Intervista ad Aura Marina Arriola rivoluzionaria guatemalteca recentemente scomparsa

PARLANO I PROTAGONISTI DELLA RIVOLUZIONE GUATEMALTECA:

intervista di "comunicazione antagonista" ad AURA MARINA ARRIOLA·.

CA..: Aura Marina, innanzi tutto un caloroso saluto da parte dei compagni di "comunicazione antagonista", che ti ringraziano per la tua disponibilità. Vorremmo che tu ci parlassi un poco di te, di te come donna e come rivoluzionaria che si unì alla difficile lotta armata del suo popolo.

AMA.: Per prima cosa un saluto a tutti i compagni di "comunicazione antagonista", sperando che questo sia l’inizio di una relazione fatta di dialoghi e di contributi critici.

Rispondendo alla vostra prima domanda, dico che è difficile parlare di sé stessi. Lo ho già fatto in un libro che fu pubblicato un anno fa in Guatemala con il titolo "Questa ostinata volontà di sopravvivere. Autoetnografia di una donna guatemalteca". Questo libro mi riporta ad un periodo triste e doloroso della mia vita, prodotto da una situazione che sembrava portarmi alla morte (avevo avuto due infarti gravi ed uno dietro l’altro) e per questo ho pensato che attraverso questo libro dovevo in qualche modo far sentire la mia voce, che per essere stata non solo quella di una donna ma di una donna sempre critica, era stata ogni volta tacitata dai compagni delle organizzazioni nelle quali aveva militato.

Posso dire, in estrema sintesi, che ho avuto una lunga militanza: ho cominciato a lottare nel 1954, immediatamente dopo la caduta del governo democratico di Jacobo Arbenz, dovuta all’azione congiunta degl’interessi nordamericani, di quelli della chiesa cattolica e delle forze di estrema destra del Guatemala.

Il cosiddetto esercito di "liberazione", armato ed organizzato dalla CIA e diretto dal colonnello Castillo Armas, fu lo strumento di forza militare che realizzò concretamente il golpe contro Arbenz dando inizio in Guatemala, con il pretesto di combattere "i comunisti", a quel bagno di sangue che non sarebbe mai terminato.

Dal 1958 sono stata militante del Partito Guatemalteco del Lavoro (PGT), il partito comunista, studiando contemporaneamente antropologia nella Scuola Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (ENAH). Nel PGT militai in una Commissione Operaia con alcuni dei fondatori del partito, militanti storici di estrazione operaia. Appoggiavo anche l’attività della Commissione di Educazione del Partito, dove ebbi, tra i vari compagni, pure Severo Martínez Peláez, il più importante storico guatemalteco, studioso specialista del periodo coloniale (il periodo nel quale l’Impero di Spagna governò il Guatemala, il Centro America e tutto il continente latinoamericano, imponendogli il suo Stato, la sua religione, la sua ideologia, la sua cultura, la sua politica).

Partecipai con i giovani di allora, alla insurrezione del marzo-aprile del 1962, che fu il 68 guatemalteco. Due mesi di lotta nelle strade, nelle fabbriche, nelle scuole, nell’università, che sarebbe culminata con l’inizio della lotta armata vera e propria.

Con l’inizio della lotta armata iniziarono pure i conflitti interni nel PGT, che si divise. In quel momento si divise in tre tendenze (che si sarebbero poi ulteriormente moltiplicate): quelli che erano "per la via pacifica", quelli che erano "per la lotta armata" e quelli che volevano tentare una sintesi tra le due posizioni.

Si formarono così nel 1963 le prime FAR (Fuerzas Armadas Rebeldes) delle quali io fui una delle fondatrici, assieme al mio compagno Ricardo Ramírez de León (più tardi Rolando Morán, comandante dell’Esercito Guerrigliero dei Poveri – EGP).

Il principale dirigente delle FAR, Luis Turcios Lima, era uno dei militari che iniziò (il 13 novembre del 1960) la lotta armata in Guatemala, assieme con Marco Antonio Yon Sosa e Luis Trejo Esquivel. Il motivo della loro ribellione era dovuto anche alla decisione del capo del governo, Ydígoras Fuentes, di aver permesso agli Stati Uniti l’uso del territorio guatemalteco per preparare l’invasione contro Cuba, che sarebbe poi fallita con l’annientamento delle forze mercenarie a Playa Girón.

Dovetti passare alla clandestinità, ma fui arrestata nel 1963 e stetti tre mesi nel carcere femminile di Santa Teresa. Riuscii ad evadere e ritornai alla clandestinità da dove vissi tutte le lacerazioni del partito comunista sul problema della lotta armata. Nel 1964 ebbi un bimbo e per questo, viste le difficili condizioni in cui lottavamo, ricevetti l’indicazione di lasciare il Guatemala. Me ne andai con mio figlio, Ernesto Ricardo Ramírez Arriola, che aveva allora un mese di vita.

Tra il 1964 ed il 1965, con altre due compagne, organizzammo in Messico la base di appoggio per la guerriglia e la rete logistica per il Fronte Guerrigliero Edgar Ibarra, che iniziava, sotto il comando di Luis Turcios Lima, la lotta armata nell’Oriente "mestizo" del Guatemala. Altri due Fronti Guerriglieri stavano intanto operando nel paese, uno dei quali era diretto dal "Chino" Marco Antonio Yon Sosa.

 

Nel 1964 viaggiai a Cuba per discutere con il Che Guevara la problematica dell’unità del movimento rivoluzionario guatemalteco e portai personalmente in Guatemala nelle zone di guerriglia le lettere che il Che aveva scritto al Fronte Guerrigliero Edgar Ibarra, al Movimento13 Novembre (Yon Sosa) e a Ricardo Ramírez.

 

Nel 1966 partecipai alla Conferenza di Solidarietà dei Popoli d’Asia, Africa, America Latina Tricontinental, dove arrivarono i principali dirigenti rivoluzionari dei tre continenti. Lavorai anche nella OLAS (Conferenza dell’Organizzazione Latinoamericana di Solidarietà) che i cubani organizzarono nel 1967 per unificare il movimento del nostro continente. In questo stesso anno ricevetti corsi di preparazione militare in Vietnam e fui testimone dei grandi bombardamenti su Hanoi. Visitai pure la Cina, l’URSS e la Cecoslovacchia, in pieno conflitto cino-sovietico.

La posizione che mantenevo assieme ad altri compagni era, da una parte, la ricerca di una autonomia e la volontà di non sottometterci alla cosiddetta realpolitik che ci accerchiava; e dall’altra, la necessità di costruire una politica che mettesse radici nella situazione concreta del nostro paese, del nostro continente ma che avesse anche una dimensione internazionalista. Insomma, una politica indipendente dagli interessi bipolari, con alleanze flessibili ma anche profondamente critiche.

In questo complesso scenario, la morte del Che Guevara quell’8 di ottobre del 1967 cambiò completamente la mia vita; anche se le dimensioni di questo cambio le focalizzai razionalmente solo molto tempo dopo.

Con la sua morte si chiuse un ciclo, anche se non la lotta armata. Credo, che con lui si perse il cammino verso un futuro con principi e un’America Latina unificata in una lotta per la sua indipendenza ed autonomia. Bisognerebbe rileggere, ora, il suo discorso fatto ad Algeri.

 

Nel 1968, in Europa, ho vissuto il 68; soprattutto in Italia ed in Francia. Il motivo del mio arrivo in Europa era dovuto alla decisione di costruire una rete di solidarietà per una nuova organizzazione guerrigliera che si sarebbe chiamata Esercito Guerrigliero dei Poveri (EGP) e che avrebbe iniziato la sua lotta nell’Occidente indigeno del paese. Per l’assunzione di questa decisione strategica, che dichiarava l’importanza della popolazione indigena guatemalteca e ne faceva uno dei concetti fondanti del nuovo movimento guerrigliero in Guatemala, ho contribuito sin dall’inizio sia nella teoria e sia nella pratica. Dirigenti indigeni che sono ora dirigenti della URNG (Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca) vengono dall’epoca in cui Luis Turcios Lima iniziò il lavoro tra gli "achís" di Alta Verapaz nel 1963.

Nel 1968, collaborai con Ricardo Ramírez de León alla stesura del lavoro conosciuto come "Documento di Marzo", che avrebbe segnato la svolta strategica della guerriglia guatemalteca nel considerare la popolazione indigena come il soggetto politico fondamentale della lotta rivoluzionaria guatemalteca.

 

In Europa feci un lavoro di solidarietà a largo spettro. Ebbi, infatti, relazioni con tutte le organizzazioni di sinistra di allora: in Italia con Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, i trotzkisti della IV Internazionale, il Manifesto, il Partito Comunista Italiano (PCI); però, soprattutto, formai, assieme ad un amico cileno, una rete di amici del Guatemala -militanti di differenti organizzazioni- attraverso la quale riuscimmo a trasferire in Europa un gruppo di sessanta compagni nostri che stavano a Cuba. In Europa li rifornimmo di tutto ciò che era necessario, compresi nuovi documenti, e li inviammo in Messico; lì formarono il nucleo politico-militare combattente dell’EGP che poi penetrò in Guatemala per operarvi permanentemente

In Italia, collaborai politicamente e giornalisticamente con Il Manifesto, utilizzando diversi pseudonimi, principalmente quello di Agustín Monforte (Agustín da un compagno contadino della costa sud del Guatemala, Monforte da uno scrittore guatemalteco di origine italiana). Ho sempre scritto con pseudonimi,dato che questo mi permetteva la mobilità che ti garantisce l’anonimato. Eravamo militanti clandestini ed avevamo la nostra mentalità, totalmente opposta a quella del marketin che si utilizza così tanto oggi in questa era mediatica.

Nel 1976, fui catturata in Messico per la delazione di un nostro compagno assieme ad altri militanti dell’EGP che lavoravano nella rete logistica. Siamo stati 22 giorni in un carcere clandestino e molti furono torturati con l’elettricità. Fummo interrogati da due dirigenti -Nazar Haro e Fernando Gutiérrez Barrios (più tardi ministro dell’Interno)- delle cosiddette "Brigate Bianche", famose in Messico per la crudeltà con la quale distrussero il movimento guerrigliero messicano degli anni settanta. Fummo espulsi senza alcun ordine legale ed imbarcati su di un aereo diretto in Italia, dove mi fermai un po’ di tempo per ritornare poi clandestinamente in Guatemala. Nel 1980 ritornai a lavorare con la solidarietà europea ed organizzai il primo Comitato di Solidarietà in Roma. Più tardi questi Comitati vennero organizzati in tutta l’Italia ed in tutta l’Europa. Vorrei ricordare come il lavoro internazionale della URNG abbia sicuramente dato alcuni elementi di forza al processo del dialogo di pace.

 

Nel 1981 ritornai in Messico ed oltre che lavorare come antropologa continuavo ad appoggiare le iniziative amplie ed aperte che promuoveva l’EGP in questo paese, come il "Fronte Popolare 31 di gennaio" (data dell’incendio dell’Ambasciata di Spagna provocato dalle forze repressive del governo di Lucas García, dove morì bruciato vivo il padre di Rigoberta Menchú); la ATCAF (Associazione dei Lavoratori della Cultura Alaíde Foppa, scrittrice guatemalteca di origine italo-argentina che morì sotto tortura nel 1980 in Guatemala); il CUC (Comitato di Unità Contadina). Tenni pure seminari sulla questione indigena in Guatemala ed altre simili attività.

 

Furono però, per me, anche anni di grande frizione e tristezza. Iniziava la mia presa di distanza dalle responsabilità politiche complessive che avevo assunto con la mia Organizzazione dato che non condividevo la via che allora seguiva la URNG con il suo progetto strategico, tattico e politico; anche se certamente essa, in questa sua scelta, risultava condizionata dagli avvenimenti nazionali ed internazionali che stavano modificando lo scenario complessivo del mondo.

Per queste gravi differenze lasciai la militanza attiva e cominciai a ritornare periodicamente e legalmente in Guatemala dove partecipavo a conferenze, seminari, etc. sempre attuando con coerentemente ai principi che mi avevano motivato ad iniziare la lotta nel mio paese.

Ora vivo e lavoro in Messico, però mai ho smesso di pensare, scrivere e vivere per il mio popolo, che probabilmente è stato il più colpito dal terrore, repressione, razzismo, intolleranza ed odio sia degli Stati Uniti, sia della stessa oligarchia guatemalteca.

 

 

 

CA..: Aura Marina, il 29 dicembre del 1986 vennero firmati gli Accordi di Pace tra la URNG ed il governo guatemalteco. Quali erano le aspettative che avevi, sia nelle certezze come nei dubbi, sulla loro applicazione?

 

AMA.: Gli Accordi di Pace li ho soprattutto accettati perché consideravo che avrebbero permesso un’uscita dall’impasse nel quale si trovava la lotta armata, così come era stata realizzata dalla URNG; questo avrebbe permesso la ricostruzione di una visione politica che era stata da tempo lasciata da parte per seguire una via militarista tout court. La necessità di riprendere la politica era un tema che io avevo riproposto con forza molte volte quando io militavo nell’EGP.

 

 

 

CA..: Aura Marina, ora, dopo quattro anni da quella data quali sono le tue valutazioni e le tue considerazioni?

 

AMA.: Gli Accordi di Pace non sono stati realizzati e molto meno lo saranno da qui in avanti essendo il vero potere nelle mani di uno dei peggiori assassini che il Guatemala abbia avuto, il generale Ríoss Mont. In Guatemala si dice che siamo passati da "una guerra fredda" ad una "pace calda". Continuano ad esistere ed in modo ulteriormente aggravato i problemi che ci spinsero ad impugnare le armi. Tuttavia, credo che dobbiamo fare uno sforzo politico per creare un’opposizione civile, che unifichi tutti i settori che patiscono le condizioni complessive in cui si trova il Guatemala. Credo che la nostra lotta possieda grandi prospettive se riusciremo a superare le divisioni, i settarismi, il cannibalismo, la mancanza di visione che potrebbero invece -in caso di fallimento- convertirci "in un mosaico Kosovaro". Credo che le forze guatemalteche di sinistra, oggi disperse e divise, debbano lavorare per un programma, per un progetto di Stato e di nazione "non escludente" che possa affrontare per gli interessi delle masse popolari le sfide che la globalizzazione impone ad un piccolo paese.

 

CA..: Aura Marina, con la Relazione della CEH-ONU del febbraio 1999, il mondo ha saputo l’enorme prezzo che i compagni guatemaltechi ed il popolo del Guatemala hanno dovuto pagare per sviluppare, dal 1954 sino ad ora, la loro lotta di liberazione contro una doppia oppressione: nazionale e straniera. É valso la pena lottare? Che conquiste o risultati materiali ed immateriali credi si siano ottenuti mediante questa lotta?

 

AMA.: Nel mio libro opino che la lotta in Guatemala ci fu imposta dai vari governi dinosauriani dell’età della pietra che si succedettero in quegli anni: tutti razzisti, intolleranti, autoritari (con l’eccezione del periodo democratico del 1945-1954). Essi governi, mai ricercarono il consenso ma usarono la sola ricetta che conoscevano; la ricetta coloniale dello sterminio di massa. La lotta ci fu pure imposta dagli Stati Uniti, i quali per difendere gli interessi della United Fruit Company fecero cadere con le armi un governo che cercava di sviluppare un capitalismo nazionale in Guatemala. La lotta ha avuto un costo enorme, soprattutto per la popolazione civile, indigena e "ladina", ma anche per molte generazioni di combattenti e per le loro famiglie. Non c’è stata in tutta l’America Latina una repressione così sadica e così estesa relativamente all’ordine di grandezza del nostro paese. Tuttavia, si sono avuti risultati che possono considerarsi di alta linea qualitativa. La lotta fu la base per:

 

– l’inizio dello sviluppo del movimento indigeno, che prese coscienza di essere un soggetto politico, culturale, di uguali condizioni e capacità della parte "ladina" (anche se questo è un processo che esige tuttavia molte lotte da parte delle etnie che vivono in Guatemala);

– l’insorgenza nelle donne di una coscienza di genere. L’importanza della lotta della donna guatemalteca richiede ancora uno studio serio che porti alla luce la ricchezza e l’ampiezza della partecipazione della donna nel processo rivoluzionario guatemalteco.

 

CA..: Aura Marina, vi sono cambi, nella forma e nella sostanza, della politica nordamericana nei riguardi del tuo paese?

 

AMA.: Gli Stati Uniti continuano a considerare l’America Latina come parte del loro blocco egemonico e, conseguentemente, il Guatemala altro per loro non è che un semplice feudo. É sufficiente un esempio: il giornalista José Raul Merlo, il 15 maggio del 2001 nel giornale "Prensa Libre", dice qualcosa di paradigmatico "…la ambasciatrice nordamericana ha visitato il Congresso con l’obiettivo di "indicare" ai deputati guatemaltechi che il suo governo non era soddisfatto dei cambi recentemente effettuati nel Codice del Lavoro del nostro paese. Per tanto reiterò ai signori deputati la minaccia di togliere ai prodotti guatemaltechi le preferenze doganali per entrare nel mercato degli Stati Uniti. A meno che, naturalmente, i nostri deputati non facciano caso ad ogni e ciascuna esigenza del governo nordamericano…"

Che vuoi di più…?

 

 

CA..: Aura Marina, se ciò che veniva chiamato internazionalismo -e che ci sembra non abbia mai dato grandi risultati- era considerato importante, ora, quelli che potremmo "pensare" come i suoi principi ispiratori ci appaiono imprescindibili. Certo, dai principi ispiratori ad una pratica concreta … Che ne pensi, soprattutto in relazione alla tua personale esperienza?

 

AMA.: Credo che il famoso "internazionalismo proletario" come lo pensarono i classici del marxismo non sia in realtà mai esistito. Tuttavia, nella nostra lotta abbiamo avuto molte forme di solidarietà internazionale: Cuba, il Vietnam, la sinistra europea, la sinistra latinoamericana, quella statunitense e molte volte non solo la sinistra, ma persone di differenti tendenze ed ideologie che contribuirono ad appoggiare la lotta del popolo guatemalteco.

Credo che oggi, più che mai -ora che siamo immersi in un processo di globalizzazione- dobbiamo ripensare, fare uno sforzo teorico-pratico per ridefinire un nuovo internazionalismo che non persegua gli interessi della realpolitik o della nazionalità, ma dei popoli che lottano in comunità ogni volta più multiculturali e trasnazionali.

 

 

CA..: Aura Marina, di che ordine di grandezza ti sembrano le nuove forze che si esprimono nel Foro Sociale Mondiale e che interdipendenza vedi tra il loro sviluppo e la lotta sociale del tuo popolo?

 

AMA.: Considero che il movimento che si sta vincolando con il Foro Mondiale Sociale è molto importante, però vorrei che fosse più propositivo; è ancora essenzialmente contestatario e ciò che necessitiamo urgentemente sono proposte concrete, teorico-pratiche, per affrontare vittoriosamente le sfide di questa epoca storica. Credo che la crescita del movimento possa ripercuotersi in Guatemala molto positivamente, ma, per ora, queste ripercussioni non le ho ancora viste.