nei pressi della nostra zona d’azione- il desiderio di raggiungere la propria casa per compiere i suddetti lavori.                                                                                   Ciò offre la dimostrazione di come in loro il vincolo dell’interesse immediato, fosse di gran lunga più forte di tutte le altre considerazioni sull’importanza e sul valore politico e sociale della lotta contro il nazifascismo come rappresentante delle classi sfruttatrici. Restava comunque un fatto: quello della particolare cura dedicata all’elemento contadino attraverso una specifica propaganda, diretta sia a chiarire i motivi profondi della lotta sia a sviluppare l’emulazione nei riguardi degli altri componenti la Formazione. Cosa che ci portava alla convinzione di poterci fidare della loro fedeltà all’impegno preso di combattere con decisione.                                                                                                    Purtroppo l’episodio accaduto il 20 giugno, episodio noto attraverso la nostra relazione, provocò un forte sbandamento anche effetto della crudeltà del medesimo: distruzione di una casa colonica e impiccagione di chi in essa viveva, anch’essi contadini. Naturale la reazione, in parte psicologica, di ogni colono che vedendo minacciata la sua stessa casa e la sua stessa famiglia, pensò quindi di abbandonare la Formazione per poter meglio accorrere in difesa dei propri affetti e dei propri beni.                                                                                   In occasione di successivi incontri con gli elementi dispersi, abbiamo potuto però notare il permanere del vincolo di simpatia verso i compagni della Formazione ed il tentativo di giustificare il loro operato; cose che dimostrano come il periodo passato tra i partigiani abbia senza dubbio gettato il seme di una coscienza di lotta e di solidarietà.

2. Sulla componente operaia:                                                                                                       per quanto riguarda gli operai, osserveremo che inizialmente un discreto numero di essi era impiegato per la lotta urbana, decisione soggettivamente presa anche dalla ritrosia a rompere radicalmente con le consuetudini cittadine. Man mano, però, che l’oppressione nazifascista si faceva più dura e che le fabbriche chiudevano licenziando gli operai, essi si sono diretti sempre più numerosi verso la nostra Formazione ivi indirizzati, per la maggior parte, dal Centro. Ciò indica che trattatasi di elementi già più o meno in contatto col P. e dotati di una certa coscienza di lotta, tant’è che l’episodio del 20 giugno non ha scoraggiato tale componente che si è mantenuta nei ranghi della Formazione.

3. Sulla componente artigiana:                                                                                                     per quanto riguarda gli artigiani la situazione si presenta costante. Come componente di classe, essa mantiene infatti la sua percentuale di presenza: così come era al principio della attività della Formazione così si è mantenuta due mesi dopo. Si deve però osservare che a livello di soggetti essi si sono quasi totalmente rinnovati. Tra quelli attualmente presenti una notevole percentuale è formata da partigiani coscienti, coraggiosi e disciplinati.

4. Sulla componente studentesca ed intellettuale:                                                                     per  quanto riguarda gli studenti, molti di essi sono giunti in Formazione attraverso combinazioni casuali (conoscenze varie etc.) e soltanto pochi strettamente inviati dal Centro; di fatto quest’ultima condizione è da riferirsi quasi esclusivamente agli intellettuali. Nel complesso, questa componente, salvo poche eccezioni, ha dimostrato un vivo spirito di collaborazione e di solidarietà che deriva sia dalla più matura educazione politica sia, per quanto riguarda gli studenti, dall’origine proletaria che ha reso spontaneo il loro adattamento all’ambiente ed al tono generale dei nostri compagni operai.

II. DIFFICOLTÀ INCONTRATE PER IL CONTINUO AUMENTO DELLA FORMAZIONE.

Le variazioni dei dati percentuali si riferiscono, non a caso, a due momenti (20 maggio al 20 giugno e 21 giugno fine luglio rispettivamente) nei quali il nucleo della Formazione ha dovuto affrontare difficili prove dimostrandosi nel complesso veramente efficiente, sia per quanto riguarda la disciplina sia per quanto riguarda il morale. Nel periodo che va dalla fine di maggio al 20 giugno, giorno dell’attacco nazista, la situazione si era fatta sempre più difficile rispetto al necessario controllo politico sugli uomini. Ciò dipendeva dal fatto che in questo intervallo di tempo la forza della Formazione era passata da 70 uomini ad oltre 500 uomini, con un afflusso giornaliero che a volte superava persino la cifra di 50 unità. Questo vertiginoso accrescimento della Brigata rese quasi impossibile ai pochi responsabili politici di tener dietro ad ogni singolo arrivato per dedicargli il tempo indispensabile. È infatti l’assoluta immaturità dei nuovi venuti la causa principale che ha determinato la crisi dopo l’attacco. Se ne deriva come la totale assenza di selezione di questi uomini in vista della durezza della vita partigiana, la loro scelta a casaccio quasi come una gara a chi ne inviasse di più, siano fattori che devono essere assolutamente rigettati.                                                  Abbiamo infatti, e purtroppo, verificato come molti di tali sedicenti partigiani fossero venuti in Formazione esclusivamente per sfuggire ai rastrellamenti nazifascismi. Questi individui consideravano la vita partigiana come una facile e gratuita villeggiatura. Inoltre essi, oltre a dar luogo a incidenti e disordini, hanno anche negativamente influito con il loro contegno su una parte dei rimanenti elementi della Brigata. A questo va aggiunto il fatto, particolarmente importante per la valutazione della avvenuta crisi, che soltanto un terzo della Formazione, circa 170 uomini, era armata.                                                                In occasione di un giro compiuto in tre distaccamenti dai compagni responsabili per tastare il polso della Formazione, si ebbe modo di osservare quanto sopra esposto e nell’estremo tentativo di amalgamare i nuovi arrivati si stabilì il seguente piano di lavoro:                           A. valendoci della allora esistente struttura dei Commissari di Distaccamento e degli Attivisti di Squadra, influire sul morale e sul comportamento degli uomini mediante questi quadri, i quali, sia con l’esempio personale sia con opportune discussioni, dovevano far capire la necessità della lotta ad oltranza e l’importanza di questo periodo di lotta partigiana anche come premessa della politica proletaria di domani.                                     B. tentare la costituzione in ogni distaccamento di più cellule con evidente compito educativo e di controllo.                                                                                                                Ci dovemmo però convincere che, per l’assenza di elementi di partito, la maggior parte degli Attivisti, compresi persino qualche Commissario, non solo non erano in grado di educare ma dovevano essere educati essi stessi, sia riguardo alla correttezza (serietà e coscienza) sia soprattutto all’acquisizione di una benché minima formazione politica; la mancanza di compagni impedì quindi lo sviluppo delle attività di cellula quali sarebbero state necessarie                                                                                                                                                                                 Non si poté così affidare agli Attivisti di Squadra il compito di educare e trascinare i nuovi arrivati con l’esempio personale, raggiungendo così quella disciplina e quel controllo che, venendo dal basso, risultano più efficaci. Inoltre, andava comunque evitata sia l’infiltrazione nelle cellule di elementi estranei, possibili nemici di domani, che lo stravolgimento del ruolo che il lavoro di cellula deve mantenere come nucleo fondamentale per lotte future.                                                                                                                                                      Dunque, la presenza in Formazione di un preponderante numero di elementi senza partito o, secondariamente, di altro partito, ci obbligò all’abbandono della struttura cellulare ed al ricorso al controllo diretto dall’alto. Situazione, d’altra parte, purtroppo spiegabile come prodotto di 22 anni di educazione fascista.                                                                                   Ad ogni modo, a distanza di tempo, si può costatare che i giovani elementi che furono comunque inseriti nelle cellule, pur senza svolgere il ruolo che valevamo assegnargli, hanno in massima parte seguitato la partecipazione nella organizzazione cellulare di Squadra.

III. NUOVA STRUTTURA DELLA FORMAZIONE.

L’episodio dell’attacco nazista, se ci ha causato perdite dolorose ed è stato la causa della dispersione di oltre 2/3 degli elementi, è stato però la prova del fuoco che ha temprato il carattere, l’ardore combattivo e la coscienza di lotta dei rimasti. All’indomani dello scontro la fisionomia della Formazione ci appariva mutata; è vero che in ognuno si poteva leggere il dolore per i compagni perduti e la rabbia per il contegno vile dei molti, ma era anche evidente che la presenza al campo di un numero molto ridotto e ma sperimentato di uomini offriva garanzie per la riorganizzazione.                                                                            Ed in effetti questa venne subito iniziata.                                                                             Codesto Centro è già stato informato della nuova struttura della Formazione.                       Per quanto riguarda l’organizzazione politica, facciamo osservare che, malgrado la diminuzione del numero totale degli uomini, è stata mantenuta la suddivisione in 6 distaccamenti ad ognuno dei quali è preposto un Commissario, il quale controlla 22 uomini, cioè poco più della metà di quelli che prima controllava un Attivista di Squadra (40 uomini). L’incarico di Attivista di Squadra è stato invece eliminato poiché la prova dei fatti ha dimostrato come attualmente sia perfettamente inutile designare a tale compito individui non idonei. Il lavoro politico è divenuto conseguentemente più capillare e nello stesso tempo il Commissario responsabile di esso risulta ora essere un elemento di provato rendimento.      La nuova articolazione, costruita contemporaneamente alla nascita della Divisione Arno, ha dato inoltre ai partigiani della Brigata Sinigaglia la percezione di far parte di una struttura militare più vasta, cosa che ha portato, a parer nostro, risultati assai buoni.                                                                                                                                Nonostante l’inevitabile aumento di lavoro, si è visto nei singoli partigiani livelli di cosciente attività che raramente si erano raggiunti in altri momenti. In breve, la Brigata si è come purificata; si è confermato come gli elementi meno coscienti siano stati anche quelli meno coraggiosi dimostrando lo stretto legame che esiste tra coscienza di lotta ed azione pratica.

IV. COSTITUZIONE DELLE CELLULE.

L’attuale articolazione della Brigata ha permesso, pur mantenendo in pieno la funzione dei Commissari, di dare il via alla già tentata intensificazione del lavoro di organizzazione cellulare. Si è ritenuto di poter procedere a tale lavoro poiché dei 150 elementi nazionali che compongono la Formazione solo cinque risultano a noi esterni: uno appartiene al Partito d’Azione e quattro sono senza partito.Tutti gli altri sono comunisti o simpatizzanti. In tali condizioni si è proceduto a formare tre Cellule ternarie al Comando ed alle Squadre Servizi e cinque e sei Cellule nella Iª e IIª Compagnia rispettivamente. I compiti delle Cellule della Brigata si possono così sintetizzare:                1. Controllo sulla disciplina e sull’agire degli uomini.                                                                   2. Politicizzazione e preparazione individuale attraverso contatti personali.                             3. Costituzione di una organizzazione capace di funzionare in futuro anche dopo lo scioglimento della Brigata. Il numero totale dei componenti delle varie Cellule ammonta a 42 elementi, circa il 30% della Formazione. Potrebbe apparire che tale percentuale sia troppo elevata ma bisogna tener conto che un terzo circa di essa è organica al P.                   I rimanenti elementi sono giovani ripetutamente sperimentati sia in combattimento sia nel comportamento quotidiano. Inoltre si è tenuto presente che proprio in seno alla Formazione il P. può ricercare e provare questo gruppo di giovani che, opportunamente preparati, rinsangueranno le file militari. Fermo restando l’entusiasmo ed il senso di responsabilità da essi dimostrati, è stato deciso di inserire quasi in ogni Cellula -facendo in modo che fosse spontaneamente eletto dagli altri due componenti- un Capocellula di P. per garantire nel modo migliore l’assolvimento dei tre compiti cellulari prima esposti.                                                                                                                                    Quando la strutturazione cellulare era già stata portata a termine, le ultime istruzioni pervenuteci ci invitavano a tener fuori da essa i vari Capi Squadra e Commissari. Riteniamo, in questo momento, impossibile eseguire tale indicazione. Questo comporterebbe infatti la necessità di modificare profondamente la struttura da noi costruita -dove 12 Capi squadra e Commissari sono Capicellula- in una situazione molto complessa e delicata a causa dell’approssimarsi degli anglo-americani.

V. CULTURA POLITICA GENERALE E CULTURA DI PARTITO.

A parte il lavoro di preparazione individuale svolto all’interno delle Cellule, si è cercato di realizzare un lavoro collettivo di cultura politica elementare rivolto a tutti gli elementi della Formazione. Questo lavoro di base è stato inserito nell’ora politica. Durante questa ora, infatti, i partigiani oltre ad esprimere liberamente i loro desideri e le loro osservazioni -cosa che gli fa abituare ad esercitare un positivo spirito critico- sono stati edotti delle più urgenti questioni, sia contingenti che generali. In particolare si è cercato di far intendere e conoscere:                                                                                                                                          – il significato della guerra antinazista con il suo progressivo trasformarsi, dopo l’intervento Russo, da guerra imperialista a guerra di popolo;                                                                         – il fondamentale concetto di “classe”, indispensabile ad una sia pure elementare conoscenza della teoria e della pratica del comunismo;                                                              – le personalità dei compagni Togliatti e Roveda;                                                                         – la linea del P. attraverso la diffusione della sua stampa, che, tra l’altro, ha molto contribuito ad accendere lo spirito di emulazione.                                                                       Vogliamo sottolineare come risultasse particolarmente difficile -allorché la Brigata non aveva ancora assunto l’attuale carattere decisamente filo-comunista- separare l’attività propagandistica generica da quella ideologica. La necessità di creare gruppi isolati di preparazione era vista di cattivo occhio dai non partecipanti, cosa che non contribuiva certo alla compattezza della Formazione ed in generale ogni tentativo di acculturazione o teorico era ritenuto superfluo.                                                                                                        Fermo restando tutto questo, possiamo dire che il bilancio complessivo può considerarsi positivo. Pur non avendo raggiunto la consapevolezza e la dedizione volute abbiamo potuto verificare che l’impronta del nostro lavoro si è impressa nella stragrande maggioranza degli elementi passati dalla Brigata; infatti anche tra coloro che non hanno resistito alla prova dell’attacco nazista, molti, come da noi constatato, mantengono una posizione di simpatizzanti. Abbiamo poi già detto come su 150 partigiani 145 si siano dichiarati d’accordo con la linea del nostro P.                                                                      Anche con la popolazione della zona di azione della Brigata si è sempre cercato di fare opera di chiarificazione sui nostri obiettivi militari e politici. Specie dopo la diretta esperienza della barbarie nazista anche i contadini si sono resi conto che le nostre non erano parole, ma una previsione esatta delle conseguenze della mancanza di solidarietà ed unità nella lotta. Riteniamo che il ricordo dei partigiani e delle loro battaglie influiranno notevolmente sul loro futuro atteggiamento.

VI. CONCLUSIONI.

I vari punti di questa relazione hanno via via trattato le considerazioni scaturite dagli eventi vissuti dalla Brigata. Quanto esposto ci sembra confermare ancora di più una verità: il lavoro di educazione politica di una massa intorpidita da 20 anni di fascismo richiede molta ed intensa attività. Ma un fatto su cui possiamo poggiare in questo momento sono le vittorie della Armata Rossa e la resistenza del popolo Russo che sono per noi la migliore arma di propaganda.

frammenti di lotta di”GIANNI” – SIRIO UNGHERELLI

Questo contributo di “Gianni” deriva da un intervista a lui fatta da Nadia Gorini nel luglio del 1994. Nadia è la nipote di Mario Gorini (“Vittorio”). Il testo che sotto riproduciamo è una selezione – fusione della sbobinatura integrale di detta intervista.

Sirio Ungherelli (1923 – 1998) al 20 agosto 1944 era Commissario Politico di Divisione.

– “Mi dice: “ La radio ha detto che è cascato il fascismo!” Da   prima io credevo che lui scherzasse … anche se in queste cose                                   … “No, no! L’ho sentito ora! Il duce o è scappato o l’hanno arrestato   non ho capito bene, ma è cascato il fascismo”. Io, ragazzi! “Oh Mario!”  Lo sveglio, dormiva. Si sveglia anche il Conti Danilo (un compagno livornese)   ma…intanto non son venute le guardie, qualcosa c’è…                                  Si chiama: “Guardie! Guardia!” … ma non risponde nessuno.                                                             Nel corridoio non c’è nessuna guardia … Giù, nel cortile del carcere,   si, c’erano: c’erano tre guardie che parlavano tra di loro.                                                                                                                                   E questo compagno di Livorno… sai come sono i livornesi:                                                                       “Dè, ve li siete già levati i fasci?” ‘Un lo lascian nemmen finire.                                                                     Si guardano e si sente: “Oh chi glielo ha detto?” e poi corron via.                                                              Allora noi si capisce che era veramente caduto il fascismo. Il fascismo era caduto! – “S’era diventati l’autorità, s’era diventati l’autorità di governo noi.                                                Pensa che i parroci ci venivano a dire : si può aiutare questa gente? …                                                      Sì. Noi pensavamo proprio di aprire la strada al socialismo.”

LA CADUTA DEL FASCISMO VISSUTA NEL CARCERE DI CASTEL FRANCO EMILIA

 

Verso aprile- maggio del 1943 venne dal centro del partito, lì al carcere dove ero io, un’informazione che diceva “State attenti perché il fascismo cadrà e l’Italia sarà invasa dai tedeschi. Preparatevi alla lotta armata”. Allora siccome con le manifestazioni interne contro la direzione noi avevamo ottenuto di avere una grande sala con due lavagne e c’erano compagni che avevano fatto gli ufficiali in Spagna, nella guerra di Spagna, e degli slavi – per il fascismo erano però cittadini italiani [dalmati, istriani e sloveni n.d.r.]- che avevano fatto esperienze di guerriglia, allora si pensò che si potevano organizzare dei corsi teorici. Su queste lavagne loro ci insegnavano… Controlli non c’erano. Ci chiudevamo dentro per due ore con il solo obbligo di permettere la visione pagina per pagina dei quaderni che ci avevano dato. Per questo, chiaramente, non si scrivevano lettere alla mamma se no qualcosa non gli sarebbe tornato. Si scriveva cose che non danneggiavano nessuno: pezzi di Gramsci, pezzi di Lenin, lettere di questo … lettere di quello … e alla lavagna si faceva tutt’altro lavoro. La cosa stava un po’ così: in teoria sapevamo un po’ come muoversi…                                                                                                                               E sempre in questo contesto, prossima caduta del fascismo e della conseguente lotta armata, si decise che a turno ci si facesse ricoverare in infermeria per cambiare vitto, perché all’infermeria ti danno un vitto…stai un giorno o due o dieci ti danno il vitto diverso, soprattutto ti danno il latte per esempio, capito, che cosa …. Ti danno il latte, ti danno… uno mangia di più, capito? Per rafforzarsi. Quindi io nella quarta sezione, c’era anche la terza e la quinta sezione politica a Castelfranco, mi segnai per andare all’infermeria e vado all’infermeria la domenica del 25 luglio (1943). Ci trovo Mario e Danilo Conti un compagno di Livorno … Si fa buio, a me non mi riusciva di dormire perché il materasso della branda dell’infermeria è soffice mentre quello dove si dorme nei nostri cameroni no. Prima che faccia giorno, prima che le guardie vengano a battere i ferri, s’apre lo spioncino della porta e sento: “Oh! Oh! Oh! Chi tu sei? Sei Gianni, te?” “Si” “Vieni qui”.                     Vo’ allo sportellino e vedo che è Liolino. Liolino, era un comune che faceva d’aiutante in infermeria e che ci portava sempre le “farfalle” [messaggi su piccolissimi pezzi di carta n.d.r.]da tutte le parti. Un tipo fidato, insomma.                                                                       Mi dice: “ La radio ha detto che è cascato il fascismo!”                                                             Da prima io credevo che lui scherzasse … anche se in queste cose … e da lui.No, no! L’ho sentito ora! Il duce o è scappato o l’hanno arrestato non ho capito bene, ma è cascato il fascismo”. Io ragazzi! “Oh Mario!” Lo sveglio, dormiva. Si sveglia anche il Conti Danilo ma…intanto non son venute le guardie per picchiare i ferri, qualcosa c’è…               Si chiama: “Guardie! Guardia!” … ma non risponde nessuno. Nel corridoio non c’è nessuna guardia mentre invece ci doveva essere, sempre c’era per sorvegliare. Giù, nel cortile del carcere, sì, c’erano: c’erano tre guardie che parlavano tra di loro. E questo compagno di Livorno… sai come sono i livornesi: “Dè, ve li siete già levati i fasci?”Un lo lascian nemmen finire … Si guardano e si sente: “Oh chi glielo ha detto?” e poi corran via.                                                                                                                                  Allora noi si capisce che era veramente caduto il fascismo. Il fascismo era caduto!

SOGGETTIVITÀ” E “NECESSITÀ STORICA” SULLA DECISIONE DI INIZIARE LA LOTTA ARMATA

Poi siamo usciti il 23 di agosto.                                                                                                      Il 23 agosto siamo usciti dopo che la mattina si è fatto sciopero perché attraverso Liolino, sempre il solito “filo” con l’infermeria, s’era saputo che erano arrivati 40 telegrammi di scarcerazione e non succedeva nulla. E allora si fece sciopero … ed alla fine cominciarono a mandarci via. Mi chiamarono e metto tutta la roba nella coperta e zzss giù al magazzino a consegnar la roba. Pigliare la valigina, pigliare i vestiti da borghese e andare in direzione … il direttore, mi da la roba… la roba cioè l’orologio, soldi e il distintivo della GIL [Gioventù Italiana del Littorio n.d.r.] che io tenevo apposta qui… “Ma! Questo distintivo non è servito a nulla” dico io. Il direttore mi guardava, mi guardava … “Non mi è servito a niente; io lo avevo messo come copertina, ma non ha coperto nulla, mi hanno arrestato lo stesso”. Sicché lo presi e lo schiacciai. Questo si mise a piangere; mi disse “Sa, lei mi deve capire… c’è gente che ha certi ideali, altra gente che ha altri ideali …” “Si, si, va bene”, gli dissi, “arrivederci” e andai via.

Siamo arrivati a Firenze e ci siamo messi a disposizione del partito.

Lì, in sede, l’11 settembre arrivò un uno tutto di corsa e dice che i tedeschi sono arrivati in Firenze. Il Rossi… anche lui era uno di quei compagni, sai quelli che venivano dall’Unione Sovietica che eran duri come modo e a volte anche un po’ duri di testa, eh? Credeva che l’Italia fosse l’Unione Sovietica, sbagliava insomma, valutazioni sbagliate, ecc., poi dava il cuore, dava tutto, la vita … Sicché dice: “Te! Tu rimani a Firenze per l’organizzazione delle fabbriche!”. “Te! Tu rimani a Firenze a lavorare nel partito clandestino!”. “Te! -e mi mette il dito così- te tu vai in montagna a organizzare i partigiani” Va bene. Poi un altro lì accanto: “Te! Tu vai in montagna….” Insomma si andò in montagna in 3 o 4, si andò in montagna e si andò a Monte Giovi.                                                                                                                 Non tutti la pensavano così tra gli antifascisti, anche quelli vicino al partito.Era arrivata la storia che gli Alleati sarebbero sbarcati a Livorno e che quindi bisognava star fermi e non passare all’azione. Chiaramente questa posizione non aveva alcun senso.                 Insomma, si cominciò e si cominciò proprio dal nulla. A marzo del 1944 abbiamo fatto un’azione di un certo rilievo anche in base alla disposizione arrivata da Firenze che ci ordinava attacchi militari per portar via dalla nostra città le forze repressive che agivano contro gli operai in sciopero.                                                                                                   L’obiettivo fu Vicchio, che è un paese grossotto: una caserma dei carabinieri, una della guardia nazionale repubblicana (GNR) e repubblichini ce ne erano anche tanti alloggiati nelle scuole. L’attacco si sferrò all’alba e tutto sommato, anche se non mancarono le difficoltà, andò bene. Conquistammo ed entrammo nelle caserme e nelle scuole dove erano asserragliati i fascisti. Gli abbiamo disarmati ed imprigionati (quelli che erano rimasti vivi). E verso le undici arrivarono i treni con i militi che venivano da Firenze. Era quello che noi si aspettava, non s’andò via dopo l’azione. Si aspettarono lì vicino alla stazione, gli si tirò qualche raffichetta e si faceva in modo che ci seguissero dietro. Si tirava una raffica e ci seguono, stiamo fermi e allora cominciano a venire, ci vennero dietro. Noi si andava su, su in cima al Monte Giovi, si andò sopra e loro venivano dietro. S’era già d’accordo con quelli rimasti lì sopra il Monte Giovi che finita l’azione noi ci saremmo spostati. Noi ci si spostava e questi militi dietro. Gli abbiamo fatti camminare tanto, ma s’è camminato tanto anche noi. A un certo momento vennero di corsa dei contadini: “Ma sapete che ci sono i militi della GNR sulla strada che vanno avanti e cantano; vociano: dove sono questi vigliacchi che non vengono fuori, hanno paura, si nascondono, non vengono fuori.” Noi, allora, si disse: facciamoli camminare un altro pochino. ‘Un sono a Firenze se gli si fa camminare e son qui. Ma c’erano anche gli obblighi verso i contadini. Bisognava fare chiaramente capire che ‘un s’era lì per non far nulla. Allora si disse va bene, andiamo a vedere. Andiamo a vedere e infatti c’era una chiesa e qui era già passata una compagnia di 120, 130 uomini. Uno dei nostri che era in cima, il capitano fascista lo vede e urla: “I ribelli!” Una fucilata dei nostri e rimase secco. E però questi che eran qui si nascosero dietro alla chiesa, il secondo reparto si nascose dietro alla chiesa. Quelli che erano nel primo reparto ne rimase uccisi 52 proprio lì in mezzo di strada. Gli altri salivano il costone e si videro ruzzolare. Poi che fecero, buttarono via la divisa e scapparono in mutande: tutte mutande bianche, celesti che si vedevano corre via. Si dovette sparare anche a quei cosi lì. Si contò quei 52 morti lì, poi se ne ammazzò, se ne incontrò altri 7 o 8 e si ammazzarono anche quelli ci si ritirò perché non si poteva sparare sulla chiesa, entrare in chiesa sparando a pigliare anche quelli che si erano nascosti lì.

IL RICORDO DI COSA PENSAVA IL CONTE MEONI, “CHIMICO”, UN PARTIGIANO DELLA “SINIGAGLIA”, DEL RE E DELLA SUA BANDA (OGGI IL REVISIONISMO STORICO VORREBBE FAR CREDERE CHE LA FUGA DEL RE È STATA NECESSARIA ANCHE PER AIUTARE I PARTIGIANI)

“… perché io mi ricordo che c’era un documento che aveva fatto Mario che aveva riportato da chi erano composte le cellule e praticamente fuori che tre o quattro tutti avevano chiesto l’iscrizione al partito. La nostra formazione era prettamente comunista fuori che il Chimico che era monarchico. Sul viale dei Colli si incontra il codazzo della colonna del Principe, il luogotenente del re… (noi si andava per un verso e loro venivano in controverso). Quando videro scritto davanti alla nostra macchina, come fosse una targa: “Brigata Sinigaglia”, fanno scendere un generale. “Voi siete il comando della brigata Sinigaglia? Allora voi ci dovete avere costì …” Io scendo e gli vado incontro e il Chimico, che mandava la macchina, resta seduto … Dice: “Dovete avere con voi un nobile, è il conte Giovanni Meoni, è monarchico ecc.”. Dico: si l’abbiamo noi qui nel comando … Dice: “Il luogotenente vorrebbe stringere la mano dell’eroe che ha partecipato alla guerra di liberazione e che partecipa ancora così attivamente!”. Si combatteva ancora a Firenze, questi erano i primi giorni che siamo entrati a Firenze. Allora scende il luogotenente e fa: “Conte Meoni!” E lui: “Ma vai via, l’otto settembre sei scappato, ti sei riempito le mutande di merda, vai , vai via!”.                                                                                                                 Ecco e il Chimico prese la tessera del partito comunista. Saranno rimasti due non iscritti al partito comunista nella formazione nostra.”

LO STRUMENTO È DA COSTRUIRE. NON POSSIAMO CERCARLO NEL PASSATO E NON ESISTE NEL PRESENTE. L’OBIETTIVO RIMANE STORICAMENTE ATTUALE.

S’era diventati l’autorità, s’era diventati l’autorità di governo noi. Pensa che i parroci ci venivano a dire: si può aiutare questa gente? Si può fare questo … si può fare quest’altro. Questo non c’entra nulla con le battaglie … è per dirti quale era l’ambiente in cui si operava. Era questo, si era creato questo. Sì, noi pensavamo proprio di aprire la strada al socialismo! Perché la nostra bandiera tu sai com’era: era rossa, non era tricolore. La nostra coccarda era la stella a cinque punte. Questi ragazzi che ho visto morire… Che poi ti fanno un’impressione perché hanno come dei brividi, tu senti dei brividi, dei brividi e tu li pigli in collo, tu cerchi… E ti muoiono in collo.Gianni ci sarà la ….                                                                                                                       Sì, sì, sì, sì.Ma ce la fo?                                                                                                                                       Sì che ce la fai per dio.Io volevo vedere capito … il socialismo, volevo vedere”                                                          Ma tu lo vedi per dio!

Invece non si è visto.

Ma questo partito, io penso, se ne era subito accorto. Se c’è una capacità di quel partito lì, di quello lì subito dopo la liberazione, penso sia stata quella di mettere da parte tutti i partigiani..

Quando noi siamo venuti in città ecc. ci siamo resi conto che c’era quadri come Mario, come io, come altri che avevano fatto il carcere, avevano fatto il carcere, l’università lì con la disciplina di lì, il collettivo di lì. Tu sei a prova di bomba sotto certi aspetti. Poi avevano fatto la Resistenza. Cioè avevano fatto quello dove tu li avevi mandati: quello lo hai mandato in montagna e ha fatto la resistenza in montagna; a quello gli hai detto tu sei per fare le SAP in città: quello ha fatto le SAP in città; te devi andare a fare il GAP e quello è andato a fare il GAP. Come ha fatto il Chianesi, come ha fatto il Fanciullacci. Erano con me a Castelfranco Emilia. Come ho fatto io: mi hanno detto di fare quello e io ho fatto quello. Quindi gente di una disciplina… ma che ragionavano anche col cervello.

Poi viene la liberazione e questo partito adopera altri, adopera i più stupidi e questi non gli adoperi.

C’era una situazione di questo genere nel partito, capito. Era bucherellato. Da chi non lo so, non te lo so dire. Non te lo so dire che gioco volevano fare. Capito si ragiona male, si ragiona male perché non si è mai saputo che gioco volevano fare questa gente. Non s’è mai capito se erano d’accordo con la polizia, se erano d’accordo…Non lo so, non te lo so dire; certa gente non sai mai …

Per cui ricominciare, riprendere le armi sarebbe stato difficile, anche perché avresti creato un’insurrezione di pochi gatti contro l’apparato dello Stato. Questi erano aggiornati, preparati bene. E a quel punto non c’era neanche la voglia di fare questo.