Agosto 2007: una delegazione delle Brigate di solidarietà e per la pace in Colombia

Agosto 2007: una delegazione delle Brigate di solidarietà e per la pace è stata in Colombia per appoggiare il processo delle Comunità in Resistenza Civile, delle Zone Umanitarie nei dipartimenti del Chocó e del Meta. 

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Per il secondo anno, tra luglio e agosto del 2007, le Brigate di solidarietà e per la Pace (Brisop) sono tornate in Colombia nel quadro dei rapporti di collaborazione e solidarietà dal basso con la Commissione Interecclesiale di Justicia y Paz (J.yP.) e le Comunità in Resistenza Civile.Nei primi giorni di permanenza a Bogotá abbiamo concordato con J.yP. il lavoro da svolgere nel mese successivo, sulla base delle esigenze prioritarie del processo di resistenza e riappropriazione portato avanti dalle Comunità. E’, infatti, J.yP. che svolge un fondamentale ruolo di supporto legale, accompagnamento sul campo e relazioni internazionali, coordinando un processo che, in diversi dipartimenti del paese, coinvolge decine di comunità.In questi primi giorni inoltre abbiamo avuto la possibilità di partecipare al “Primo Incontro nazionale delle Vittime appartenenti a Organizzazioni Sociali”: tre giorni di discussione e confronto, promossi e voluti fortemente dal “Movimento Nazionale Vittime dei Crimini di stato”, di cui J.yP. è parte, e che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone e decine di organizzazioni, tra le quali ricordiamo l’”Associazione nazionale dei parenti e delle vittime del genocidio contro la Unión Patriotica”. L’incontro è stato una prima occasione per cercare un terreno di unità d’azione, al di là delle differenze politiche e ideologiche, contro l’impunità degli apparati dello stato per i crimini commessi sul popolo colombiano e contro la repressione militare e paramilitare che continua a insanguinare il paese, colpendo ogni organizzazione popolare e ogni processo di resistenza e di lotta.La nostra delegazione ha lasciato Bogotá dividendosi in due gruppi che, secondo le richieste, si sono diretti nel dipartimento del Chocó e in quello del Meta. 

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Il Chocó è una delle regioni colombiane che ha subito con maggiore violenza il processo di espropriazione di risorse portato avanti dalle multinazionali e dal capitale nazionale con la complicità dello stato. E’ infatti un’area ricchissima di terre fertili, di acqua, di minerali preziosi, di biodiversità e si trova in una posizione strategica di corridoio tra oceano Atlantico e oceano Pacifico. A partire dal 1997, con la “Operación Génesis”, e fino ad oggi, i governi succedutisi in questi dieci anni hanno portato avanti politiche di sfollamento forzato delle popolazioni afrocolombiane, indigene e mestizos, utilizzando l’esercito, in particolare la Brigata 17, e le formazioni paramilitari, armate e finanziate dallo stato. Minacce, esecuzioni mirate, desapariciones e massacri su larga scala hanno prodotto decine e decine di migliaia di profughi interni, costretti a lascare la proprie terre per rifugiarsi nelle città, e hanno consegnato decine di migliaia di ettari a imprese nazionali e multinazionali che hanno impiantato coltivazioni estensive di banane o di palma africana, allevamento su grande scala, sfruttamento minerario, di legname pregiato, ecc.A partire dal 2001 i desplazados cominciano un processo di presa di coscienza, di organizzazione e di rivendicazione che li porterà a riprendersi parte delle proprie terre, dando vita a “Zone Umanitarie” (Z.U.). Le Z.U. sono aree delimitate, dichiarate di esclusiva presenza di popolazione civile, nelle quali si vieta l’ingresso a qualunque attore armato (esercito, paramilitari e guerriglia) per evitare che il governo possa utilizzare la scusa della presenza guerrigliera per intervenire contro le comunità. Hanno inoltre una costante presenza di accompagnanti di J.yP. e internazionali come ulteriore deterrente per la repressione.Le Z.U. sono quindi una forma di protezione dalla continua minaccia militare e paramilitare, ma al tempo stesso si configurano come nuova forma di organizzazione sociale che, attraverso l’esperienza della lotta e dell’autorganizzazione, ha portato a superare anche le vecchie forme di insediamento fondate sulla separazione e la proprietà individuale o familiare della terra. Le Z.U. si configurano come   processi di riappropriazione, che intralciano concretamente interessi e progetti delle multinazionali, affermando nella pratica l’esistenza di beni comuni come terra, biodiversità, acqua, ecc. che non possono essere sottoposti a sfruttamento e contemporaneamente non riconoscono legittimità alle istituzioni dello stato colombiano e creano relazioni sociali e forme di vita alternative a quelle capitalistiche: nei processi decisionali, nei modi di gestire produzione e distribuzione, fondate sulla collettività e la cooperazione, nelle relazioni di genere, nei processi formativi.Le Z.U. si distinguono da esperienze come le “Comunità di Pace”, perché pur avendo scelto forme di lotta e resistenza non armata, si considerano però parte del conflitto sociale che oppone le classi subalterne all’oligarchia colombiana.La delegazione Brisop si è fermata nella regione del Curvaradó, lungo le sponde del Rio Sucio, un territorio militarizzato da decine di posti di blocco della polizia nazionale e dell’esercito e sotto l’apparentemente invisibile ma pesantissimo controllo delle mai disciolte formazioni paramilitari che, secondo una strategia sperimentata in tutta la Colombia, al ruolo di sicari affiancano funzioni civili nell’amministrazione e nell’economia. Un territorio che, appunto a partire dal ’97, è stato svuotato con la violenza dei suoi abitanti e legittimi proprietari, rifugiati nelle città più vicine, da Mutatá a Dabeiba, da Belém de Bajirá a Chigorodó, ed è stato illegalmente appropriato da grandi imprese come Urapalma, Palmura, Agropalma. Imprese che su oltre ventimila ettari di terra hanno cancellato tutto ciò che esisteva (Paesi, strade, coltivazioni e grandi estensioni di foresta tropicale umida) per sostituirlo con la monocoltura della palma africana o “da olio”. Tutta l’area appare oggi come un grande deserto verde, un deserto dal quale sono sparite le grandi varietà di vita animale e vegetale che lo rendevano uno dei polmoni dell’America latina, in cui si sono prodotti mutamenti climatici, impoverimento delle risorse idriche, massicciamente utilizzate per l’irrigazione, e un gravissimo inquinamento dei terreni e dei fiumi per l’impiego indiscriminato di fertilizzanti e diserbanti.In questo contesto una parte dei contadini espropriati e scacciati, con l’appoggio di J.yP., ha cominciato a rientrare e riprendersi le proprie terre, dando vita a diversi insediamenti e iniziando un processo di riappropriazione e di lotta che combina l’azione diretta, l’azione legale e la contrattazione con il governo, l’appoggio internazionale.Nel periodo della nostra presenza, insieme a quella di altre realtà europee e nordamericane, si è realizzato un ulteriore avanzamento nella riappropriazione della terra. Per tre settimane gli abitanti della Z.U. di Caño Claro e della Zona di Biodiversità di Cetino, con la partecipazione solidale di altre comunità in resistenza del Chocó (CAVIDA, La Balsita, El Tesoro, El Guamo) e degli internazionali, hanno abbattuto, con machete e motoseghe, circa cinquanta ettari di palme e sui terreni così liberati hanno dato inizio alla semina delle colture necessarie all’alimentazione delle comunità: mais, riso, ecc.Si è trattato di una importantissima azione dal valore molto concreto di creare le condizioni di sopravvivenza della popolazione e dal forte significato simbolico di denuncia dell’illegittimità della monocoltura estensiva e del business dei cosiddetti biocombustibili, tra i quali il frutto della palma africana è uno dei più ambiti. In questo senso l’azione del taglio è stata anche un momento della mobilitazione mondiale contro la nuova frontiera delle politiche energetiche del capitale multinazionale e dei paesi imperialisti, per continuare ad alimentare gli insostenibili consumi di Stati Uniti ed Europa. Dietro la facciata di energia pulita e rinnovabile, i biocombustibili prodotti su larga scala hanno conseguenze sociali e ambientali devastanti: espropriazione della terra ai contadini; sottrazione delle terre alla produzione di alimenti; monocolture a forte impatto ambientale ed energetico; deforestazione e distruzione di biodiversità.  Naturalmente il taglio e la semina sono stati oggetto di ripetuti tentativi di intimidazione e di repressione: si sono presentati riconosciuti paramilitari in veste di rappresentanti delle imprese, è arrivata la polizia minacciando arresti e denuncie, l’esercito si è insediato in forze nelle zone interessate. Inoltre è stata lanciata, attraverso i giornali locali, una campagna di disinformazione e di allarme in particolare contro gli internazionali, “arrivati per creare disordine e rovinare l’economia della regione, mettendo a rischio i posti di lavoro”.Tutto questo non è servito a smuovere la determinazione delle comunità in lotta che hanno dato uno straordinario e coraggioso esempio di presa di parola da parte di soggetti che i poteri del capitalismo neoliberista vorrebbero muti strumenti di profitto.Alla fine è intervenuto il governo nazionale, convocando a Bogotá rappresentanti delle comunità e di J.yP. e chiedendo la sospensione del taglio in cambio della garanzia di un pronunciamento ufficiale, da parte degli organismi istituzionali preposti, sull’assegnazione di quelle terre ai contadini, quali legittimi proprietari. Le comunità, dopo un’ampia consultazione, hanno deciso di accettare il compromesso ma con la convinzione che se il governo non dovesse mantenere fede agli impegni presi, la lotta riprenderà con maggior forza.Il tempo trascorso dalla nostra delegazione a Caño Claro, a Cetino e in altre comunità, oltre agli importantissimi momenti di condivisione della lotta, è stato scandito da numerose occasioni di discussione, di confronto politico, di approfondimento delle analisi e delle tematiche legate alle strategie del neoliberismo e a quelle dei movimenti, di scambio di conoscenze sulle rispettive realtà. E’ stato estremamente interessante poter osservare direttamente come la proposta strategica di resistenza civile e riappropriazione, nonostante le difficoltà e i rischi, sia in fase di espansione, sicuramente nell’area del Curvaradó. Sulla spinta dell’esempio delle comunità che hanno già intrapreso questa strada, ci sono altre decine di famiglie e di persone che si mettono in contatto e si informano sulle possibilità di fare altrettanto o che prendono l’iniziativa, rompendo con anni di paura e di silenzio, e cominciano a rientrare sulle proprie terre. 

2.
La nostra presenza nel dipartimento del Meta si è concentrata nella Z.U. CIVIPAZ nel municipio di Medellin dell’Ariari. Il dipartimento del Meta ha una lunghissima tradizione di lotte sociali e sindacali e di organizzazione popolare, è stato la culla del Partito Comunista Colombiano, ha visto un grande sviluppo del progetto dell’Unión Patriótica ed è stato storicamente uno degli insediamenti più importanti della guerriglia ed in particolare delle FARC-EP. Proprio per questo è stato anche segnato da una repressione feroce nel quadro della strategia del paramilitarismo. Una strategia che è riuscita a mettere in difficoltà e a ridimensionare le forze popolari e a costringere ad un ripiegamento la guerriglia attraverso la solita pratica del terrore, dei massacri, dello sfollamento forzato. A partire dal 2001 una nuova operazione militare e paramilitare programmata dal governo contro la popolazione civile, ha prodotto migliaia di sfollati, costretti a riparare in gran parte nel capoluogo, Villavicencio, lasciando dietro di sé interi paesi fantasma e fattorie abbandonate. Un’operazione questa che, sotto la solita scusa delle lotta al “terrorismo”, aveva il chiaro obiettivo di espropriare, a vantaggio del capitale, grandi estensioni di terre fertili e grandi quantità di acqua di cui la regione è ricchissima.Anche qui però il terrore non è riuscito a piegare la volontà dei contadini dell’Alto Ariari di difendere le proprie terre e di affermare i propri diritti e la propria dignità, e al desplazamiento è seguito un processo di organizzazione per il ritorno. Un processo che assume come esempio e modello quello delle Z.U. già sperimentate nel dipartimento del Chocó e in particolare quella di CAVIDA nell’area del Cacarica. Un processo che, come tutti quelli delle Comunità in Resistenza Civile della Colombia, è segnato dai sanguinosi tentativi di repressione da parte dello stato, attraverso i suoi apparati legali (esercito e polizia) o “illegali” (le formazioni paramilitari) e che conseguentemente è reso possibile dall’alto grado di determinazione, coraggio e sacrificio dei suoi protagonisti. Ricordiamo, tra i tanti esempi, l’assassinio, avvenuto nel 2003, del leader contadino Reinaldo Perdomo Hite tra i primi e più convinti fautori del processo. E’ così che all’inizio del 2006 viene fondata la Z.U. CIVIPAZ che raccoglie alcune decine di famiglie.La permanenza della nostra delegazione, oltre a rappresentare di per sé stessa un fattore di tutela della comunità che necessita, come le altre Z.U., di presenza internazionale permanente, si è incentrata su due principali obiettivi, secondo le richieste ricevute. In primo luogo è stato garantito l’accompagnamento degli integranti della comunità nel tragitto per raggiungere i terreni messi a coltura e durante il lavoro di raccolta. Inoltre abbiamo fornito supporto didattico nella scuola autogestita della Z.U. in particolare per quanto riguarda l’insegnamento della lingua inglese.Oltre a tutto questo, le settimane di vita in comune sono state l’occasione per sviluppare un lavoro sistematico di confronto politico e di scambio di conoscenze sulle rispettive realtà, elementi che abbiamo sempre considerato essenziali nella costruzione di percorsi di solidarietà dal basso. 

3.
La valutazione di quello che abbiamo visto e conosciuto nel Chocó e nel Meta, ci porta a ribadire la volontà di continuare e rafforzare le relazioni solidarie con J.yP. e con le Comunità in resistenza e ci permette di confermare il giudizio estremamente positivo su una lotta che, pur conservando elementi di fragilità e disomogeneità, sembra però avere grandi potenzialità di sviluppo, è in grado di rimettere in moto percorsi di partecipazione e organizzazione di massa e già oggi sta creando forti difficoltà politiche al governo. Si tratta, in sintesi, di un’esperienza che combina pratiche di autorganizzazione, capacità di resistenza e costruzione di alternativa di società, che la rendono una delle più significative tra le numerose realtà di contropotere da cui è attraversata l’America Latina. Un’insieme di realtà, diverse ma uguali, le cui indicazioni politiche, come già più volte abbiamo affermato, assumono un peso strategico che travalica i confini del continente. In un bilancio complessivo, l’esperienza fatta in Colombia ci consegna la conferma della validità di un metodo che, dall’inizio, ha contraddistinto la pratica delle Brisop. Un metodo che abbiamo chiamato “relazioni internazionali dal basso” e che si fonda sulla condivisione delle lotte e la conoscenza diretta, sullo scambio e sulla reciprocità. Un metodo che costruisce cooperazione e coordinamento tra movimenti fondati non sulla ricerca di omogeneità ideologiche, ma sulla condivisione delle forme di organizzazione e delle pratiche di lotta e sulla radicalità degli obiettivi politici per il superamento del capitalismo.